Trasferirsi a Parigi per amore

Mi sono trasferita per amore e tutto è accaduto in modo piuttosto rapido. Ho incontrato il mio attuale marito, Carlo, alla fine del febbraio ’96: ci ha presentati un’amica comune. Siamo usciti a cena in gruppo e ho trovato lui, che già viveva a Parigi, irresistibile. Però Carlo non mi era sembrato altrettanto colpito da me. Invece qualche tempo dopo, tornando nuovamente in Italia, chiese alla nostra comune amica di potermi rivedere. Così ci incontrammo ad una festa il 30 aprile. Primo bacio ma nient’altro.

A metà maggio andai a trovarlo a Parigi. Poi partimmo la prima settimana di giugno per un lungo week end a Lampedusa. Tornati da Lampedusa avevamo già deciso di passare le vacanze d’agosto insieme. Al ritorno, a settembre, rassegnai le dimissioni e il 18 gennaio 1997 arrivai a Parigi nella mia nuova casa”. Sono passati ormai vent’anni da quel giorno e Paola Vallatta ci racconta com’è cambiata la sua vita e Parigi, sua città d’adozione.

Paola Vallatta

Paola, sono quasi vent’anni ormai che vivi a Parigi. Come e in cosa è cambiata in tutti questi anni?

Domanda da un milione di dollari. Per alcuni aspetti Parigi è immutabile e immutata, per altri muta continuamente. Anche se è una cosa un po’ imbarazzante, citerò me stessa, o, meglio, parte della prefazione a una guida che scrissi nei primi anni 2000 (nel 2003/2004, mi pare): «Parigi sembra immobile, come una vecchia signora davvero per bene quando si trova in società. Parigi, nelle cartoline, ha l’aria fissa e immutabile da oltre 100 anni: la torre Eiffel, l’Arco di Trionfo, Notre-Dame, Monmartre. Parigi, nel ricordo di chi c’è stato, è come l’ha fatta il barone Haussmann, l’uomo che alla fine del XIX sec. ha raso al suolo le viette della città medievale e disegnato i grandi assi, i Grand Boulevard e, insieme, il nuovo volto della capitale. (…) Ma, sotto la maschera da vecchia signora, (…) Parigi va avanti con l’entusiasmo di una ragazzina, si scrolla di dosso i panni da vecchia signora e, oggi come nel passato, osa un matrimonio che quasi ovunque, altrove, rasenterebbe l’impossibile: quello dell’antico con il nuovo, nuovissimo».

Quali sono i pro e i contro del vivere a Parigi?

Ahi, ahi, ahi: tutti i miei amici mi ritengono, a ragione, temo, ridicolmente francofila. Nel senso che mi trovano pressoché acritica nei confronti della Francia e di Parigi. Dunque temo che i pro batteranno i contro nella mia descrizione, ma sono certamente poco obiettiva: amo la mia città adottiva come se fosse una persona. Dunque: Parigi è bellissima e questo lo sanno tutti, certo, non bella come Roma, ma bellissima. Per di più offre tantissimo: teatri, cinema, mostre, bar, ristoranti, gallerie d’arte, etc. E’ una città ricca e vivace, divertente e persino un po’ debosciata. I trasporti funzionano benissimo, i velib (le biciclette pubbliche, diciamo) pure, i servizi, in generale, anche. Poi, certo, può essere una città che respinge: i parigini hanno fama di essere odiosi e un po’ lo sono, lo sanno pure loro. Dico sempre che sono «milanesi al cubo», quindi a me, milanese, non urtano granché: ci si fa il callo. E poi li disarmo sorridendo: nel 90% dei casi funziona.

Più in generale, come si vive a Parigi?

Come si sarà capito io ci vivo benissimo. È una città difficile, dove la vita è molto cara, dunque ci si può stare davvero bene a patto di avere un lavoro e uno stipendio decenti. Poi la vita che si fa dipende molto dal quartiere in cui si vive. Circola una cartina, che ti allego, con la «nuova mappa» di Parigi che spiega meglio di tante parole le varie personalità di questa città. Nei miei primi dieci anni qui vivevo in un’area che sta tra «Touristes» (turisti) e «Richoux» (riccastri), ma ora, dal 2007, sono finalmente arrivata a casa e abito tra «Boire des coups» (bere un bicchiere) e «Annexe de Hipsters» (dépendance degli hipster): c’è parecchia differenza tra l’est e l’ovest della città, ben più che tra «rive gauche» e «rive droite».

