Chiara Gai e la sua vita in Costa Brava

Questo è lo stralcio di una lettera aperta che Chiara Gai ha scritto rivolgendosi a tutti coloro che vorrebbero lasciare il proprio Paese. Sulla base della sua esperienza in Costa Brava, Chiara desidera trasmettere un messaggio, quello di vivere la propria vita senza dare troppo peso al giudizio altrui. “E’ proprio vero che spostarsi risponde ad un’esigenza profonda di miglioramento, per questo viaggiamo, per questo andiamo in vacanza.

Per questo, però, quando troviamo il luogo adatto, amiamo fare il nido, gettare le fondamenta, mettere radici. Che importa dove? La strada è la tua, la tua storia è unica. Puoi andare nel Paese più disastrato del mondo e mettere in atto lì la tua missione, la tua rivoluzione. Ed essere felice. Nell’indecisione tra andare e restare, a volte, basta semplicemente decidere di vivere”.

Chiara raccontaci, quale è stato il percorso di vita e professionale che ti ha condotta in Costa Brava? Che lavoro svolgevi in Italia?

In Italia lavoravo come attrice di teatro e professoressa di dizione e recitazione, nella scuola di Teatro Galante Garrone di Bologna, insegnavo anche in scuole medie e a gruppi di adulti. Durante l’estate del 2004 persi molti lavori a causa dei ripetuti tagli ai comuni (che a loro volta tagliavano i fondi destinati alla cultura). Ricordo soprattutto uno spettacolo che dovevamo realizzare a Roma (al Silvano Toti Globe Theatre), che venne cancellato quando le locandine erano state ormai già affisse ai muri della città. Quell’estate fu molto strana, ero piombata in una situazione di totale incertezza, dopo essermi illusa di aver trovato una certa stabilità in un ambiente lavorativo molto instabile in Italia, come quello del teatro e della cultura. Fino a maggio, si prospettava per me un’estate piena di spettacoli e un autunno da dedicare all’insegnamento. A giugno mi ritrovai disoccupata fino a novembre. Per fortuna mio padre, maestro elementare in pensione che vive ad Alghero, mi aiutò: mi disse di non preoccuparmi e mi suggerì di fare una vacanza di riflessione. Fortunatamente, in quel periodo condividevo casa con altre persone e non avevo grosse spese. Quindi partii e insieme a lui, a mio cugino e sua moglie, feci un viaggio bellissimo: tutta la costa sarda in moto.  Fu un viaggio importante (ovviamente low cost, campeggio libero e panini quasi tutti i giorni, altrimenti offriva mio padre!). Mi resi conto che a 26 anni ero ancora in tempo per fare altro, per ricominciare, per scoprire il mondo e soprattutto rilanciare la mia vita in un’altra direzione. Da quel momento in poi, incontrai molte persone che mi consigliarono la Spagna come meta per cambiare aria per un po’. Nel frattempo ripresi a lavorare e iniziai a studiare spagnolo per conto mio. Decisi anche di laureami il più velocemente possibile e magari scrivere la tesi in Spagna, per dare ancora più senso al mio viaggio. Durante tutta la prima parte del 2005 lavorai e studiai tantissimo, risparmiando il più possibile. A fine luglio partii per la Spagna, con la mia moto carica di libri.

Sei stata decisamente determinata nelle tue scelte. Cosa è successo una volta arrivata in Spagna?

Inizialmente mi trasferii a Barcellona. Era una città che conoscevo già, poiché mesi prima, ci ero stata per un breve periodo, ospite a casa di amici. In quell’occasione, l’ultima sera di permanenza, conobbi Alberto, un ragazzo spagnolo, anche lui a Barcellona in cerca di un futuro migliore e fu il classico colpo di fulmine: durante quell’estate ci scrivemmo lettere (lui non usava il computer, quindi niente e-mail) che io scrivevo, con non poche difficoltà, in uno spagnolo ancora maccheronico. Iniziammo poi a sentirci ogni giorno per telefono. Adesso mi rendo conto che ci innamorammo letteralmente delle nostre voci e delle nostre parole, perché quando tornai in Spagna, sfidando il buon senso, andai a vivere da lui senza avergli ancora dato nemmeno un bacio. Feci un corso intensivo di spagnolo durante il mese di agosto, poi a settembre tornai in Italia per ultimare alcuni lavori (e racimolare così un po’ di soldi) e per dare gli ultimi esami. Dopo un mese circa, tornai a Barcellona per scrivere la tesi. A dicembre mi laureai al DAMS di Bologna e a gennaio stavo già lavorando a Barcellona presso la SGS, una società che si occupa di controllo doganale e di qualità. Non c’entrava nulla col mio curriculum e la mia vita professionale, ma richiedevano una laurea e la conoscenza dell’italiano e dell’inglese.  Ad essere sincera, mentii spudoratamente nel curriculum, eliminai i lavori artistici, ampliai i pochi legati alla ristorazione che avevo svolto e modificai varie cose: per esempio le lezioni di dizione a un manager della Ferrari si trasformarono in “lezioni di comunicazione” e la mia laurea al Dams Teatro si trasformò in laurea in “Gestione ed Economia degli eventi culturali”, il titolo di uno degli ultimi esami che diedi!

