Intervista a Ilaria Gianfagna, Fondatrice di Just Australia

A cura di Maricla Pannocchia

Ilaria, 43 anni, è la fondatrice di Just Australia, un’agenzia di visti e servizi per chi vuole trasferirsi down under.

Descrivere Ilaria in questo modo, però, è molto riduttivo perché è stata una giornalista ed è una viaggiatrice incallita, che dedica anche molto tempo al mantenimento della propria community sui social, che conta ormai più di 10.000 iscritti.

Ilaria anni fa si è trasferita in Australia per curiosità, con l’idea di frequentare un Master dalla durata di un anno e, nel frattempo, ha aperto Just Australia. A chi sogna di trasferirsi lì, Ilaria ricorda che, se si hanno meno di 36 anni, è tutto più semplice per la possibilità offerta dal Working Holiday Visa, che permette di abitare e lavorare in Australia mentre, per gli over 36, le cose sono un po’ più complicate, ma non impossibili.

Ad un certo punto ha deciso che sentiva la mancanza dell’Italia e degli amici ed ha deciso di tornare a Milano ma continuando a viaggiare per il mondo.

Ecco cosa ci ha raccontato.

ILARIA GIANFAGNA

Ciao Ilaria, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…

Ciao, sono Ilaria, ho 43 anni e sicuramente non ho una vita convenzionale. Me la sono costruita quasi senza rendermene conto, inseguendo un’idea di libertà, senza sapere nemmeno cosa fosse. Ma andiamo con ordine. Sono nata a Udine e ho vissuto tra la l’Italia, l’Inghilterra, la Spagna e l’Australia. Per molti anni ho fatto la giornalista e il mio lavoro mi piaceva tantissimo ma volevo anche viaggiare. Di conseguenza, ho abbandonato il giornalismo, in nome del viaggio.

Quando e perché hai deciso di lasciare l’Italia?

Sono sempre partita e sono sempre ritornata. Dall’Erasmus a Liverpool, ho vissuto un po’ all’estero e un po’ in Italia fino a quando non mi sono trasferita in Australia. Io sono partita per curiosità, volevo vedere il mondo, volevo anche ubriacarmi di nuovi luoghi, culture e persone. Anche per quello ho cominciato a viaggiare da sola, perché mi permetteva d’immergermi completamente negli altri mondi. Non sono mai partita perché non stavo bene in Italia. A me l’Italia è sempre piaciuta e qui ho costruito delle relazioni preziose. Sono partita un po’ per caso e un po’ per curiosità. D’altronde, ho scelto di fare la giornalista proprio per questo mio desiderio di scoperta.

Hai vissuto 5 anni in Australia. Dove, precisamente? E cosa ti ha spinta a trasferirti proprio lì?

Ho vissuto a Melbourne e anche in Australia ci sono arrivata un po’ per caso e un po’ per curiosità. Sono partita con un visto turistico e poi mi sono ritrovata qualche anno dopo ad avere la cittadinanza australiana. Lo so che sembra assurdo ma ho scelto l’Australia perché volevo scoprire l’Asia. E poi è andata proprio così. Vivere in Australia, mi ha permesso di esplorare il sud-est asiatico, che per me rappresenta la libertà, ogni volta che potevo. È proprio in Asia che ho cominciato a viaggiare da sola, zaino in spalla.

Come hanno reagito amici, parenti e conoscenti davanti alla tua scelta?

Inizialmente con grande stupore, più che altro per la destinazione così lontana. Io sono partita per l’Australia a 32 anni, a quel punto chi mi conosceva bene aveva capito che non avrei vissuto in Italia e che avrei cercato un’avventura sempre più grande, un po’ come faccio adesso. A furia di viaggiare, la posta si alza sempre di più. Sono partita da una cena da sola in un ristorante per arrivare a nove mesi in Sud America zaino in spalla. Diciamo che quest’ultima esperienza, che racconterò dopo, ha sorpreso molto di più dell’Australia. Se spieghi che parti con un obiettivo, ciò crea meno scandalo. Io, ad esempio, mi ero iscritta a un Master alla University of Melbourne, quindi avrei trasformato il mio visto turistico in visto studente, ma avevo un obiettivo concreto, quello del Master, appunto. Se dici: “Allora io vado”, con un biglietto di sola andata e uno zaino sulle spalle è molto più scioccante.

