La vita può avere numerose chiavi di lettura. Diciamo che per chi ha voglia di leggere…il materiale non manca. La vita è davvero come apparentemente sembra che sia? ovvero fatta di appuntamenti, lavori, piaceri, responsabilità, relazioni, amori, amicizie, cose…belle e brutte ecc. o c’è dell’altro? Chi si pone questa riflessione, ha il compito di investigarla. Il bello è che ciascuno investigherà in accordo con il livello di comprensione che gli è proprio, intendo dire, proprio del suo livello di “coscienza”.

Gli studi esoterici antichi, spiegano la coscienza, la capacità di comprensione dell’uomo, dipendente dal proprio livello dell’essere e dalla conoscenza. In particolare, per ampliare la capacità di comprensione, elevare la coscienza, bisogna percorrere entrambi i binari: il binario dell’essere e il binario della conoscenza. Il nostro livello dell’essere, infatti, limita la conoscenza che possiamo acquisire. Supponiamo che il livello dell’essere sia un vaso e la conoscenza sia la terra. Se inizio a riempire il vaso di terra (ovvero il mio essere inizia ad acquisire nuova conoscenza), arriverò ad un punto in cui il vaso sarà pieno di terra, non entrerà più altra terra (ovvero, avrò acquisito tutta la conoscenza che il mio essere, secondo il suo livello, era in grado di contenere).

A questo punto, se si vuole procedere lungo il cammino dell’evoluzione della coscienza, avremo bisogno di un vaso nuovo, per poter iniziare a riempirlo con nuova terra.

Qui ci confrontiamo con un primo ostacolo. Il fatto di aver riempito per intero il vaso di terra, non è condizione necessaria e sufficiente affinchè mi venga dato un nuovo vaso. Il fatto di aver acquisito tutta la conoscenza che il mio livello di essere è in grado di comprendere non è di per se sufficiente per farmi evolvere nel “livello dell’essere”; i 2 binari (livello dell’essere e della conoscenza) sono indipendenti, uno non genera l’altro. Per questa ragione vanno alimentati in parallelo.

Se così non fosse, avremmo un uomo con un altissimo livello di conoscenza che però non sa come usare perchè non ha lavorato sul suo livello dell’essere; oppure al contrario un uomo con un livello dell’essere molto sviluppato che ugualmente non riuscirebbe ad usare perchè è carente di conoscenza, in breve non riuscirebbe ad esprimere questo enorme potenziale spirituale che ha sviluppato.

Una cosa non funziona senza l’altra. Se passiamo tutto il giorno a leggere libri sperando di elevare il nostro essere e per conseguenza la nostra capacità di comprensione, staremo perdendo tempo.

Sembra un po’ il vecchio paradigma di mente e spirito: solo lavorando ad entrambi contemporaneamente potremo sperare di avere qualche risultato sulla coscienza.

Cosa significa “lavorare sul proprio essere”? Significa “osservarsi”. Fare caso ai pensieri, emozioni, parole e azioni. All’inizio sarà difficile, anzitutto perchè ci dimentichiamo di osservarci, e per conseguenza non ci ricordiamo di noi stessi. In questa fase può essere utile scattare delle istantanee di se in alcuni atteggiamenti per poi analizzarle con calma in un secondo momento. Non significa riuscire a spiegarsi la causa di un comportamento o di una parola, di un pensiero, tanto meno di una emozione. Significa osservarsi, conoscersi.

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Ad esempio: “osservo che quando mi sorprende la pioggia per strada mi irrito perchè non mi piace bagnarmi”, oppure “osservo che il rumore della pioggia che batte sull’erba mi rilassa”. Quante volte ci sentiamo irritati (nervosi) o rilassati e sereni senza sapere perchè? Accade di continuo, no? La maggior parte dei casi è perchè non prestiamo sufficiente attenzione all’auto-osservazione. Finiamo per consultare uno psicologo perchè non abbiamo educato in noi stessi la facoltà dell’auto-osservazione, e allora abbiamo bisogno che una seconda persona ci osservi. In realtà basterebbe cominciare a lavorare con questa nuova funzione: l’auto-osservazione.