E poi, cosa è successo?

A Barcellona, dopo alcuni mesi alla SGS, mi resi conto che la routine del lavoro d’ufficio non faceva per me. Alberto, che di mestiere faceva il cuoco, mi consigliò di provare a lavorare nella ristorazione: col mio curriculum “modificato” finii per fare addirittura la direttrice di un ristorante gastronomico! Dopo l’estate però, mi licenziai perché era durissimo: arrivavo a lavorare dalle 12 alle 14 ore al giorno ed ero sottoposta a tantissima pressione e responsabilità. Nel frattempo mi ero iscritta al corso biennale per diventare sommelier e avevo bisogno di tempo per poter studiare. Il vino e la sua cultura mi sembrarono la parte più interessante della ristorazione, inoltre a fine settembre io ed Alberto ci sposammo e iniziava a profilarsi l’idea di aprire qualcosa di nostro in un futuro. Durante i due anni di studio da sommelier, lavorai in un’enoteca enorme (Lavinia) dove imparai tantissimo. Poi una volta diplomata, io e mio marito iniziammo a ragionare su dove avremmo potuto aprire la nostra attività. Lui in quel periodo lavorava in un hotel, io all’enoteca, entrambi a tempo indeterminato. Per arrotondare, accompagnavo turisti in giro per cantine e degustazioni per un’agenzia di viaggi enogastronomici (Ociovital). Stavamo bene, ma non ci vedevamo mai a causa degli orari e dei giorni liberi sfasati. Si guadagnava il giusto, ma io non avevo lasciato l’Italia per accontentarmi.

Quindi?

Quindi, sia io che Alberto lasciammo il lavoro e facendo lavoretti saltuari e ricevendo l’assegno di disoccupazione (4 mesi per ogni anno lavorato), iniziammo a studiare seriamente la situazione. Facemmo tutti i corsi gratuiti per imprenditori, offerti dal Comune di Barcellona (Barcelona Activa) e iniziammo a esplorare varie possibilità. Adoravamo Barcellona, ma aprire un ristorantino in centro era praticamente impossibile: troppo caro. Eravamo stati alle Canarie durante la luna di miele due anni prima, poi in vacanza in Andalusia, nella Costa de la Luz, a Cadice, ecc…, ma nessun posto ci aveva del tutto convinto, soprattutto per l’ulteriore lontananza dalle rispettive famiglie e dalla nostra città preferita. Alla fine decidemmo per Blanes, la prima cittadina della Costa Brava, a soli 70 km. a nord di Barcellona. Andammo prima di tutto a cercare un appartamentino e ci trasferimmo nell’autunno del 2008, poi nel maggio 2009 trovammo il locale adatto in cui realizzare il nostro progetto.

Hai incontrato degli ostacoli burocratici per l’apertura della tua attività?

Nessuno: grazie ai corsi realizzati, avevamo ben chiaro tutto ciò che si doveva fare, tanto dal punto di vista giuridico quanto da quello fiscale. Ci iscrivemmo alla Camera di Commercio come lavoratori autonomi e creammo una “Società Civile privata” con partita iva. Inoltre ricevemmo 5.000 euro a testa a fondo perduto (io come donna minore di 35 anni e Alberto in quanto minore di 30) e Alberto poté pagare le quote dei contributi dei primi mesi, con i soldi dell’assegno di disoccupazione che gli restavano da riscuotere. Il fondo perduto, come accade un po’ dappertutto, ci arrivò l’anno dopo e fu provvidenziale perché i primi due anni, per un’attività, sono i più dispendiosi. Comprammo la licenza del ristorante a buon prezzo, perché era chiuso da anni e pagammo due mesi di cauzione piú il mese in corso. Vennero dal Comune di Blanes a controllare la situazione, ma essendo una vecchia licenza, non ci chiesero di modificare nulla.