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Come ti sei organizzata prima della partenza?

Io non sono molto organizzata quando viaggio, anzi, mi pesa organizzare perché penso che in molto meno tempo posso raccogliere le informazioni direttamente sul posto, parlando con i locals. Di solito mi organizzo il meno possibile: visto, assicurazione sanitaria, volo e prime due notti in ostello, poi il resto lo vedo sul posto. È anche vero che l’Australia è lontana e l’obiettivo era quello di trasferirmi almeno per un anno, la durata del Master, quindi ho organizzato una festa a casa mia, una garage sale, in cui ho venduto praticamente tutto quello che avevo ed è stato molto liberatorio.

ILARIA GIANFAGNA

Di cosa ti occupavi in Australia?

Mi sono iscritta a un Master in comunicazione alla Melbourne University dalla durata di un anno e, nel frattempo, ho aperto Just Australia, un’agenzia di visti e servizi per l’Australia, insieme al mio socio Stefano Riva. Quella è tuttora la mia attività principale. Il nostro lavoro consiste nell’aiutarti a trasferirti in Australia in maniera temporanea se vuoi vivere un’esperienza, lavorare e migliorare il tuo livello d’inglese. La nostra divisione Migration, chiamata Australia Legal e gestita dall’agente d’immigrazione Riccardo Ippoliti, invece, si occupa di visti permanenti, se vuoi trasferirti per sempre in Australia. Ci occupiamo anche di tanti altri servizi come quello di prenotare l’ostello per i primi tempi, sbrigarti le prime pratiche per farti iniziare a lavorare, facciamo consulenze mirate spiegandoti come trovare lavoro, casa e come funziona l’Australia. Inoltre, siamo convenzionati con centinaia di scuole, istituti e università per chi vuole studiare lì. Attualmente, abbiamo una sede a Melbourne e lavoriamo su tutta l’Australia e dall’Italia. In particolare, io lavoro da remoto e questo mi ha permesso, negli anni, di viaggiare tanto e di vivere una vita da nomade digitale.

Quali aspettative avevi sul Paese? Sono state deluse o no?

Non avevo molte aspettative. M’immaginavo un altro mondo e così è stato. La gente vive in modo molto libero, senza pregiudizi, è difficile da descrivere ma sembra che in Australia tu possa essere veramente te stesso. Cerco di non avere aspettative e per questo non rimango mai delusa, poi tutto quello che accade è semplicemente la vita.

È facile, per un italiano, trovare lavoro lì?

Secondo me è facile trovare lavoro, punto. Gli italiani sono molto ben visti in settori come ristorazione e costruzioni, perché siamo considerati bravi ed esperti. Se lavori in uno di questi due settori e hai meno di 36 anni puoi costruirti un futuro in Australia. Si può fare anche dopo i 36 anni, ma diventa leggermente più complesso in termini di visti e, per questo, esistono agenzie come la nostra, per guidarti nel percorso d’immigrazione. La richiesta di lavoro e il visto possono essere due cose slegate. Ad esempio, si cercano molti pizzaioli ma la professione in sé non porta al visto permanente, meglio essere chef.

Quali sono i settori in cui è più semplice essere assunti?

Le costruzioni rappresentano un settore trainante dell’economia australiana e quindi tutte le figure che lavorano nel settore sono richieste e ben pagate: muratori, piastrellisti, idraulici, architetti, ingegneri… Poi gli australiani sono un popolo che ama mangiare fuori, Melbourne è considerata la capitale della ristorazione e incredibilmente è uno dei luoghi dove ho mangiato meglio nella mia vita, perché è tutto così curato. Tutto questo per dire che si cercano camerieri, pizzaioli, chef e restaurant managers. Questi ultimi due, hanno anche ottime opportunità di rimanere per sempre. Si cercano anche medici, professionisti legati al mondo scientifico, all’insegnamento, al fitness e molto altro ancora.