Rendendosi conto che nella pluralità di “Io” che ci rappresenta (che mostra la nostra personalità) ce ne sono certamente due che ci possono aiutare: l’Io Osservatore e l’Io osservato. Questo processo si può spiegare anche con una doppia freccia: una freccia che punta verso l’esterno, ovvero verso gli eventi esterni, e una freccia che punta verso l’interno, ovvero verso la nostra reazione, verso i nostri “stati” rispetto a quegli eventi esterni. Questo principio è alla base di qualunque sforzo cosciente di auto-osservazione e si serve dell’attenzione ripartita. Se sto ignorando tutto questo, allora la mia attenzione è unidirezionalmente posta in ciò che osservo fuori di me (osservo l’evento). Se inizio a lavorare con questo metodo, sdoppio la mia attenzione: una parte si focalizza sull’evento esterno e un’altra parte è rivolta ad osservare la mia reazione a quell’evento.

A che serve questo sforzo? In breve a iniziare un lavoro di “conoscenza di se”, nel medio termine ad essere persone migliori e nel lungo termine ad entrare in contatto con il nostro potenziale, con la parte migliore di noi.

La sensazione di sdoppiamento dell’attenzione è quella di avere una sorta di “Io controllore”, una parte di noi che osserva un’altra. Si tratta di un lavoro lungo e complesso, tuttavia se siete arrivati a porvi la domanda da cui eravamo partiti: La vita è davvero come apparentemente sembra che sia? ovvero fatta di appuntamenti, lavori, piaceri, responsabilità, relazioni, amori, amicizie, cose…belle e brutte ecc. o c’è dell’altro? Qui avete la risposta.

La risposta è che c’è molto molto di più. Le civiltà più sagge ed evolute dell’antichità, sapevano che tutto ciò che per noi rappresenta convenzionalmente “tutta la nostra vita” secondo i canoni moderni, in realtà è solo un mezzo e non un fine. La somma di attività, beni, servizi, conoscenze, insomma, tutto ciò che ci circonda, è il materiale di lavoro (lavoro su noi stessi) e non il risultato finale sul “chi siamo”. Il lavoro su di se, inizia auto-osservandosi nei contesti che rappresentano la nostra vita. Si racconta che Gurdjieff (ideatore del metodo “La Quarta Via”) era solito gridare “Stooop!” di tanto in tanto ai suoi discepoli mentre erano impegnati a svolgere una qualsiasi attività. Sentendo lo “Stooop!” questi dovevano congelarsi, immobilizzarsi fino a che non lo avrebbe deciso il maestro.

Lo “Stop!” permetteva ai discepoli, eccessivamente immersi nell’attività che stavano svolgendo, al punto di “dimenticarsi di se stessi”, di recuperare la coscienza di se, dunque di auto-osservarsi. In questo modo potevano acquisire coscienza del proprio corpo, ad esempio, della postura, e molto spesso si rendevano conto che avrebbero potuto adottare una miglior postura (ad esempio sto in piedi, tagliando una cipolla sul tavolo, che mi resta ad altezza cosce, e inevitabilmente assumerò una postura curva con la schiena, quando se avessi prestato più attenzione, avrei potuto sedermi evitando uno sforzo inutile derivante da una cattiva postura, frutto di poca attenzione).

Inoltre, posso osservare il flusso dei miei pensieri. Sarebbe opportuno che i pensieri siano orientati all’attività che stiamo svolgendo. Se stiamo spazzando, è opportuno che tutto il nostro essere, inclusi i pensieri, siano concentrati in questa attività. Avete mai sentito parlare del “qui e ora”, pensate sia qualcosa di trascendentale o semplicemente sia stare presente con il corpo, la mente e le emozioni in quello che stiamo facendo. Se sto spazzando, non penso a cosa cucinerò per cena, tanto meno alla prossima riunione di lavoro, non penso all’appuntamento di ieri sera o alla frase detta dall’amico che mi ha particolarmente irritato; oriento l’attenzione dei miei pensieri allo spazzare. Incomincio con il sollevare le sedie o lo faccio dopo, comincio dal centro della sala o dal bordo…e che dire della postura? Sto usando la postura appropriata, ovvero quella che non mi obbliga a fare sforzi inutili, oppure no?

Che succede se impugno la scopa più in basso, come cambia il movimento delle setole sul pavimento, come cambia il movimento del mio braccio, e la postura del mio corpo? E’ più semplice di quanto siamo stati indotti a pensare, nella misura in cui dipende interamente da noi, tuttavia, chi è disposto veramente a compiere questo sforzo cosciente?

Sto spazzando, pongo attenzione alla mia postura, mi osservo e se posso la miglioro; pongo attenzione ai miei pensieri, che siano pertinenti al lavoro che sto svolgendo, uso la testa, ragiono sul modo in cui sto spazzando e se può essere corretto e migliorato lo faccio. Infine, osservo le mie emozioni. Con che stato d’animo lo sto facendo? Sto spazzando controvoglia oppure con amore? E se lo sto facendo controvoglia, perchè? Non sono forse cosciente di quanto importante sia vivere in un ambiente ordinato, pulito e confortevole? Non sono cosciente che l’energia che pongo in ciò che faccio resta impregnata per l’appunto in ciò che faccio.

