Annamaria: vi racconto Singapore

A cura di Maricla Pannocchia

Da piccola Annamaria collezionava cartoline e, fra tutte, ce n’era una che rapiva la sua curiosità in modo particolare, quella di Singapore.

Ecco che quando, anni dopo, il suo fidanzato (attuale marito) ha ricevuto una proposta lavorativa proprio a Singapore, Annamaria non se l’è fatto ripetere due volte e ha subito preparato le valigie. Spirito nomade da sempre, operatrice umanitaria per Medici Senza Frontiere – lavoro che l’ha portata a conoscere la vita in Paesi come il Burundi, la Libia e la Repubblica Democratica del Congo – Annamaria si è innamorata di Singapore.

“I singaporiani e gli italiani condividono l’amore per il cibo”, racconta Annamaria, “Ma, per il resto, gli stili di vita nei due Paesi sono molto diversi. A Singapore le persone sono molto sportive, c’è sempre qualcosa da fare e, anche durante le ore di lavoro, si organizzano attività ricreative, cosa che all’inizio non riuscivo a comprendere.”

Adesso Annamaria vive con il marito e i 3 figli a Dubai e lavora come scrittrice di libri per bambini. Frequenta anche diversi corsi, perché il suo scopo è non smettere mai d’imparare e d’insegnare qualcosa di buono ai bambini.

Annamaria Ronca Singapore

Ciao Annamaria, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…

Ciao! Mi chiamo Annamaria, ho 41 anni, sono nata in un paesino della provincia di Salerno, in Campania. Mi sono laureata a Napoli in Lingue e Letterature Straniere. Ho sposato il mio fidanzato del liceo e abbiamo avuto 3 figli. Ho ereditato da mio padre la passione per i viaggi e per la scoperta e da mia madre l’amore per i libri e per la scrittura. Ho studiato più lingue straniere – russo, spagnolo, portoghese, inglese, francese e tedesco – per poter viaggiare e comunicare con gli altri.

Quando e perché hai deciso di lasciare l’Italia?

Viaggiavo ogni volta che potevo, sia in Italia sia all’estero. I soldi guadagnati non sono mai andati in vestiti o borse ma in biglietti del treno, voli aerei e musei. Lavoravo a Milano ai mondiali di pugilato quando il mio fidanzato dell’epoca (attuale marito) ha avuto un’offerta di lavoro a Singapore e mi cha chiesto cosa ne pensassi. Ho risposto facendo i bagagli. Dopo un paio di mesi a Singapore ho iniziato a lavorare anche io. Lasciare l’Italia per me voleva dire conoscere il mondo. Non ho mai saputo resistere all’emozione di volare e scoprire un nuovo stile di vita.

Sei un’ex operatrice di Medici Senza Frontiere. Cosa puoi raccontarci di quel periodo della tua vita?

Subito dopo la laurea mi sono iscritta ad un corso in Studi Africani tenuto a Roma dall’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente. Non sapevo praticamente niente sul continente africano e decisi di rimediare. Fui una dei 3 studenti scelti per una missione di valutazione con un’agenzia ONU e fui mandata in Guinea. Sono rimasta affascinata da quel Paese, nonostante abbia vissuto momenti difficili. Da lì l’amore per il settore umanitario, che già avevo, è letteralmente esploso. Dopo il periodo a Singapore sono stata reclutata da MSF per lavorare sul campo come responsabile HR e admin. Per me resta il lavoro più bello e appagante al mondo, svolto con un’organizzazione seria e ben strutturata. Ho lavorato in Burundi, Libia, Repubblica Centrafricana e Repubblica Democratica del Congo. Ho potuto cogliere tutti gli aspetti di quei Paesi, dalla durezza della vita e la crudeltà della guerra, alla capacità delle persone di tirare avanti. Ci sono stati momenti di paura, di condivisione, di speranza, di gioia e dolore. Ho smesso di fare quel lavoro quando ho scoperto di aspettare un bambino, ma non ho mai smesso di essere un operatore umanitario. Quello ti resta nel sangue.

 

Hai vissuto in diversi Paesi, fra cui Singapore. Come sei finita proprio lì?