Pensi che gli stipendi siano in linea con il costo della vita?

In Australia si guadagna bene e il costo della vita è proporzionato agli stipendi. Bisogna ammettere che, dopo la pandemia, i prezzi sono aumentati ma, fortunatamente, sono aumentati anche i salari. Anche se il costo della vita sembra comunque piuttosto alto, soprattutto per chi viene da fuori e deve ancora trovare un buon lavoro, retribuito secondo gli standard australiani.

Puoi dirci il costo di alcuni beni e servizi di uso comune?

Un caffè costa circa $5, un bicchiere di vino $10, una pizza dai $20 ai $30, una cena fuori può costare dai $50 in su, 250 grammi di formaggio costano $10, una baguette $2, un litro di latte $5. I prezzi sono in dollari australiani, che di solito equivalgono al 30-40% in meno dell’Euro. Sembrano alti perché, appunto, sono in dollari australiani, ma, vivendoci, ci si rende conto che il costo della vita è quello di una grande città in Europa, con stipendi più alti.

Come funziona, invece, per avviare un’impresa lì come stranieri?

Tutti possiamo aprire la partita IVA, che si chiama ABN, in maniera gratuita, tramite una richiesta che si fa online in qualche minuto. Fino a $18,000 all’anno praticamente non si pagano le tasse e da quella cifra in su, invece, si pagano le tasse a scaglioni di reddito, come in Italia. La ABN serve per aprire una ditta individuale, mentre se hai un socio e un’attività più articolata puoi aprire una società che si dice Pty Ltd. Il fatto di avere un’azienda o un’attività in proprio, non significa necessariamente poter rimanere in Australia e quindi non ti dà diritto ai visti successivi. Oltre a fare una consulenza con un commercialista è sempre bene farne una anche con l’agente d’immigrazione.

Cosa bisogna avere, dal punto di vista burocratico, per vivere e lavorare lì?

Se hai meno di 36 anni è tutto più semplice perché puoi richiedere il Working Holiday Visa, un visto con permesso di lavoro full time da uno a tre anni. Per partire ti serve il passaporto e il visto. Se parli bene l’inglese è sicuramente un vantaggio, altrimenti lo imparerai sul posto e anche quello è un ottimo motivo per andare a vivere in Australia. Ci sono anche scuole d’inglese molto valide e sono anche un’ottima occasione per conoscere nuovi amici da tutto il mondo. Contano anche i titoli di studio come diploma, laurea o master, a seconda della tua professione. Infine, gli anni di esperienza nel tuo settore sono importanti se vuoi trasferirti per sempre. Il sistema d’immigrazione, infatti, ricerca lavoratori specializzati e, prima di rilasciarti un visto permanente, vuole vedere le tue esperienze passate in termini di studio e di lavoro.

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Come ti sei mossa per cercare un alloggio?

Il consiglio che do a tutti e che ho seguito anche io, è quello di dormire in ostello per i primi tempi mentre si cerca casa, per poi trovare una casa condivisa con altre persone. Direi che il numero ideale per vivere insieme va da due a quattro compagni di appartamento. Io ho sempre usato Flatmates.com.au, che è un’app che funziona molto bene, per gli annunci di stanze. Ha una versione gratuita e una a pagamento. Quest’ultima funziona molto bene perché puoi vedere un sacco di annunci. Considera che affittare un appartamento da solo, richiede una serie di documenti tra cui contratto di lavoro, lettera di referenza, ultima busta paga ed estratto conto, quindi, appena arrivato, risulta praticamente impossibile. Per quello molte persone condividono l’appartamento e anche perché è più economico.

ILARIA GIANFAGNA

Quali sono i prezzi medi e le zone in cui, secondo te, è possibile vivere bene spendendo il giusto?