Se cucino un pranzo controvoglia o distratto, il cibo starà assorbendo la mia “onda” (energia) e potrebbe “intossicare”, energeticamente parlando, i commensali. Per contro, se lo faccio con amore, cosciente della responsabilità di alimentare con il miglior cibo i miei commensali, allora ciò che cucino avrà tutto un altro valore. Se spazzo con amore, cosciente della responsabilità del ruolo che ho in questo momento, sto salvando dalla polvere (che nel piano energetico è sinonimo di energia bloccata) me stesso e chi condivide con me questa casa, allora starò orientando nel migliore dei modi le mie emozioni… Purtroppo non è così facile.

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Si racconta che Gurdjieff era solito preparare degli spettacoli con i suoi discepoli. Una sorta di danza, che lui chiamava “movimenti sacri”. Si tratta di esercizi, movimenti, che accompagnati da un pianoforte, coinvolgono tutto il corpo e non solo, il cui obiettivo, almeno all’inizio è allenare l’attenzione ripartita. Al debutto dell’opera nel teatro più famoso degli Champs-Elysees a Parigi, nel bel mezzo dello spettacolo, Gurdjieff gridò “Stoooop!”. I suoi discepoli continuarono ad inscenare lo spettacolo che tanto duramente avevano provato, ovvero non si congelarono.

Gurdjieff sapeva che i discepoli non avrebbero rispettato lo “Stooop!” ma lui lo ordinò ugualmente per potergli insegnare che lo spettacolo è solo una farsa, non rappresenta il fine, bensì il mezzo, è il materiale di studio. Ciò che realmente conta è auto-osservarsi perchè è l’unica forma di cominciare a camminare il sentiero della conoscenza di se. Se pensiamo che ciò che facciamo nelle nostre giornate sia il fine, ci stiamo perdendo una preziosa opportunità. Se pensiamo che lo spettacolo che insceniamo nella nostra vita (lavoro, amici, sport, pensieri, emozioni, sensazioni, gioie e dolori ecc.) sia la meta, ci stiamo perdendo la parte più interessante della storia: noi stessi, la nostra vera essenza.

Avere un lavoro, una famiglia, la salute, degli interessi, dei buoni amici, ecc. sono delle vere e proprie benedizioni. Chi sarebbe in disaccordo con questa affermazione? Tuttavia, vi siete mai chiesti perchè le consideriamo benedizioni? Possiamo dire che sono benedizioni perchè ci offrono la materia prima della nostra esistenza: confrontarci con la nostra realtà. Cos’è la realtà? La realtà sono le nostre sensazioni (caldo, freddo, armonico, disarmonico, gustoso o cattivo, bello, brutto ecc.), tutto ciò che percepiamo attraverso i sensi, e le reazioni alle nostre sensazioni (gradevole o sgradevole passando per gioia, rabbia, noia, ansia, dolore, piacere ecc.).

Insomma, siamo circondati da “benedizioni” (famiglia, lavoro, relazioni ecc.) che sono la materia prima della nostra esistenza perchè ci permettono di confrontarci con la nostra realtà. La natura ci dona i sensi e un’intelligenza che va oltre quella puramente istintiva (intellettuale, emozionale e non solo) con cui reagire a questa realtà. Per evolvere come esseri “superiori”, ci offre le risorse, solo dobbiamo lavorarle per favorire la “presa di coscienza” di tutto ciò, e per questo dobbiamo auto-osservarci. Ci offre le migliori condizioni possibili (migliori per noi, s’intende) e noi per tutta risposta, non le sfruttiamo come potremmo.

Questo è un inizio del lavoro sul livello dell’essere che, assieme a quello sulla conoscenza, farà si che senza che ce ne rendiamo neanche conto, quando il nostro vaso si riempirà di terra, automaticamente scomparirà, trascendendo e trasformandosi in un nuovo vaso, più grande e profondo e bello. In realtà siamo sempre noi, lo siamo sempre stati, oppure no?

Vi invito a riflettere su questi spunti, è importante che investighiate per vostro conto quanto riportato, verificatelo su voi stessi, e se allora vi convince, buon lavoro!!!

Aho Mitakuye Oyasin, per tutte le mie relazioni

Pierluigi Giarrusso