Girando il mondo in Vespa

Dodici Paesi, più di 70mila chilometri in 5 anni a bordo di una Vespa. Da Budoia a Melbourne, passando per Grecia, Turchia, Iran, Pakistan, India, Nepal, Thailandia (qui i nostri consigli per trasferirsi a vivere e lavorare in Thailandia), Malesia, Indonesia, Timor Est ed Australia.

È questo il viaggio intrapreso da Fabio Zambon e Lindsay Doig, una coppia italo-canadese, che dal 2012 – armati di casco e voglia di scoprire – non hanno mai smesso di girare il mondo. Lui, di professione programmatore informatico, è originario di Budoia in provincia di Pordenone. Lei, infermiera canadese, viene da Vancouver.

Si sono conosciuti in Laos lungo il fiume Mekong. Entrambi viaggiavano da soli. Una battuta via e-mail per condividere le spese per il noleggio di una motocicletta cinese e poi qualche migliaio di chilometri tra Laos, Cambogia e Vietnam. Sei anni dopo sono ancora insieme. Ancora in viaggio, senza più il problema del noleggio di motociclette.

La storia, la geopolitica, le culture più disparate e gli abitanti di terre lontane con le loro vicende, diventano idee fisse che li spingono a ripartire non appena se ne presenta l’occasione. In questo momento si trovano a Bishkek, in Kirghizistan, dove da Dubai è arrivata la loro amata Vespa (LML).

Si tratta del loro terzo viaggio, dopo Budoia (PN) – Melbourne in 14 mesi e 40000 km, e dopo Vancouver – dove nel frattempo hanno messo radici – fino a Panama e ritorno.

Parte di questo secondo viaggio alla scoperta del Centro America è diventata un libro, Inseguendo le ombre dei colibrì pubblicato da una casa editrice di Lecco. Più che un romanzo, un reportage di viaggio che entra nel cuore della regione centroamericana con un occhio di riguardo per la storia recente e i tumultuosi anni post-indipendenza.

In ogni viaggio un’emozione diversa. Gli incontri, i sorrisi, le strette di mano, gli aiuti ricevuti da sconosciuti, i pranzi condivisi, diventano per Paolo e Lindsay esperienze indimenticabili, forse il vero motore della loro avventura.

paolo e lindsay

Paolo, da quanto tempo è iniziato il tuo viaggio in Vespa e perché hai deciso di intraprenderlo?

«Io e Lindasy abbiamo lasciato l’Italia nel settembre 2012 e, con due pause lavorative in Canada indispensabili per rimpinzare il conto in banca e resettare il contachilometri delle emozioni, arrivando ad oggi.

Il perché: la passione per il viaggio inteso come momento di contatto con culture diverse, di incontro con ciò che è differente, di analisi della storia di nazioni distanti. Tutti elementi che soddisfano la sete di movimento intrinseca nell’uomo».

Perché tra tanti mezzi hai scelto proprio la Vespa?

«Che sia bella è indiscutibile. A parte il lato estetico che ho imparato lungo la strada essere una chiave che apre sorrisi e stimola la curiosità degli altri verso di noi, le esperienze di viaggio pre-Vespa necessitavano di un’iniezione di autonomia e indipendenza di movimento.

La bicicletta, grande sogno, si rivelò inadeguata alle mie capacità mentali e le moto di grosse cilindrata un’opzione troppo veloce. Una via di mezzo affascinante? Naturalmente la Vespa. Dopo la prima tappa ho provato un senso di felicità pura.

Gli spostamenti via terra sono normali attraversamenti di frontiera talvolta con qualche inghippo per l’importazione di un veicolo straniero. Voli e trasporti marittimi che si cerca di limitare, sono più pesanti da un punto di vista logistico e, soprattutto, finanziario».

La tua compagna Lindsay ti ha seguito subito in questo tuo “percorso” di vita?

«La realtà è che avevamo gli stessi “percorsi di vita” e, incontrandoci, i percorsi sono diventati uno solo».

Siete ormai giunti al vostro terzo viaggio. Parlaci dei primi due.

