Trasferirsi a vivere a Bali

“Le cose che possiedi alla fine ti possiedono” Questo pensiero cresceva in noi giorno dopo giorno. Le abitudini ci stringevano in un abbraccio senza respiro che lentamente ci aspirava l’anima”. Paolo e Sara: casa di proprietà, feste con amici e tutti i comfort che una metropoli come Milano può offrire a una famiglia benestante. Poi LA scelta. Un viaggio che ha cambiato le loro vite e che ha dato loro la spinta per mollare tutto e partire. Destinazione: Bali, una delle mete spirituali, e non solo, più ambite da chi sceglie di ricominciare.

Paolo, Sara, quando è scattata in voi la scintilla del cambiamento?

La scintilla vera e propria è scattata di ritorno dal viaggio più bello della nostra vita.

Aereo per gli Stati Uniti e poi macchina toccando Colorado, Wyoming e Montana attraverso scenari straordinari e un regno animale che lascia un segno indelebile. Poi nello stato di Washinghton, dove ci aspettava il clima pungente di Seattle insieme alla sua ricchissima popolazione di creature marine. Diretti sempre più a Nord, ci siamo imbarcati per il Canada e abbiamo incontrato Victoria, inaspettata città coloniale. Poi in macchina, sempre più su per l’isola di Vancouver Island, fino ad arrivare all’estremo nord in un ex villaggio di pescatori ora adibito a Hotel. Telegraph Cove ha superato ogni più rosea aspettativa, è splendida e mantiene intatto il freddo fascino del Nord. L’escursione per vedere i Grizzly è una delle cose più emozionanti e affascinanti che abbiamo mai visto (e di cose belle, nei nostri viaggi, ne abbiamo viste davvero molte). Un volo di sette ore ci ha portato a O’ahu una delle sette isole delle Hawaii. Clima inimitabile, natura da Jurassic Park e una metropoli, Honolulu, incredibilmente ben inserita in un contesto selvaggio, che poco avrebbe a che fare con grattacieli e autostrade.

Proprio alle Hawaii abbiamo cominciato a sognare ad occhi aperti. Ci domandavamo, insieme ai nostri figli Jacopo e Tommaso, se fosse possibile vivere in contesti diversi da quelli in cui eravamo cresciuti, a cui eravamo oramai assuefatti. Di ritorno a Milano, dopo la prima settimana di routine, stavamo già studiando una possibile meta di una possibile vita alternativa.

una famiglia italiana a bali

Cosa vi rendeva insoddisfatti della vostra vita in Italia?

In Italia non stavamo male. Io e Sara avevamo un ottimo lavoro, guadagnavamo bene.

Casa di proprietà, macchina, feste con amici e tutti i comfort che una metropoli come Milano può offrire a una famiglia benestante. Tuttavia eravamo infelici. “Le cose che possiedi alla fine ti possiedono”. Questo pensiero cresceva in noi giorno dopo giorno. Le abitudini ci stringevano in un abbraccio senza respiro che lentamente ci aspirava l’anima. Non amiamo Milano. La frenesia di una città che non si ferma mai, che ti trascina nel suo moto perpetuo, senza darti mai il tempo di pensare. Ti perdi lungo i rumori, il traffico, la multimedialità sfrenata e le chiacchiere da ufficio. Mai centrato, mai risolto. Una lenta angoscia si impadronisce di te. Cerchi di liberarti ma ti accorgi che sei libero solo quando viaggi, quando non sei aggrappato a quel tram che corre troppo veloce, di cui non hai mai comprato il biglietto. Il lavoro ci ha dato il colpo di grazia. Le continue scorrettezze, l’inadeguatezza e l’ignoranza dei capi, la superficialità e la costante ricerca di apparire e mai essere, ci hanno resi statue impermeabili ai sentimenti e alle emozioni. Ma se bisogna lavorare senza provare nulla per quello che fai, allora è meglio tagliare tutto. Perché senza passione non siamo nulla. L’Italia è un Paese splendido, troppo bello, troppo facile da derubare. Un gioiello che splende sotto un metro di arido terriccio. Potrebbe offrire grandissime possibilità; ma dove non c’è acqua come si fa a far crescere qualcosa?! E in un Paese dove le opportunità sono solo fantasmi del passato, in quei rari momenti in cui ti capita di fermarti a pensare, capisci che non c’è futuro per te e per i tuoi figli, che, per quanto possa sforzarti, non puoi riuscire a far scendere succo da un frutto secco.

