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Cristian: sono stato arrestato in Burkina Faso, ho fatto spettacoli come clown per i bambini in Burundi, Ruanda e Uganda… vi racconto il mio viaggio in Africa a bordo di un van camperizzato

Cristian Biemmi viaggio in van in Africa

Cristian: vi racconto il mio viaggio in Africa a bordo di un van camperizzato

A cura di Maricla Pannocchia

Chi non ha mai sognato di esplorare il continente africano, al di là delle rotte più turistiche? Cristian, elettrotecnico bresciano, alterna anni in cui lavora ad altri in cui viaggia.

“Non m’interessano i viaggi ‘tradizionali’, non sono un turista”, dice l’uomo che, per vivere al meglio la sua avventura africana, ha camperizzato un van.

“I miei dubbi principali erano proprio relativi al van, visto che è stato costruito dai russi ed è adatto per le fredde temperature siberiane, non certo per il caldo africano,” continua l’uomo, “tuttavia, la ‘pagnotta’, com’è soprannominato il mezzo, ha anche dei punti positivi.”

A parte momenti di sconforto, solitudine e l’arresto in Burkina Faso, l’esperienza di Cristian è stata difficile ma meravigliosa. “Le persone del posto mi hanno accolto con gentilezza”, racconta l’uomo, “All’inizio magari c’era un po’ di scetticismo poi mi portavano acqua con cui lavarmi e qualcosa da mangiare.”

Il 2024 sarà dedicato al lavoro in India e negli Stati Uniti ma, poi, Cristian salirà di nuovo sulla sua “pagnotta” per un viaggio overland fino al sud-est asiatico oppure dal Canada alla Patagonia.

Ciao Cristian, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…

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Ciao a tutti, mi chiamo Cristian, sono un elettrotecnico bresciano di 45 anni e lavoro in giro per il mondo come supervisore freelance del montaggio e messa in servizio d’impianti industriali. Questo lavoro mi permette di crearmi anche lunghe finestre durante le quali faccio la cosa che più amo: viaggiare.

Quando e perché hai deciso di voler vivere quest’avventura?

L’Africa era il continente che avevo visitato meno e che mi ha sempre affascinato. A me, inoltre, piacciono le sfide difficili e questa senz’altro lo è stata. Sono stato il primo a raggiungere Cape Town dall’Europa attraverso la costa ovest africana con un Bukhanka.

Come hanno reagito amici, parenti e conoscenti quando hai comunicato loro la notizia?

Gli amici sono stati entusiasti e invidiosi, mentre la mamma ovviamente era preoccupata, anche se ormai è abituata a vedermi partire anche per lunghi periodi.

Come ti sei organizzato, prima della partenza?

In genere non faccio molti preparativi per i miei viaggi ma questo ha necessitato di qualche attenzione in più. Ho camperizzato il van (in maniera piuttosto essenziale), ho comprato dei ricambi e caricato attrezzi vari. Tutti i visti li ho fatti nelle varie ambasciate durante il tragitto.

Ti piacciono le sfide. Come mai?

I viaggi “convenzionali” non fanno per me. Non sono un turista e cerco di arricchire sempre di più il mio bagaglio di esperienze.

Finora, hai visitato 139 Paesi e, arrivato al 100esimo, hai scritto un libro. Puoi parlarcene?

Mi è sempre piaciuto scrivere appunti e sensazioni su un diario e mi sono posto il traguardo dei 100 Paesi visitati come obiettivo per cercare di riunire tutti questi appunti in un unico libro. Tutto il ricavato è destinato alla ONG “Los Quinchos” che opera con i bambini di strada in Nicaragua e che appoggio ormai da parecchi anni.

Ora sono a 139 Paesi in cui sono stato e il sogno sarebbe di visitarli tutti… Io non ho casa (abito sul furgone o a casa di amici) quindi, per decidere dove vivere, devo prima vedere tutto il mondo e scegliere il luogo migliore 😉

Adesso, entriamo nel dettaglio della tua avventura africana. Ricordi cos’hai provato il giorno in cui sei partito?

Ero entusiasta e curioso di vedere cosa mi aspettasse. Avevo un sacco di punti interrogativi, ma ero anche consapevole di non poter rispondere a tutte le domande che avevo nella testa e che la cosa migliore sarebbe stata vivere alla giornata.

Puoi raccontarci meglio del van con cui hai viaggiato?

I miei dubbi più forti in partenza erano proprio riguardanti il van.

