Dimissioni in massa degli infermieri, in Slovacchia il governo corre ai ripari

Di Gianluca Ricci 

 

Che quello dell’infermiere sia un mestiere duro non c’è dubbio alcuno.

Che non in tutti i Paesi sia adeguatamente considerato sia dal punto vista sociale che da quello economico anche.

Che però da qualche parte sia necessario spingersi fino a limiti inimmaginabili pur di segnalare alla pubblica opinione lo stato in cui versa un’intera categoria non si poteva ipotizzare. Eppure è accaduto, precisamente in Slovacchia.

Sono trascorsi esattamente tre anni, infatti, da quando oltre un migliaio di infermieri, per denunciare le condizioni di sfruttamento in cui da tempo erano costretti a lavorare, hanno dato le dimissioni in massa dal posto di lavoro, creando non pochi grattacapi alle istituzioni sanitarie che da un giorno all’altro si sono trovate prive di un ingranaggio fondamentale nella precaria catena dei servizi alla salute.

La clamorosa iniziativa era nata all’indomani dell’approvazione della legge che ne pianificava gli stipendi: una norma considerata ostile alla categoria, al punto da costringere i più coraggiosi ad iniziative dirompenti.

Cinque erano state le richieste per scongiurare le dimissioni: finanziamento delle strutture, legge di adeguamento degli stipendi, congedi retribuiti, aumento del numero di addetti e maggiore attenzione alla carriera.

Tutte peraltro respinte al mittente dal governo alla fine del 2015: il 2016 si è allora aperto con le clamorose dimissioni di 540 dipendenti, concentrati per lo più nelle strutture delle città di Presov e di Zilina.

Il governo però ha resistito e dopo qualche settimana ha proposto ai ribelli la possibilità di contrattare la loro posizione con i direttori delle strutture sanitarie.

Gli infermieri hanno dovuto capitolare, con la conseguenza che alcuni di essi non sono più stati riassunti nelle strutture dalle quali si erano licenziati.

Ma hanno avuto il grande merito di attirare l’attenzione della politica e soprattutto della pubblica opinione su un’attività spesso negletta senza alcuna ragione.

In Slovacchia gli stipendi degli infermieri sono piuttosto bassi, fra i peggiori di tutta l’Unione europea: al top ci sono i colleghi svedesi, che portano a casa una paga netta superiore ai 2500 euro al mese, seguiti dagli inglesi e dai tedeschi.

In Slovacchia a malapena si arriva ai mille euro lordi mensili: ecco perché molti di loro hanno provato a smuovere (invano) il governo con una forma di lotta eclatante.

Oggi, a tre anni di distanza, le nuove forze politiche al potere hanno preso coscienza del problema e si sono spinte ad offrire un 10% di aumento generalizzato, da discutere poi caso per caso con i direttori sanitari.

Una proposta sicuramente generosa, ma certo insufficiente a frenare un fenomeno che negli ultimi anni è aumentato con proporzioni preoccupanti: l’emigrazione.

Sono infatti sempre più numerosi gli infermieri slovacchi che, forti di una professionalità riconosciuta, decidono di metterla a disposizione di chi sa valorizzarla al meglio e si trasferiscono in altri Paesi dell’Unione europea dove le condizioni sono decisamente più vantaggiose.

L’aumento di 100 euro lordi al mese infatti non è stato considerato sufficientemente remunerativo per scongiurare la perdita di professionalità difficilmente rimpiazzabili nel medio e breve periodo. Insomma, se la Slovacchia non troverà risorse adeguate per aumentare l’appetibilità del lavoro di infermiere, rischia seriamente di trovarsi con gli ospedali sguarniti.