Di cosa vi occupavate a Milano?

Lavoravamo in pubblicità. Io mi occupavo di raccolta pubblicitaria per Publikompass, nota Concessionaria milanese del quotidiano La Stampa, mentre Sara ha lavorato per molti anni come Advertising Manager di Style e Vanity Fair, ancor più nota testata del gruppo editoriale Conde’ Nast. Le nostre società erano un fiore all’occhiello, un punto di arrivo per la maggior parte delle persone che aspiravano ad entrare nel fantastico mondo della reclame. Quotidiani, periodici, Tv, radio, internet e chi più ne ha più ne metta. Un assortimento di mezzi e di clienti che divertivano in un ambiente giovane e brillante. Poi è arrivata la crisi. Ma la vera crisi non è stata quella economica (con una perdita del settore di circa due miliardi di euro in pochi anni), quanto quella morale e professionale. Il settore pubblicitario ha affrontato il problema contingente con cecità e bassissima propensione al cambiamento. Le concessionarie si sono inabissate sotto il peso della propria inadeguatezza e l’incapacità di chi le governava. Invece di investire maggiormente in esperienza, hanno preferito licenziare i più esperti di noi, i migliori, per far posto ai nuovi giovani, pagati niente perché dovevano ancora imparare il mestiere. Con un mercato in prepotente ribasso, venivano proiettati all’interno dei consigli di amministrazione crescite da allibratori impazziti. Una serie di percentuali di incremento e di guadagno che neanche Houdini si sarebbe mai sognato di pensare. Un gioco al massacro in cui siamo stati coinvolti tutti quanti. D’altronde non puoi chiedere di riempire un vaso pieno di acqua, se nel pozzo di acqua non ce n’è più.

Per quale motivo avete deciso di trasferirvi definitivamente a Bali e perché avete scelto proprio quella destinazione?

Bali ci è stata consigliata da un’amica. Una volta saputo che volevamo andarcene dall’Italia, ci ha esplicitamente detto che era un’isola che poteva fare al caso nostro. In effetti i motivi sono moltissimi. Il basso costo della vita, le scuole internazionali per i nostri figli, il clima equatoriale, il mare, la natura in ogni sua forma. Difficile riassumere in poche righe i vantaggi di quest’isola. Direi comunque che uno dei motivi più importanti rimane la possibilità di costruirsi un futuro e di regalarne uno ai nostri figli. Le opportunità qui non mancano, i sogni si possono ancora avverare. Certo, non è facile. Ci vuole forza di volontà, impegno e coraggio. Ci vuole coesione, comunione di intenti, sacrificio. Questo non è il paradiso, Bali non ti regala nulla. Ma se guardi lontano e hai una buona vista, puoi scorgere qualcosa che in Italia non si vede più da troppo tempo: una chance!

Di cosa vi occupate?

Io faccio il fotografo professionista. Sara si occupa dell’organizzazione di tutti i nostri viaggi fotografici. Insieme abbiamo costruito un sito Internet (www.paolocastellari.com) che raffigura il nostro biglietto da visita. Il sito ha due facce. La prima, quella fotografica, racconta un portfolio piuttosto vasto e variegato di scatti sviluppati in Indonesia e nel resto del mondo. Le foto vengono vendute singolarmente, tuttavia offriamo ai nostri clienti progetti di interior design per arredare ville, appartamenti e uffici, grazie alla realizzazione di composizioni tematiche e mosaici fotografici, proposti attraverso la creazione della nostra Società VIVO ART EXPERIENCE . La seconda faccia è dedicata al nostro blog, iCastell, dove raccontiamo le nostre esperienza di vita e di viaggio. Contributi emozionali ed esperienziali, fotografici e testuali, per cercare di mostrare la realtà di una vita combattuta tra la voglia di viaggiare per sempre e la necessità di avere una casa in cui tornare.

una famiglia italiana a bali

Com’è stata accolta la decisione di trasferirvi dai vostri figli?