Ero in Russia per lavoro e mi sono innamorato del Bukhanka (che, in russo, significa “pagnotta”). Questo è il nomignolo che i russi danno all’UAZ 452, mezzo di fabbricazione sovietica fin dagli anni ‘60 che continuano a produrre con le stesse modalità, solo con l’aggiunta di alcune, seppur poche, migliorie. È un mezzo rude, spartano, non facile da guidare. Esso ha pochi comfort, non ha aria condizionata e il motore è proprio accanto al sedile di guida. È un mezzo creato per le basse temperature siberiane e non certo per il caldo torrido africano.

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Il van è, tuttavia, un 4×4 molto solido e l’assenza di elettronica è senz’altro il valore aggiunto, in quanto più facile da riparare in caso di guasto.

Come organizzavi le tue giornate?

Immancabile il caffè con la moka la mattina e poi si parte. In genere guidavo la mattina per raggiungere la meta giornaliera, cercavo un posto dove accamparmi e, in serata, decidevo più o meno fin dove arrivare il giorno seguente. Ho sempre dormito sul van gratuitamente in diverse soluzioni: spiagge deserte, villaggi remoti, missioni cattoliche, stazioni di polizia, parcheggi di ristoranti o hotel, stazioni di pompieri o qualsiasi posto dove potevo stare tranquillo.

Come sei stato accolto dalle varie persone del posto che incontravi durante il tuo viaggio?

L’ospitalità e le generosità dei popoli africani è incredibile. Mi hanno sempre accolto con estrema gentilezza, soprattutto nei piccoli villaggi isolati. Magari all’inizio c’era un po’ di titubanza ma poi cercavo di far giocare e divertire i bambini con palloncini e piccoli trucchi di magia e conquistavo la loro fiducia.

Mi lasciavano parcheggiare nel villaggio, mi portavano un secchio d’acqua per lavarmi (non sempre facile da reperire…) e spesso anche un pasto caldo verso sera.

Credo che l’approccio con queste popolazioni sia fondamentale. Sorrisi e semplicità sono la chiave.

Ricordi quale incontro o esperienza particolare?

Ce ne sono stati moltissimi in quest’anno.

Provo a elencare i più significativi: l’incontro con Willys in Sudafrica, ex prigioniero politico durante l’Apartheid e amico di Nelson Mandela; assistere alla cerimonia del bull jumping in Etiopia; incontrare elefanti selvaggi risalendo fiumi sabbiosi in Namibia; dormire attorniato da giraffe e ippopotami in Botswana; sorvolare in elicottero le Cascate Vittoria; gli spettacoli  di clown che ho fatto in villaggi e scuole del Burundi, Ruanda e Uganda con un mio amico che mi ha accompagnato per 3 settimane. La lista sarebbe lunghissima…

Quali sono state le difficoltà più ardue da superare?

Il West Africa è senza dubbio la parte più complicata: tanti Paesi, quindi tanti visti, e migliaia di posti di controllo di polizia e militari.

Solo in Nigeria ne ho contati 325, escludendo quelli non ufficiali (ovvero fatti da persone non in uniforme) ai quali non mi fermavo nonostante le intimidazioni con bastoni, i quali spesso colpivano la mia “pagnotta”.

Ci sono stati dei momenti in cui sei caduto vittima dello sconforto più totale, tanto da pensare di mollare?

Per assurdo il primo giorno, quando sono stato derubato a Valencia mentre dormivo dentro il van in una stazione di servizio. Sono dovuto tornare a Brescia, rifare tutto ciò che mi avevano rubato e poi ripartire. Avevo seriamente pensato di mollare…

Ci sono stati spesso momenti di solitudine e malinconia, ma credo siano normali in un viaggio così lungo e complicato.

Quali sono state, invece, le gioie e le soddisfazioni più grandi?

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A darmi energia e motivazione sono stati i bambini che correvano in strada per salutare e sorridere alla “pagnotta”, rincorrendola per brevi tratti.

La soddisfazione più grande è stata forse raggiungere il Capo di Buona Speranza.

Hai documentato il tuo viaggio sui social? Perché?

Con cadenza di 3-4 giorni pubblicavo delle brevi clips con musica per cercare di documentare il viaggio.

L’intenzione era quella di mostrare l’Africa, un continente ancora sconosciuto ai più, con tutte le sue differenze e contraddizioni.

Durante il tuo viaggio, hai lavorato? Se la risposta è no, avevi messo dei soldi da parte?