Da ragazzina collezionavo cartoline. Ricordo che quella da Singapore mi affascinava molto. Adoravo il nome di quel Paese e lo misi nella lista dei posti che avrei visitato da grande. Quando il mio fidanzato ebbe un’offerta di lavoro proprio lì, pensai che fosse un segno del destino. Avrei potuto restare in Italia e cercare un lavoro fisso dopo la scadenza di quello a progetto, ma non ero ancora pronta a fermarmi. E così mi sono trasferita a 12 ore di aereo da casa.

Annamaria Ronca Singapore

Come hanno reagito amici, parenti e conoscenti davanti alla tua scelta?

I miei genitori hanno dovuto sempre fare i conti con la mia indole girovaga. Mi hanno sempre supportata ma so che quando mi sono trasferita a Milano hanno tirato un sospiro di sollievo. Credevano che avessi finalmente deciso di mettere radici in una città a poche ore di treno da casa e, per loro, non era affatto male. Quindi, quando gli ho comunicato che sarei andata a vivere a Singapore, gli è venuto un colpo! Ho dato la notizia al telefono quindi mi sono persa le loro espressioni facciali, ma ricordo il tono di voce. Erano spaventati dalla distanza.

Ricordi le sensazioni che hai provato appena arrivata a Singapore?

Certo, non potrò mai dimenticarle. Sono rimasta molto colpita dalla bellezza dell’aeroporto ma, appena fuori, sono stata travolta dalla perfetta combinazione di natura e modernità che caratterizza Singapore. Il caldo umido sa di Asia, l’aria ha un odore tipico, la città è unica. Mi sono sentita bene, in pace.

Di cosa ti occupavi mentre vivevi lì?

Avrei dovuto lavorare all’Istituto di Cultura Italiana ma le cose sono andate diversamente e ho trovato subito lavoro come Coordinatore per i comitati olimpici africani per lo SYOGOC, il Singapore Youth Olympic Games Organising Committee. Facevo da liasion tra i comitati di 13 paesi africani e il comitato locale. Gestivo Paesi francofoni, anglofoni, lusofoni e ispanofoni, usando quindi le lingue che avevo studiato. Ero assunta dal Ministero dello Sport e dello Sviluppo Comunitario dell’epoca. Un lavoro molto interessante.

Come valuteresti il rapporto costo/qualità della vita?

Ho vissuto a Singapore negli anni 2009 e 2010 e ci sono ritornata in visita nel 2013. All’epoca non avevo figli e non ho mai pensato a eventuali rette scolastiche. Di conseguenza, con uno stipendio locale che non prevedeva bonus ed extra vari, potevo comunque permettermi un appartamento “da expat” in condivisione con il mio fidanzato. Il cibo costava pochissimo, lo stesso i mezzi pubblici, lo sport e i voli aerei per i Paesi limitrofi. La qualità della vita era molto alta, i singaporiani avevano una serie di aiuti statali provenienti da un governo sano e orientato al benessere della popolazione. C’erano piscine comunali in ogni zona, parchi e giardini ovunque, aree per bambini. Se non fosse così lontano ci tornerei domani stesso. Immagino e spero che anche con i figli sia possibile vivere bene da straniero.

Annamaria Ronca Singapore

È facile trovare alloggio a Singapore? Quali sono i costi medi?

Tenendo conto del cambio fra dollari di Singapore ed Euro, gli alloggi per gli expat costavano fra 1500 e 3000 Euro al mese, a seconda della zona e della grandezza dell’appartamento. Non era tanto di più di alcune grandi città europee. All’epoca gli expat non potevano prendere in affitto gli HDB, cioè gli appartamenti che lo stato concede a prezzo molto agevolato a tutti i singaporiani. Quindi, i condomini per gli stranieri costavano di più e non erano molti, ma tramite agenzia immobiliare è stato semplicissimo trovarne uno. Tutte le regole e le procedure erano estremamente chiare. Ricordo ancora il nome della strada e del condominio, Tanglin Regency su Tanglin Road.

Cosa si fa a Singapore in ambito ricreativo, artistico e culturale?

Singapore è piena di musei, di natura e di strutture sportive. Quando ci vivevo andavo due volte a settimana a giocare a badminton con le colleghe in pausa pranzo, una sera a settimana a giocare a pallavolo, il sabato c’era l’allenamento con la squadra di dragon boat e la domenica il corso di kayak. Qualche volta ero invitata a fare hiking o la camminata dei parchi o una partita a squash. I singaporiani amano lo sport e mantenersi in forma. C’erano e ci sono ancora tanti eventi fieristici, mostre e spettacoli.