«Nell’ormai lontano settembre 2012 – il 15 per l’esattezza – siamo partiti da Budoia e ci siamo diretti verso Oriente. Grecia, Turchia, Iran, Pakistan, India dal Punjab fino alla punta estrema Kanyakumari per poi risalire fino a Calcutta prima di toccare Varanasi e poi il Nepal. Dal Nepal abbiamo preso un volo per Bangkok e anche alla nostra amata Vespa è toccata la stessa sorte. Impacchettata e recuperata dopo una settimana all’aeroporto di Bangkok.

Dalla capitale Thailandese siamo scesi verso Sud per poi entrare in Malesia e quindi Singapore. Dopo una settimana nella città-stato siamo tornati in Malesia dove ci siamo imbarcati per l’Indonesia, l’isola di Sumatra per la precisione.

Da lì è iniziato un lungo percorso contrassegnato dai passaggi tra le isole indonesiane: Sumatra, Java, Bali, Lombok, Sumbawa, Flores ed Timor-Occidentale. La penultima nazione fu Timor-Est e poi è giunta l’ora del gigante australiano. Da Darwin abbiamo percorso migliaia di chilometri per raggiungere la costa orientale a Brisbane e da lì scendere fino a Melbourne dove abbiamo concluso il viaggio dopo 14 mesi e 40.500km.

Da Malbourne siamo tornati a Vancouver dove viviamo e abbiamo spedito la Vespa con l’idea abbastanza chiara di intraprendere il viaggio in Messico e Centro America.

Dopo 9 mesi di lavoro e rinunce, il 15 settembre 2014 con il furgone dei genitori di Lindsay abbiamo lasciato il Canada per raggiungere, 5 giorni dopo, il confine tra Stati Uniti e Messico a Nogales. Siamo scesi fino a Panama passando per diversi stati messicani ed entrando poi in Guatemala.

El Salvador, la porzione mignon di Honduras che si affaccia sull’Oceano Pacifico, Nicaragua, Costa Rica ed infine Panama. A metà febbraio abbiamo iniziato la risalita toccando nuovamente il Costa Rica ed il Nicaragua battendo strade non percorse in fase di discesa. Abbiamo attraversato l’Honduras fino alla costa caraibica e poi il Guatemala con la regione del Petén ed il Belize.

Da qui siamo rientrati in Messico raggiungendo Veracruz dopo aver viaggiato nella penisola dello Yucatan. L’ultimo mese abbiamo tagliato il Messico in due per tornare il 10 maggio 2015 a Nogales».

Parte della vostra avventura in giro per il mondo è diventata un libro “Inseguendo le ombre dei colibrì” pubblicato da una casa editrice di Lecco. Cosa racconta la tua opera?

«Racconta di parte del secondo viaggio e analizza i primi tre mesi di Messico e le esperienze in Guatemala ed El Salvador. Ci sono storie e incontri che illustrano il presente di questo ponte vitale tra Nord e Sud America.

Un percorso tra monti, foreste tropicali e il calore latinoamericano che si snoda tra i fasti di città coloniali, rovine precolombiane, capitali cresciute a dismisura e villaggi assonnati. È un reportage di viaggio con un occhio di riguardo per la storia recente e i tumultuosi anni post-indipendenza. Cultura, tradizione, politica e diritti civili si intrecciano nel racconto delle esperienze vissute nella prima parte del viaggio.

Si trovano annotazioni storiche e conversazioni avute con chi queste vicende le ha vissute da vicino e oggi ne subisce le conseguenze. Ho raccontato di uomini e donne che nel raccontarsi toccano quelli che sono i grandi temi d’attualità: narcos, disuguaglianza sociale, emigrazione, gang».

Adesso vi trovate a Bishkek. In cosa consisterà questo terzo tour e quando durerà?

«Il terzo tour è iniziato a dicembre da Dubai. Consta di tre parti distinte culturalmente. Emirati Arabi Uniti e Oman.

Iran e Asia Centrale e la terza parte che consiste nel rientro verso l’Italia con due opzioni una a Nord ed una a Sud del Mar Nero. L’attraversamento dell’Iran non è stato possibile per via di alcuni problemi diplomatici tra Canada e Iran ed ecco spiegato il perché del nostro volo Dubai – Bishkek. L’idea è tornare in Italia dopo ormai 5 anni con lo stesso mezzo all’incirca in ottobre o novembre».

