Antonio e la sua nuova vita sull’isola di Aruba. E il rientro in Italia.

A cura di Nicole Cascione

Quanti di noi hanno desiderato mollare tutto per trasferirsi ai Caraibi? Sicuramente molti. Antonio Iannone è uno di quelli che l’ha fatto: da manager per una casa farmaceutica svizzera a socio di un food truck itinerante sull’isola di Aruba.

Nel 2015 infatti Antonio è partito da Como, ha lasciato casa, lavoro, uno stipendio da sogno per iniziare una nuova vita ai Caraibi insieme alla sua famiglia.

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Ma vivere su un’isola, per quanto possa sembrare un sogno, ha i suoi pro e i suoi contro. Ed è così che dopo due anni, Antonio ha deciso di rientrare in Italia, dove lavora come professionista nel campo dell’innovazione agroalimentare.

Antonio, quando e perché ad un certo punto hai deciso di lasciare l’Italia e partire per Aruba?

Nel 2015, dopo una carriera decennale in una casa farmaceutica svizzera, ho deciso di mollare tutto e trasferirmi ad Aruba. Fino ad allora, la mia vita era decisamente più che appagante dal punto di vista economico, con uno stipendio da sogno, ma decisamente monotona dal punto di vista professionale e umano. Vivevo di una routine sveglia > corsa > doccia > colazione > auto > lavoro > auto > cena > film > letto. Sentivo che lentamente mi stavo spegnendo, quindi ho deciso di mettere un po’ di brio. Approfittando del fatto che il mio migliore amico si fosse già trasferito lì e dopo esserci stati in vacanza due volte, con moglie e figlia abbiamo deciso di trasferirci ad Aruba.

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Licenziarsi, mollare tutto e partire richiede una buona dose di coraggio. Quali erano i tuoi timori, i tuoi dubbi?

I timori erano ovviamente molti, ma più che altro legati all’adattamento, specie della bambina che ai tempi aveva 6 anni. Ma dopo i primi mesi di adattamento ha iniziato ad andare benissimo a scuola e tutto si è dissipato. Una cosa che mi piace sottolineare è che i due anni di scuola elementare fatti a Caraibi l’hanno formata molto a livello caratteriale.

Sei partito all’avventura o avevi pianificato tutto?

Avevo assolutamente pianificato tutto; trasferirsi con tutta la famiglia non permette improvvisazione. C’è inoltre da considerare che Aruba ha, fortunatamente, regole molto strette per l’immigrazione, con il permesso di soggiorno e lavoro che va pagato. Noi avevamo mandato tutti i documenti 6 mesi prima e il mio amico Davide ci ha trovato l’alloggio.

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Aprire un food truck, vivere in infradito e costume da bagno, sotto il sole caraibico. Un sogno per tanti, ma…cosa c’è oltre il sogno?

Beh, diciamo che il food truck per il quale sono entrato in società col mio amico non era proprio sulla spiaggia e il servizio di private chef aperto successivamente era “itinerante” con eventi anche sulla spiaggia. Fatte le dovute precisazioni, diciamo che far vacanza ai Caraibi è molto diverso da vivere ai Caraibi, specie se si lavora nella ristorazione. Le cose che ricordo con più dispiacere relative al fatto di trovarsi su un’isola in mezzo all’Oceano sono:

•   Le difficoltà negli approvvigionamenti, per qualsiasi cosa, dal cibo ai ricambi della macchina, alle materie prime

•   Il fatto di sentirsi, a lungo andare, un po’ prigioniero in una località che, per quanto paradisiaca, è comunque molto piccola

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Hai vissuto ad Aruba per circa due anni. Quali sono state le difficoltà che hai dovuto affrontare?

Non ricordo nessuna difficoltà in particolare, fatta eccezione per quelle che potrebbe incontrare qualsiasi ristoratore in qualsiasi parte del mondo (approvvigionamenti, ritardi, problemi con i clienti, recensioni). Sicuramente sia il fatto che sull’isola tutti parlano inglese e spagnolo (oltre al creolo locale, il Papiamento e l’olandese) sia quello di essere entrati da subito in sintonia con la piccola comunità italiana, ha favorito l’integrazione. C’è da considerare, e mi piace sottolinearlo, che gli arubian non sono proprio il popolo più ospitale del mondo.

Cosa poi ti ha spinto a rientrare in Italia?

Nessun motivo in particolare. Avevamo mille motivi per restare e altrettanti per tornare. Ceteris paribus, ha prevalso la nostalgia dell’Italia.

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antonio aruba

Di cosa ti occupi ora?

Sono rimasto nel mondo del cibo, ma da un diverso punto di vista, dando un enorme contributo alla creazione del settore “fooodtech” italiano, del quale sono considerato il punto di riferimento. Mi occupo di innovazione agroalimentare in maniera molto trasversale:

•       Consulenze a startup e grandi multinazionali su tematiche relative a comunicazione, investimenti e open innovation

•       Attività di giornalismo per alcune riviste di settore

•       Docenze presso una business school europea

Cosa ti piacerebbe trasmettere con la tua esperienza di vita?

Senza scadere nella banalità e nella retorica, vorrei consigliare a tutti di seguire quelle che sono le proprie passioni. Ammetto che al giorno d’oggi ciò forse non è sempre possibile e la gente non è disposta a rischiare, ma vedendo il fenomeno delle grandi dimissioni partito dopo il covid forse tale processo è già iniziato. Ovviamente la scelta non deve per forza essere drastica come la mia…

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