Come sei stata accolta dalla gente del posto?

Benissimo. I singaporiani sono generalmente cordiali, educati e sorridenti. Dopo qualche tempo non mi identificavo nemmeno più come “Ang Mo”, il termine usato per descrivere “i bianchi”, ma mi sentivo parte della popolazione locale. Per me resta un Paese meraviglioso.

C’è una comunità d’italiani? Ne hai fatto parte?

Gli italiani all’epoca erano già tanti ma non davvero riuniti in comunità. Andavamo a mangiare in un ristorante italiano di tanto in tanto e avevamo qualche collega italiano con cui ci riunivamo qualche volta, ma, non avendo figli, non sentivamo, né io né il mio fidanzato, la necessità di frequentare altri italiani. Adoravo la cultura del posto e frequentavo volentieri le mie colleghe e amiche locali.

Che cos’hai imparato vivendo lì?

Ho imparato a conoscere e capire una cultura prima di giudicarla. Non è stato facile lavorare in un team già ben avviato, in un Paese la cui popolazione sa divertirsi e prende tempo per fare le cose. Venivo da ambienti lavorativi in cui lo stress e la fretta erano pane quotidiano, in cui il last minute e la flessibilità erano all’ordine del giorno. Trovarmi a lavorare con persone che organizzavamo spesso eventi ricreativi mi dava sui nervi, ma è stato parlando con la gente, studiando e analizzando quel Paese meraviglioso che ho capito che esistono altri sistemi anche migliori del nostro, e che noi non siamo il centro del mondo.

Come valuteresti servizi quali la burocrazia, la sanità e i mezzi pubblici?

La burocrazia, almeno allora, era davvero snella, soprattutto se paragonata a quella italiana. Tutto era semplice ed efficiente. Viaggiavo quasi sempre in metro ed era pulita e puntuale. I taxi molto accessibili. Lo stesso valeva per le cliniche e gli ospedali. Il sistema singaporiano è stato creato dal nulla dal padre fondatore, Lee Kuan Yew, che ha messo assieme sistemi stranieri efficienti per crearne uno per la neonata Singapore. Sono stata subito affascinata da questa politica ben descritta nel suo libro, “Dal terzo mondo al primo”.

Quali pensi che siano i punti in comune e le differenze fra lo stile di vita a Singapore e quello in Italia?

La cultura singaporiana è estremamente diversa dalla nostra. I singaporiani appartengono a tre etnie diverse: cinese, indiana e malese. Ognuno ha le proprie usanze e le proprie festività, ma tutti sono uniti sotto la stessa bandiera. Hanno avuto una classe politica molto saggia che ha reso Singapore un Paese moderno, efficiente e con un benessere largamente diffuso. La gente non commette crimini e atti illegali perché è moralmente vergognoso e dannoso verso gli altri, e non perché esiste una pena. Il bene comune è messo al primo posto. Spero che la loro mentalità non cambi mai. Ecco, questo direi che gli italiani dovrebbero impararlo. Un punto in comune è sicuramente l’amore per il cibo. Si dice che lo sport nazionale dei singaporiani sia mangiare.

Dove abiti adesso e di cosa ti occupi?

Vivo a Dubai da quasi 4 anni e sono diventata una scrittrice di libri per bambini. La scrittura è stata sempre una delle mie grandi passioni e, durante il Covid, l’ho messa a frutto per sollevare il morale di mio figlio, che allora aveva 5 anni. Quelle storie scritte con lui sono diventate un libro, poi è arrivato il secondo e da poco anche il terzo. Ho 3 figli e cerco di dedicarmi a loro il più possibile.

Progetti per il futuro?

A parte continuare a pubblicare libri, sto studiando per prendere il diploma DAEFLE per l’insegnamento del francese, lingua che adoro. Sto frequentando un corso online in writing & editing per migliorare la scrittura, e ho un altro paio di corsi in lista. Non vorrei mai smettere d’imparare e d’insegnare qualcosa di buono ai bambini.

Per seguire e contattare Annamaria:

Instagram: annamariaroncawriter

Sito web: www.annamariaronca.com

E-mail: annamaria.ronca@yahoo.com