Jacopo aveva tredici anni quando gli abbiamo spiegato le nostre intenzioni. Per lui non è stato facile. Inizialmente non ci ha dato troppo credito e forse non ce ne davamo neanche noi. Poi con l’avvicinarsi della data prestabilita, qualcosa è cambiato. Ha capito che avrebbe dovuto lasciare un mondo che aveva imparato a gestire per qualcosa che non conosceva affatto. Una sorta di viaggio interstellare alla scoperta di un nuovo pianeta, comandante di una navicella non sua, senza pulsanti da poter controllare. Abbiamo cercato di aiutarlo a capire che quel viaggio era un po’ anche suo, che gli avrebbe offerto nuove opportunità, che lo avrebbe fatto crescere più forte, più coraggioso. Frecce per affrontare un domani incerto, pieno di sfide e di concorrenti agguerriti. Ma come si può raccontare ad un ragazzo, per quanto intelligente e saggio per la sua età, che lascia il suo migliore amico, i suoi compagni, la scuola, un’ipotesi di ragazza, una lingua conosciuta, i propri parenti e tutte le sue cose e abitudini per il suo bene? È difficile. Tommaso di anni ne aveva otto. Ma con lui è stato un discorso diverso. Perché Tommaso è figlio del mondo. Probabilmente, se lo portassimo a vivere al Polo Sud, farebbe amicizia con un gruppo di pinguini. È fortunato. Questa sua incredibile capacità e facilità nel socializzare con il prossimo, lo aiuta a superare qualsiasi avversità. Certo anche con lui abbiamo adottato delle tecniche psicologiche basate su anni di studio e di esperienza: “…e poi a Bali ti compreremo finalmente un cane!” Non ci è voluto molto altro.

Italia – Bali: quali sono le differenze culturali che avete riscontrato? E quali sono le difficoltà che state affrontando nella fase di integrazione?

L’Indonesia è un Paese mussulmano. Bali è un mix di Induisti e Animisti. Chiaro che la cultura viene influenzata direttamente dall’aspetto religioso. Questa è l’isola degli Dei. Ci sono più templi e cerimonie su questo piccolo pezzo di terra, che in tutto il resto del pianeta. I balinesi vivono aggrappati alla loro fortissima credenza religiosa che ne regola ogni aspetto della quotidianità. I sacrifici sono materiali e spirituali. Un cucciolo di cane portato alla morte dal proprio padrone, che ne accarezza il pelo e lo coccola come un figlio, è un’immagine forte e difficilmente comprensibile. I nostri occhi si rifugiano in basso, vicino ai piedi, cercando, proprio in quel punto, un granello di razionalità, una spiegazione logica. I loro restano puntati in alto, fieri, orgogliosi. Convinti che quella sia la cosa giusta da fare. Allo stesso modo, con la stessa fierezza e convinzione, sacrificano loro stessi, il loro tempo e le loro scarse risorse economiche; tutto pur di far felici gli Dei.

Dal punto di vista più pratico, invece, le differenze culturali si notano nella gestione del tempo e dei trasporti. Per gli abitanti dell’isola il tempo non è un’unità di misura, è piuttosto un’indicazione di intenti. Quando un balinese ti dà appuntamento alle 14.00 del pomeriggio, non significa forzatamente che si presenterà a quell’ora nel luogo indicato. Esprime l’intenzione di incontrarti, prima o poi. Potrebbe essere alle 11.00 alle 17.00 oppure alle 14.00 del giorno dopo. Seguire la loro navigazione temporale è cosa ardua, per non dire impossibile. O ti adegui oppure soccombi. Il traffico è un po’ come il tempo: un liquido che si muove secondo regole di adattamento disorganizzato. La spiegazione è molto chiara. Bali non è un Paese ricco. L’unico mezzo di trasporto accessibile ai più è il motorino. Non esistono scuole di guida. Non ci sono patenti. Risultato, due milioni di scooter comandati da bambini, donne, uomini, vecchi, intere famiglie e intere famiglie con oggetti in braccio. La sensazione, mentre ti aggiri per le strade dell’isola, è che i balinesi abbiano scambiato gli specchietti retrovisori per un oggetto volto a garantire l’ultimo check della pettinatura all’arrivo. I pochi che si possono permettere la macchina (che sono comunque molti) la guidano esattamente come fosse un mezzo a due ruote. Solitamente si comprano SUV giganteschi, che avrebbero difficoltà a passare per un’autostrada americana, e si infilano in stradine create per il transito delle biciclette.