A me personalmente non piace vivere nella city, qui si dice CBD (Central Business District) perché ci sono solo palazzoni, uffici e negozi ed è il cuore economico delle città australiane. Sempre meglio vivere nei quartieri limitrofi al centro, che sono aree dove la qualità della vita è molto alta, ci sono palestre, bar, ristoranti, supermercati, parchi, tutto quello che puoi desiderare per vivere al meglio. Di solito anche gli australiani scelgono di vivere nei quartieri intorno al centro. Ogni quartiere ha le sue caratteristiche specifiche, quindi, è anche molto divertente.

Come sei stata accolta dalla gente del posto?

Nessuno è veramente australiano al 100% perché sono tutti figli, nipoti e pro-nipoti di migranti. Tanto per fare un esempio, molti australiani (circa un milione) hanno origini italiane e parlano italiano. Questo per dire che si tratta di un Paese multi-etnico dove si parlano 200 lingue oltre l’inglese e che è difficile definire gli australiani come popolo. In linea di massima, in Australia sono tutti molto gentili, sorridenti, aperti mentalmente e vivono la vita con poche preoccupazioni. Questo è per via dei salari alti, della qualità della vita e del sistema australiano, che permette di vivere con serenità.

Com’era una tua giornata tipo lì?

In Australia la gente si sveglia molto presto, perché il sole sorge presto e quindi è tutto anticipato rispetto ai nostri ritmi italiani. Di solito, la sveglia è intorno alle 6 e si fa sport prima d’iniziare la giornata. Io, ad esempio, faccio yoga, poi doccia, lavoro, un pranzo veloce verso le 12 e la giornata lavorativa si chiude alle 17, mentre la cena è intorno alle 19 e per le 22 spesso si va a dormire (durante la settimana). Io seguivo un po’ questi ritmi, anche se non ho mai veramente lavorato dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17, visto che ho sempre potuto gestirmi in autonomia le mie giornate.

A un certo punto, hai sentito il bisogno di tornare in Italia. Come mai?

L’Australia è un luogo meraviglioso e, se fosse al posto dell’Inghilterra, forse ci vivrei ancora ma negli anni ti accorgi che è troppo lontano, nessuno dei tuoi amici o familiari ti viene a trovare perché è costoso e ci vogliono almeno due o tre settimane di tempo. Di conseguenza, sei sempre tu che, durante il tuo tempo libero, torni in Italia, dovendo scegliere, a volte, tra visita a casa e vacanze vere e proprie, anche se non è stato il mio caso perché, potendo lavorare da remoto, ho potuto viaggiare molto.

È stato facile re-inserirsi a Milano?

Mi sono trasferita a Milano per aprire la sede italiana di Just Australia, quindi è stato bello e impegnativo vedere quanto interesse riscuotesse l’idea di trasferirsi in Australia, da parte di tanti italiani. A Milano ho i miei amici storici dell’università e, quindi, dal punto di vista dei rapporti, sono sempre stata fortunata. Sono anche molto socievole per natura e per necessità e quindi ho conosciuto anche un sacco di amici nuovi a Milano, in età adulta. Inoltre Milano era l’unica scelta possibile, dopo anni di Australia, perché ha tutto di una città italiana e tutto di una città internazionale.

Cosa ti mancava di più dell’Italia quando eri in Australia?

Mi mancavano i legami tutti all’italiana, il modo in cui ci relazioniamo noi italiani, anche se a volte siamo pesanti. In generale, credo mi mancasse l’Europa, potermi spostare da un luogo all’altro velocemente e potermi immergere in una cultura diversa mentre qui, solo per uscire dall’Australia, devi considerare almeno 4 ore di volo. Mi mancava la cultura, perché la vita in Australia si basa più su viaggi e avventure e meno su tutto il circuito culturale che possiamo vantare in Italia. Mi mancavano anche la mozzarella di bufala, il prosciutto crudo e il sapore della nostra frutta e verdura.

Ti capita, a volte, di sentire la mancanza di qualche tratto della vita australiana?

