Il cambio di prospettiva

Da adolescente e nei primi anni di gioventù il suo carattere era permeato dal tipico afflato di onnipotenza che ci pervade a quell’età: “posso uscire là fuori e spaccare il mondo”.  E’ un pensiero tipicamente giovanile e vivaddio che sia così!

Un’età in cui più per convinzione che per speranza  si affronta ogni tipo di situazione a testa alta e con una forza sovrumana: tutto è chiaro, tutto  limpido; o bianco o nero, o di qui o di là, o giusto o sbagliato, o “di successo” o “fallito”.

Il compromesso era un termine che non gli apparteneva, sarebbe stata un’ammissione di debolezza, il brivido provocato dalla confessione di  “essere un perdente”: no, le cose devono andare come dico io  e punto.

La sicurezza delle idee, il sangue che scorre nelle vene, la volontà di ferro che non può essere fiaccata da niente e nessuno: sono “gli altri” che avranno problemi, sono “loro che non ci riescono”, “lui non sa quello che sta facendo, dovrebbe fare così per poter andare avanti”.

L’ingenua arroganza di chi intimamente sente di poter arrivare ovunque a dispetto di tutto.

Gli anni passano in fretta, senza curarsi di noi…

Il ragazzo cresce, elabora, vince, perde, sbatte la testa, cade e si rialza.

Cambio di prospettiva

Le priorità e le mete da raggiungere cambiano, così come cambia anche la visione che lui ha del mondo e che il mondo ha di lui. Si confronta con i suoi limiti, vero momento di crescita e apprende che la vita non può essere solo “guerra”, ma spesso bisogna lasciare il passo alla “diplomazia”; rinvia le cavalcate con i guerrieri e si ferma un instante a pensare.

E’ più indulgente quando si sorprende ad abbandonarsi ad un attimo di quiete, a fermarsi  sul ciglio a osservare il lento e inesorabile scorrere del tempo e delle situazioni.

Quando si concede di vivere e godere a fondo dell’oggi, piuttosto che rincorrere senza freni un fumoso domani, quando la meta diventa la serenità piuttosto che la conquista. Arriva il momento dei bilanci, della rivisitazione con occhi, vita, esperienze diverse di tante situazioni.

La “riabilitazione” di quelle persone, e delle loro azioni, che magari aveva giudicato troppo frettolosamente o aveva condannato in base ai paradigmi di qualche anno prima e alle quali talvolta scopre di assomigliare più di quanto immaginasse.

Arriva il momento delle domande… scomode, pallose, dolorose….le ha sentite nascere e crescere dentro di lui come una malattia che si spande.

Cerca dapprima di controllarle e poi di nasconderle a se stesso e agli altri. Convivono con lui e lui con loro. Gli inibiscono il lucido ragionare, lo rendono inquieto, gli tolgono il sonno.

“E se questa fosse davvero la mia vita? E se questo, nel bene e nel male, fosse il reale risultato dei miei sforzi?”

L’obiettivo da raggiungere si rivela molto differente da quello che aveva immaginato e la sfida più grande diventa quella di riuscire a essere se stesso, fino in fondo, senza finzione e di riuscirci da subito. Qualunque cosa questo significhi, a qualsiasi prezzo, percorrendo il suo breve tragitto e affrancandosi dal giudizio altrui.

Mettendo se stesso al centro del suo cammino e scoprendo che la vera felicità non è un mero fattore economico ma ahimè è questione ben più complessa.  Consiste nella serenità dei suoi giorni, nella qualità del suo tempo, nella libertà delle sue scelte.

Ripenso a Woody Allen e a come, anche quella volta, ci avesse azzeccato.

<< La vita dovrebbe essere vissuta al contrario. Tanto per cominciare si dovrebbe iniziare morendo, e così tricchete tracchete il trauma è bello che superato.

Quindi ti svegli in un letto di ospedale e apprezzi il fatto che vai migliorando giorno dopo giorno. Poi ti dimettono perché stai bene e la prima cosa che fai è andare in posta a ritirare la tua pensione e te la godi al meglio. Col passare del tempo le tue forze aumentano, il tuo fisico migliora, le rughe scompaiono.

Poi inizi a lavorare e il primo giorno ti regalano un orologio d’oro. Lavori quarant’anni finché non sei così giovane da sfruttare adeguatamente il ritiro dalla vita lavorativa. Quindi vai di festino in festino, bevi, giochi, fai sesso e ti prepari per iniziare a studiare.

Poi inizi la scuola, giochi con gli amici, senza alcun tipo di obblighi e responsabilità, finché non sei bebè. Quando sei sufficientemente piccolo, ti infili in un posto che ormai dovresti conoscere molto bene. Gli ultimi nove mesi te li passi flottando tranquillo e sereno, in un posto riscaldato con room service e tanto affetto, senza che nessuno ti rompa i coglioni.

E alla fine abbandoni questo mondo in un orgasmo.>>

Annibale

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