L’integrazione è superficiale, almeno da parte nostra. Spesso abbiamo a che fare con balinesi e indonesiani ma non riusciamo ad entrare veramente in profondità. Probabilmente l’errore è nostro. Loro si dimostrano disponibili, carini e amichevoli, aperti al dialogo. Ma, arrivati ad un certo punto della relazione, ci accorgiamo che gli argomenti di cui parlare si assottigliano, e questo per noi è un grosso ostacolo, che dovremo cercare di superare. I nostri figli hanno un approccio totalmente diverso. A scuola hanno la possibilità di frequentare indonesiani ed europei. Sia Jacopo che Tommaso tendono a relazionarsi e fare amicizia con i primi piuttosto che con i secondi. Quello che riusciamo a capire dai loro discorsi è la profonda differenza di valori che distingue le due diverse culture. E’ un po’ come se decidessimo di fare un salto di settant’anni indietro nel tempo. Forse saremmo più simili a loro. Parlerei volentieri di un’integrazione all’interno della comunità italiana di Bali, se ce ne fosse una. D’altronde c’è poco da meravigliarsi. Gli italiani espatriati sono solo un riflesso più marcato del nostro modo di essere in patria. Nazionalismo sotto i piedi, diffidenza, voglia di primeggiare e di imbrogliare il prossimo, sono le leve che muovono le azioni dei compaesani. Un vero peccato.

Certo, non è così per tutti. Ci sono persone che ci hanno aiutato e che ci sostengono tuttora quando abbiamo dei problemi che non sappiamo come affrontare. Ma definire quelle quattro o cinque anime una comunità, mi sembrerebbe eccessivo.

come si vive a bali

Quali sono i vostri progetti futuri?

Li elenco per facilità:

– Finalizzare il grande lavoro fatto fino ad ora, attraverso la vendita delle fotografie, la realizzazione di progetti di Interior design e la creazione di libri fotografici.

– Vedere i Paesi dell’Asia che mancano all’appello.

– Scrivere cinque libri che raccontino la nostra storia dal 1999 ad oggi.

– Cercare di partecipare a Pechino Express.

– Fare un viaggio di un anno in macchina per circumnavigare le Americhe.

Direi che saremo piuttosto presi per i prossimi 10 anni.

Un messaggio a tutti coloro che vi leggeranno:

Ai lettori dico questo. Essere partiti significa aver fatto “qualcosa”. Non per forza qualcosa di buono, di positivo o di vincente. Quel qualcosa rappresenta il motivo per cui ci sentiamo vivi, attivi e ispirati. Abbiamo affrontato la paura di un viaggio senza un ritorno, spezzato i fili che ci legavano come marionette indifferenti, mosso il nostro cuore verso ideali, sogni e passioni. Siamo diventati bambini e siamo tornati adulti in un altalenare continuo di problemi e soluzioni, crisi e prosperità. Abbiamo trovato il coraggio di condividere la stessa favola e di provare a renderla la nostra storia. La vita è un asciugamano inzuppato d’acqua. Man mano che lo strizzi, man mano che il tempo passa, bisogna metterci sempre più forza, sempre più impegno. Meglio se si è in due. Scommettere sui propri sogni a volte paga, altre no. Anche solo aver provato a giocare è inebriante. E poi, se perdi, puoi sempre tornare a casa.

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A cura di Nicole Cascione