Certo, dell’Australia mi manca la libertà e anche l’apertura mentale di chi ci vive. Di fatto, trascorro ancora molto tempo in Australia. È andata così: all’inizio, appena rientrata in Italia, sono stata ferma un paio d’anni perché, secondo me, dopo tanti anni in Australia, avevo bisogno di ritrovare le mie radici italiane, che mi erano tante mancate. A un certo punto, ho ricominciato a viaggiare assiduamente e, quindi, non saprei rispondere alla domanda “Dove vivi?”.

Come hai ampiamente raccontato, sei anche un’incallita viaggiatrice. Tra i tuoi viaggi spicca quello nel Sud America. Cosa puoi raccontarci di questa esperienza?

Quella è l’esperienza della mia vita. Ho sempre sognato di prendere un biglietto di sola andata con uno zaino in spalla per il sud-est asiatico o per il Sud America ma erano sempre gli altri a partire, io trovavo sempre una scusa per restare. Magari viaggiavo da sola, ma per qualche settimana, al massimo un mese, portandomi il lavoro dietro. Quello che non sapevo era che quei brevi periodi fuori erano una sorta di allenamento per quello che sarebbe arrivato dopo, cioè il mio viaggio di sola andata. Devo dire che non sarei mai partita da sola per un’avventura così grande, se non avessi fatto anni di terapia. Conoscere me stessa, capire cosa voglio veramente e chi sono mi ha permesso di fare questa scelta. Altrimenti, anche io, come gli altri, avrei potuto vivere sommersa di cose da fare e persone da vedere, senza mai creare uno spazio dentro di me per ascoltarmi. Quando lo psicologo mi ha chiesto: “Ma lei cosa vorrebbe fare veramente?” ed io gli ho risposto: “Un lungo viaggio con un biglietto di sola andata”. Lui mi ha detto: “Lo faccia”. Abbiamo cominciato a lavorare in quella direzione, cercando di capire le paure e le gabbie che m’impedivano di partire. Lo racconto perché potrebbe essere utile a chiunque si senta bloccato. Sono partita con un biglietto di sola andata Milano-Buenos Aires, percorrendo, in nove mesi, tutto il Sud America, dall’Argentina alla Colombia, con una tappa di un paio di mesi in Guatemala. Ho fatto trekking a cinquemila metri d’altezza, ho dormito nel deserto, ho visto geyser, albe, tramonti, lama, pinguini, balene, Machu Picchu, spiagge paradisiache, metropoli pericolose e ho conosciuto nuovi amici da tutto il mondo, viaggiatori e nomadi digitali come me, di tutte le età e provenienze. Sicuramente mi sono sentita più compresa, capendo che ci sono molte persone come me, in giro per il mondo, mentre nel corso di una vita più ordinaria, probabilmente non le avrei mai conosciute.

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Hai anche fatto volontariato in Guatemala. Cosa ti ha spinto a compiere questa scelta? Ti va di parlarcene?

In realtà ho svolto un mese di volontariato, non nel senso classico del termine, cioè aiutando persone bisognose. Ho fatto una sorta di Work Away, lavorando per un centro di yoga in cambio di vitto e alloggio. In particolare, mi sono occupata dei social media e della comunicazione dell’azienda, che è stato molto interessante per vari motivi: abbatti le spese del viaggio e vivi per un periodo come una local con la tua routine e i tuoi impegni da rispettare. Nel mio caso, poi, mi sono occupata del marketing di un’azienda che non era la mia, quindi, ho trovato molto utile fare un’esperienza lavorativa al di fuori della mia attività. È stato molto complesso rispettare orari e richieste, dopo una vita da libera professionista e mesi di libertà con lo zaino in spalla. Non so se lo rifarei, in quel momento era quello di cui avevo bisogno, anche per mettermi in gioco dal punto di vista professionale per un’altra azienda, senza la pressione economica. Inoltre, io pratico yoga da molti anni, quindi, per me è stato molto bello poter migliorare la mia pratica e ricevere vitto e alloggio in cambio di qualche ora di lavoro al giorno.