Oltre ad occuparti del tuo ristorante sei anche sommelier. Ci parli di come e del perché lo sei diventata? Da cosa è nata questa tua passione?

Il vino mi è sempre piaciuto, ma fino a una decina di anni fa lo consideravo un alimento come un altro: mio nonno possedeva una vigna e produceva vino per la famiglia, il vino ha sempre fatto parte dei pranzi e delle cene familiari. Poi, grazie ad un amico compositore (che adesso vive a Berlino, anche lui emigrante felice), ebbi l’occasione di lavorare in qualità di attrice-presentatrice in uno splendido hotel-ristorante altoatesino (Hotel la Perla di Corvara), dove si celebrava ogni anno un omaggio a uno dei più famosi vini italiani: il Sassicaia. Fu il mio “battesimo” della degustazione dei vini. Un battesimo di lusso, direi! Quando decisi di formarmi nel campo della ristorazione a Barcellona, volevo scegliere qualcosa di complementare a mio marito, che è chef. Così decisi di diventare sommelier e devo dire che la scuola fu per me fondamentale: man mano che studiavo e assaggiavo prodotti provenienti da tutto il mondo, mi appassionavo sempre più al mondo del vino. Il vino mi faceva assaporare la terra che lo aveva prodotto, la sua storia. Era cultura liquida.

Sei una persona ricca di interessi…. addirittura insegni geografia vinicola italiana! Raccontaci un po’ di quest’altra esperienza.

Io e Alberto avevamo aperto da pochi mesi il nostro ristorantino (El Celler de la Puntaire) a Blanes, quando ricevetti la telefonata del fondatore (e mio professore) della scuola di Sommelier di Barcellona, che mi proponeva di insegnare lì. Non ci potevo credere: se c’era una cosa che mi mancava tantissimo del mio lavoro in Italia, era proprio l’insegnamento. Accettai subito e cambiammo l’orario del ristorante, perché io potessi svolgere questo secondo lavoro. Il primo anno mi occupai di insegnare solo geografia vinicola italiana: quindi spiegare le caratteristiche del territorio vitivinicolo italiano, le denominazioni di origine, le varietà d’uva, le tecniche enologiche e ovviamente la degustazione dei vini delle diverse regioni, insieme ai miei allievi. Oggi ho l’onore e il piacere di poter dare anche lezione su altri Paesi produttori di vino e materie (come distillati, abbinamento con i cibi, tecniche di servizio, ecc…) in due scuole: alla ESHOB, Escola Superior d’Hostalería de Barcelona e al CETT Escola de Turisme de la Universitat de Barcelona.Tornando alla realtà in cui vivi, cosa puoi dirci riguardo al settore lavorativo? Quali sono al momento, le principali offerte di lavoro?

La Costa Brava vive soprattutto di turismo stagionale, quindi è il posto ideale per chi vuole venire a fare la stagione in estate, soprattutto come cuoco, una figura professionale che è sempre richiesta. Può essere complementare fare poi la stagione invernale sui vicini Pirenei (sempre che nevichi). A Barcellona invece c’è turismo tutto l’anno, quindi è relativamente facile trovare lavoro nel campo della ristorazione in qualsiasi momento e praticamente in tutti i profili professionali, inoltre se si lavora in sala, conoscere altre lingue è molto apprezzato. La crisi ovviamente si nota, ma non tanto nella quantità di offerte di lavoro, quanto negli stipendi, che sono un po’ più bassi. Per quanto riguarda il lavoro da sommelier, lo si può trovare presso dei ristoranti, negozi di vini (anche se con compensi piuttosto bassi), cantine e soprattutto nel settore della rappresentanza di distributori commerciali a Barcellona. Aggiungo che, nella mia zona, hanno ampliato da poco una grossa fabbrica della Inditex (proprietaria di Zara e di altre catene di abbigliamento in tutto il mondo), quindi ci sono anche possibilità di lavoro relative alla gestione e alla logistica in questo campo.

Ci parli un po’ della città in cui vivi?