Quando viaggio non lavoro.

Non avendo casa non ho spese fisse e tutto ciò che guadagno riesco a metterlo da parte per partire. Alterno anni di lavoro ad altri in viaggio.

Quali esperienze hanno “smontato” alcune idee che potevi avere su determinati Paesi o popoli?

Gli iracheni e i curdi sono stati forse la più grande sorpresa:. Sono popoli con un cuore grande e una generosità a tratti imbarazzante.

Ti è capitato, durante il viaggio, d’incontrare altri viaggiatori come te?

Molti overlanders, ma pochi viaggiatori veri, con i quali sono ancora in contatto.

Come per esempio Yvonne, una backpacker australiana che ha viaggiato con me per qualche settimana, oppure Hanna, una ciclista tedesca che ha attraversato il continente e che ho accompagnato nei due Congo, con la sua bicicletta sul tetto del Bukhanka.

Come hai affrontato eventuali momenti di solitudine?

I momenti di solitudine fanno parte di un viaggio del genere, sarebbe strano se non vi fossero. Bisogna affrontarli con serenità e accettarli. Tutto tempra.

Se potessi tornare indietro, faresti qualcosa diversamente?

In Burkina Faso sono stato arrestato per aver fatto una foto a una stazione di polizia. Il mio intento era puramente logistico, nel senso che dovevo trovarmi lì per richiedere un visto con la ragazza australiana che stava viaggiando con me e volevo mandarle la foto in modo che riconoscesse il luogo. I militari, però, non l’hanno intesa così…. Mi hanno tenuto sotto interrogatorio per 12 ore, pensando fossi una spia. Alla fine mi hanno rilasciato tra sorrisi e pacche sulle spalle.

Per il resto credo che rifarei tutto.

Che consigli daresti a chi vorrebbe vivere un’esperienza del genere?

Partire senza troppe aspettative e senza troppi programmi. Vivere il viaggio giorno per giorno; interagire il più possibile con la gente locale, che è la parte che più lascia ricordi nel cuore.

Sei stato anche in Medio Oriente. Quali Paesi hai visitato?

Il Medio Oriente lo conosco abbastanza bene perché ho lavorato in tutti i Paesi della penisola per diversi anni. Purtroppo il mio itinerario comprendeva anche Israele, Palestina e Libano, ma la guerra ha cambiato i piani.

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Ho imbarcato il van fino in Arabia Saudita, poi sono salito in Giordania, Iraq, Kurdistan e Turchia.

Che tipo di viaggio è stato questo e come mai lo hai scelto?

Un viaggio on the road. Credo che viaggiare overland (anche senza un mezzo proprio) sia il modo migliore per conoscere il nostro pianeta, percepire le distanze, incontrare gente con cui ascoltare e narrare storie, vedere il paesaggio cambiare e notarne le differenze.

Cos’hai imparato dalla tua esperienza africana?

Non si finisce mai di imparare, soprattutto il rispetto per le altre culture.

Ho imparato inoltre a lavarmi con mezzo secchio d’acqua, produrre il minimo d’immondizia evitando la plastica, guidare nel deserto e su strade al limite della percorribilità.

Cos’è, per te, il viaggio?

Penso che ognuno abbia delle priorità nella vita, la mia è il viaggio. Ho modellato la mia vita in modo tale da poter viaggiare il più possibile.

Molte persone, davanti a storie come la tua, sono scettiche e pensano che siano per pochi eletti. Cosa vorresti dire a queste persone?

Un viaggio del genere non è una passeggiata: le difficoltà sono tante e bisogna avere una grande forza di adattamento. Credo che chi voglia affrontarlo debba avere una discreta esperienza alle spalle.

Una frase che racchiuda la tua esperienza in Africa…

L’Africa è tutta da scoprire e il fascino è immergersi nella sua immensità e nelle differenze contraddittorie.

Progetti futuri?

A gennaio andrò in India e poi in USA per lavoro, per due progetti siderurgici. Credo quindi che il 2024 lo passerò così, poi ripartirò con la mia “pagnotta”.

Le ipotesi più papabili sono 2:

1. Viaggio overland fino al sud-est asiatico

2. Spedire il van in Canada e scendere fino alla Patagonia.

Per seguire e contattare Cristian:

E-mail: cristianbiemmi@yahoo.it

Facebook: https://www.facebook.com/cristian.biemmi.3

Instagram: cristian_biem

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