Che consigli daresti ad altre persone che vorrebbero affrontare un viaggio a lungo termine in una parte di mondo lontana dall’Italia?

Se è la prima volta, consiglio di partire dal sud-est asiatico perché lo trovo più semplice, meno pericoloso e impegnativo del Centro America. Consiglio anche di non programmarlo troppo, di pensare magari ad alcune escursioni che non vuoi perderti, ma di prenotare soltanto il volo di andata e un paio di notti di ostello e costruire il viaggio un po’ a caso, mentre lo vivi, in base a quello che vuoi fare. Ricordo anche che il primo mese è molto strano perché non capisci veramente quello che stai facendo e ti sembra semplicemente una lunga vacanza ma poi, pian piano, entri nell’ottica e il viaggio comincerà a sembrarti la tua vita, avrai le tue routine, alcuni punti fermi o azioni che svolgi sempre, come fare la spesa appena arrivato in un posto nuovo o cercare uno studio di yoga o il rooftop dove incontrare nuovi amici o dov’è il mercato per interagire con i locals. Con il tempo, diventerai un esperto di come vivere la tua esperienza in maniera economica e autentica, in modo da entrare veramente a contatto con le culture del posto. Consiglio anche uno zaino piccolo, io ne avevo uno troppo grande, perché ho portato attrezzatura e vestiti per il trekking, per l’inverno e per l’estate. Considera che alcuni oggetti o vestiti li perderai o li vorrai regalare, quindi, non portare beni di grande valore e, se puoi, vendi un sacco di cose prima di partire. Sarà divertente, liberatorio e avrai più budget per il tuo viaggio.

Hai qualche consiglio in particolare per le viaggiatrici solitarie?

Consiglio sempre di iniziare step by step. Io avevo e ho tantissima paura di viaggiare da sola, negli anni è diventata una tipologia di paura diversa. All’inizio pensavo che mi sarei annoiata viaggiando da sola, ora ho paura che mi succeda qualcosa di brutto. Tutto questo per dire che abbiamo tutti paura e per anni questa paura ha bloccato anche me. Il mio consiglio è quello di andare prima a cena fuori da sola, poi magari organizzare un weekend a Madrid da sola e poi, finalmente, un viaggio di qualche giorno, poi di settimane, mesi, anni. L’importante andare per steps, per prendere confidenza con questa tipologia di viaggio.

Cosa diresti a un’amica italiana che vorrebbe trasferirsi in Australia?

Io dico sempre “Parti!” Negli anni, non ho mai sentito nessuno dire: “Ho sbagliato a partire”, si tratta sempre di esperienze. E spesso come andranno queste esperienze dipende quasi esclusivamente da te, dal tuo atteggiamento. Sembrerà banale ma ho sempre trovato utile essere sorridente, curiosa, avere una visione positiva del viaggio ed essere consapevole che è inevitabile che qualcosa vada storto. Insomma, l’importante è non scoraggiarsi se ci sono delle difficoltà, perché, uscendo dalla nostra routine, ci saranno sicuramente. Suggerisco di provare a pensare che queste difficoltà sono temporanee, si possono risolvere e spesso, al di là di queste, si trova un modo diverso, più bello, di vivere.

Ora ti definisci una “nomade digitale.” Ti va di parlarci meglio del tuo lavoro?

Continuo a curare la comunicazione di Just Australia, che rimane la mia azienda e, allo stesso, tempo sto prestando più attenzione ai miei social, sto preparando il mio sito web e sto curando la mia newsletter, ma ve ne parlerò più avanti. Il mio lavoro è comunque Just Australia e la mia passione è la scrittura. Vorrei che anche questa diventasse un po’ un lavoro.

Molte persone guardano ancora con scetticismo a questo termine. Cosa vuol dire, per te, essere una nomade digitale?