GIRO DEL MONDO IN VESPA

Più di sessantamila chilometri e dodici Paesi visitati in cinque anni. Che cosa ti ha colpito di più dei tanti posti che hai visto?

«Difficile da dire. Ogni luogo ha la sua lista di peculiarità – positive o negative – che andrebbero menzionate. Cito senza riflettere troppo perché più penso e più la lista si allunga. La raffinatezza ed accoglienza iraniana, le contraddizioni indiane e, una cosa che ho riscontrato ovunque, un senso di fratellanza che ci ha sempre fatto sentire bene accetti nonostante enormi differenze culturali».

C’è stato un luogo che ti ha emozionato più di altri?

«Anche in questo caso è difficile da dirsi. Ci sono monumenti, come ad esempio il Taj Mahal che francamente non credevo potesse impressionarmi più di tanto, che ti lasciano senza parole. Lo stesso dicasi per paesaggi naturali.

Gli incontri, i sorrisi, le strette di mano, gli aiuti ricevuti da sconosciuti, i pranzi condivisi, gli inviti a casa di gente conosciuta dieci minuti prima, sono tutti episodi che emozionano l’animo del viaggiatore. Poi ci sono quegli attimi che magari durano pochi secondi o qualche minuto al massimo. Sono frutto di una combinazione perfetta di luce, magari verso il tramonto, temperatura dell’aria, di una giornata vissuta pregna di incontri speciali.

Ti senti pervaso da un senso di gioia e soddisfazione. Ovunque tu sia questo senso rende magico qualsiasi cosa ti circondi e allora magari ti fermi e ti capita che una lacrima possa scendere e capisci che cos’è la felicità».

Come è stata l’accoglienza nei tanti Paesi che avete avuto modo di scoprire?

«L‘accoglienza e il calore della gente è ciò che stupisce e credo sia una delle componenti che fa muovere chi si ammala di viaggi».

Sei stato in moltissimi posti, alcuni dei quali molto difficili dal punto di vista politico e sociale. C’è un luogo in cui hai avuto più paura oppure in cui ti sei trovato in difficoltà?

«Episodi spiacevoli non me ne vengono in mente ad eccezione di noie tecniche che fanno parte del viaggio. Un po’ di timore c’è stato entrando a Tegucigalpa in Honduras quando alcuni balordi in periferia hanno tentato di fermarci ma siamo riusciti ad evitare che la situazione degenerasse. La situazione generale i primi giorni in Pakistan non era delle migliori e le prime ore nella città di Quetta furono senza ombra di dubbio piuttosto tese. La città era ed è tutt’oggi filo-talebana».

Nonostante tu sia sempre in “movimento”, hai messo radici a Vancouver in Canada. Come si vive qui?

«Città straordinaria. Ordinata, pulita, funzionante e straordinariamente organizzata attorno al pedone/ciclista. Sul mare ma con i monti a venti minuti di macchina. Sebbene manchi una parte storica importante – per questa in Canada bisogna muoversi verso est -, mi ha fatto innamorare dopo soli pochi giorni di permanenza. Ha la pecca di essere costosa, ma ci si può organizzare per far fronte al problema».

Come riuscite tu e Lindasay a conciliare i vostri lavori con i viaggi in Vespa?

«Si risparmia molto quando non si viaggia e fortuna vuole che uscite a piedi e giri in bicicletta sono gratuite. La ricerca di lavoro una volta rientrati dai nostri viaggi non rappresenta un grosso problema a Vancouver».

Progetti per il futuro?

«Parecchi. Molti sono legati alla scrittura e molti di più al mondo dei viaggi. Ma davanti a noi abbiamo non meno di 7 mesi di scoperte ed emozioni. Per il momento basta ed avanza».

Per acquistare il libro di Paolo Zambon, “Inseguendo le orme del colibrì”, potete farlo collegandovi qui.

Per scrivergli una e-mail questo il suo indirizzo: paolo81cfm@gmail.com

Di Enza Petruzziello