Essere una giornalista freelance a Parigi: un sogno o un incubo?

Quando sono arrivata, vent’anni fa, è stato tutto facilissimo: ero a Parigi da pochi mesi quando mi hanno proposto di curare una parte di una guida per Mondadori, il che mi ha permesso di esplorare e conoscere la città in profondità. Nel frattempo collaboravo con qualche rivista, mi pare D, forse Dove, non so più cos’altro, e non molto tempo dopo iniziai a lavorare per MF Fashion, che all’epoca era quotidiano (usciva quattro volte la settimana, dal martedì al venerdì). Scrivevo tantissimo: anche più di un pezzo al giorno, talvolta. E anche quando terminò la mia collaborazione con loro, fino almeno a tutto il 2006 andò benissimo. Da allora, cioè da dieci anni a questa parte, siamo più vicini all’incubo che al sogno: poco lavoro, ma, soprattutto, mal pagato o non pagato. Quindi sono sempre meno giornalista, anche se continuo, più per abitudine che per altro, a essere iscritta all’Ordine e a lavorare di tanto in tanto per qualche rivista o giornale italiano. Ma non ci campo, non più.

Nell’ambito del giornalismo, quali differenze hai potuto riscontrare tra l’Italia e la Francia?

Direi che qui si è presi molto più sul serio e che la professione è assai più rispettata in Francia che in Italia. Anche qui la stampa è molto in crisi, ma ancora non siamo agli stessi livelli da panico dell’Italia.

Ti manca qualcosa dell’Italia?

La mia risposta preferita a questa domanda è sempre la stessa: i pomodori e gli sguardi degli uomini. Naturalmente è una battuta. Direi che mi mancano gli italiani, anche se pure a Parigi sono tanti e ne frequento tanti. Comunque un’altra cosa che dico spesso è che non c’è situazione migliore di quella di un’italiana a Parigi.

I continui avvenimenti terroristici hanno destabilizzato l’equilibrio del Paese? In che modo?

L’equilibrio del Paese non saprei. Certo l’hanno scosso. Molto profondamente. Lo choc collettivo sembra superato, anche se siamo sempre in stato di emergenza, ma moltissime persone che vivono qui non hanno affatto superato lo choc individuale. Parlo dei parigini, naturalmente, perché del resto della Francia so poco da questo punto di vista. Se prendo a esempio me stessa, beh, devo confessare che ogni volta che passo davanti a uno dei luoghi della strage del 13 novembre 2015, cosa che mi capita spesso perché abito nell’area colpita, provo una stretta al cuore. E non è una metafora zeppa di retorica come può sembrare: è proprio una sorta di dolore fisico, un velo nero che mi ricopre un istante. Lo so, sembra molto stupido, ma è assolutamente vero.

Come li hai vissuti tu personalmente?

Ho scritto tre pezzi a caldo:

http://viaggi.corriere.it/viaggi/eventi-news/la-parigi-che-avremmo-voluto-raccontare-e-che-torneremo-a-raccontare/

www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/servizi/parigi-giorno-dopo-vallata/

https://anpimilano.files.wordpress.com/2015/12/anpi-oggi-dicembre-2015.pdf (Parigi, un maledetto venerdì 13, a pag. 7)

poi ne devo aver scritti ancora. Per il mio blog, per altri, non so più. Posso dire che mentre rispondo piango: faccio ancora fatica a parlarne. Anche se ne ho parlato tanto e ne ho scritto, se torno indietro con la memoria e mi ricordo quella sera e i giorni che seguirono, provo lo stesso dolore.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Vorrei rimanere qui ancora un po’: questa è casa, per me, Parigi è la mia città, il mio luogo del cuore. Potrebbe essere difficile continuare a vivere qui, quindi, forse, tra qualche anno ce ne andremo. In un posto dove la vita sia più facile e costi meno, magari. Chissà.

I blog di Paola:

http://virginie-unduetrestella.blogspot.fr/

http://laturistasmarrita.blogspot.fr/

A cura di Nicole Cascione