Significa poter lavorare a modo mio, in maniera libera. Anche quando lavoro da Milano mi sento una nomade digitale, a volte lavoro da un bar, altre da casa, altre da un coworking, magari il giovedì non lavoro e poi sto davanti al computer per tutta la domenica. Secondo me, essere nomadi digitali significa essere liberi, non seguire uno schema pre-impostato che non è il tuo, cosa che a me ha sempre fatto molto soffrire. Da quando ho scoperto che posso fare un po’ quello che voglio senza sensi di colpa, mi godo molto di più il mio stile di vita, che prima era quasi una condanna, perché mi sentivo diversa dagli altri. Ora è un privilegio che mi sono costruita.

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Hai anche una pagina Facebook molto seguita. Da cosa nasce questo tuo bisogno di raccontarti?

Nel 2017 ho fatto il mio primo viaggio da sola in Giappone e, da quel momento, ho cominciato a scrivere i miei racconti di viaggio sulla pagina Facebook che adesso ha oltre 10 mila followers. A me è sempre piaciuto molto scrivere, tanto che sono giornalista e vorrei continuare a fare questo lavoro. E forse lo faccio a modo mio, scrivendo sui social e sulla mia newsletter. Fare la giornalista in Italia e anche in Australia mi ha sempre richiesto di stare ferma in un posto per andare in redazione ed è per quello che ho sempre abbandonato il lavoro, in occasioni diverse. Scrivere online mi permette di essere libera, che è sicuramente ciò che interessa di più a me.

Pubblichi regolarmente i tuoi racconti di vita e di viaggio in una newsletter su Substack. Come mai hai scelto la newsletter piuttosto che, per esempio, un classico blog di viaggi?

Sto preparando anche il blog di viaggi, che richiede sicuramente più impegno nella realizzazione, ma anticipo il link, visto che lo sto pubblicando: www.ilariagianfagna.it

Ho scelto Substack perché avevo bisogno di raccogliere i miei racconti di viaggio da qualche parte. I racconti non parlano tanto dei luoghi che ho visto, ma delle cose che ho capito, in giro per il mondo. Posso ordinarli per paese visitato, visto che Substack è una newsletter dalle sembianze di un sito. Ogni mercoledì invio un racconto di viaggio.

Il sito, invece, mi serve come punto di riferimento per i luoghi che ho visto: itinerario, dove mangiare, dove dormire, cosa fare e tutti i consigli che posso dare a chi mi legge.

Ti capita, a volte, di ricevere critiche da chi ti segue? Che consigli daresti ad altri viaggiatori che si espongono sui social su come affrontare al meglio le critiche non costruttive che spesso arrivano?

Devo dire che ricevo pochissime critiche, forse perché la community è creata principalmente da persone che hanno già vissuto esperienze simili alla mia o che stanno pensando di partire in solitaria. Si tratta, quindi, di una community di persone molto simili ed io stessa traggo beneficio dal leggere commenti e messaggi scritti da persone che amano viaggiare o che hanno le mie stesse paure. A volte mi è successo di dover rispondere a qualche maleducato ma, ripeto, è molto raro che capiti. Io rispondo sempre con educazione, con diplomazia o con qualche battuta che spesso sdrammatizza e aiuta a capirsi meglio. Succede che un commento negativo si trasformi in uno “scusa” e una risata. Sono tutte modalità che ho imparato gestendo pagine Facebook molto grandi come quella di Just Australia, che ha quasi 100 mila follower. Ho capito anche che è anche molto importante – anzi, è fondamentale – essere sinceri, sé stessi e condividere molto con la propria community. Ad esempio, il fatto che io abbia condiviso da subito le mie paure mi ha permesso di creare una community basata sull’autenticità.

Progetti futuri?

Adesso voglio ripartire per il Centro America, perché ho visitato solo il Guatemala e vorrei andare anche in Messico. Ho letto che molti nomadi digitali si trovano bene in Centro America, perché ci sono molti servizi per chi viaggia e lavora. Di base, io cerco sempre un coworking e uno studio di yoga, questi sono i servizi indispensabili. Per quanto riguarda progetti a lungo termine, sinceramente non ne ho e credo che vada bene così. Voglio vivere seguendo quello che sento, senza obblighi o programmi.

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