Blanes è una cittadina sul mare di 40.000 abitanti. Vive soprattutto di turismo e di servizi. È divisa in due zone principali: il centro storico (tranquillo, pieno di negozi e dove si concentrano le attività dei residenti) e il quartiere turistico de “Los Pinos”, dedicato a seconde residenze ed hotel. Blanes cambia molto secondo le stagioni: in estate può arrivare a veder triplicato il numero dei suoi abitanti, è un centro turistico rinomato non solo in Spagna, ma anche all’estero (soprattutto Olanda, Germania e ora Russia). È sede di uno dei concorsi di fuochi artificiali più importanti d’Europa e a fine luglio attira migliaia di persone per la sua festa patronale. In inverno invece, è una cittadina tranquillissima. Noi, con il ristorante, riusciamo a lavorare tutto l’anno, perché abbiamo deciso di offrire una cucina e uno stile di servizio, destinato ai residenti e ai proprietari di seconde residenze (soprattutto barcellonesi) che vengono per il fine settimana. A Blanes c’è anche uno splendido giardino botanico a picco sul mare (il Mar i Murtra) e il CEAB, un centro di ricerche di biologia marina in cui lavorano anche alcuni italiani. Il porto di Blanes è uno dei più importanti della Costa Brava, dotato di zona turistica e zona peschiera (c’è anche un bel mercato del pesce per addetti al settore, che i turisti possono solo visitare). Abbiamo due grandi spiagge, quasi completamente libere (e comunque in Spagna affittare un lettino ed un ombrellone costa intorno ai 5 euro al giorno in pieno agosto, perché i prezzi li controlla lo Stato), ma anche deliziose calette a pochi minuti dal centro. Vicino a Blanes c’è la cittadina di Lloret de Mar, altrettanto bella, ma molto più turistica e negli ultimi anni dedita a un turismo low cost, non sempre gradevole per i residenti. A Lloret ci sono moltissimi hotel, discoteche, stabilimenti turistici di ogni tipo e un Casinó modernissimo di recente costruzione. La cosa positiva di avere Lloret a pochi chilometri, è quella di poter cenare e fare festa a qualsiasi ora, per tutto l’anno.

Come si vive in Costa Brava?

Rispetto al resto della Spagna, la Catalunya, i Paesi Baschi e la Comunidad de Madrid sono piuttosto cari. Certo la Costa Brava è più economica di Barcellona. Si possono ancora affittare appartamenti di due abitazioni a 400 euro (sempre se si affittano per tutto l’anno, d’estate i prezzi lievitano enormemente), mio padre che vive in Sardegna mi fa sempre notare come il prezzo del cibo sia simile a quello del Sud Italia e prodotti come gli insaccati e la carne, soprattutto quella di maiale, costino molto meno. Sicuramente uscire a pranzo è più economico qui. Una legge statale obbliga i ristoranti che offrono pranzo durante la settimana, a offrire un menù di primo, secondo e dolce a prezzo fisso. Questo ha generato un “effetto concorrenza” e i prezzi oscillano tra gli 8 e i 15 euro, con bevanda inclusa anche in piena estate, in una cittadina di mare. Spesso si trovano formule di questo tipo anche a cena e si può cenare veramente bene, a partire dai 20 euro, bibite incluse. Una birra alla spina in un bar costa tra 1,5 e 2,20 euro, il pane si vende al pezzo e non al chilo (la baguette a 0,80 euro, un pane rustico di mezzo chilo a 1,40 euro). Il latte fresco costa 1,10 euro, quello a lunga conservazione si trova anche a 0,70. A Blanes abbiamo la fortuna di avere due splendidi mercati di frutta e verdura locali (siamo vicini al Maresme, una importante zona agricola dedicata soprattutto alle verdure), quindi fare incetta di verdure fresche è veramente conveniente.

Per una famiglia con figli, secondo te, è facile rifarsi una nuova vita in Costa Brava?

Non posso rispondere a titolo personale, ma conosco varie famiglie che hanno scelto la Costa Brava per cambiare vita e mi sono sembrati tutti molto soddisfatti e a loro agio.

Quali sono le difficoltà di cui dovrebbero maggiormente tener conto?

In questo momento l’unica vera difficoltà (come in molti altri Paesi europei) è trovare lavoro, soprattutto per chi non ha nessuna specializzazione o per chi si dedica a mansioni legate al mondo dell’edilizia, che qui è in grave crisi. Ma credo che, se si cerca un posto dove aprire un’attività o si cerca lavoro nel campo della ristorazione e dei servizi, qui ci siano ancora ottime possibilità. Per le esperienze che ho visto fare ad amici ed ex-colleghi, i bimbi qui si adattano velocemente anche al bilinguismo (a scuola si insegna in catalano e in castigliano). Le scuole offrono orari adatti alle madri lavoratrici (la maggior parte tiene i ragazzi fino alle 17.00). Il problema potrebbe essere causato dall’orario di lavoro“spezzato” dei genitori, che qui si usa molto, soprattutto nel campo del commercio (per esempio dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00) e che può creare qualche problema a famiglie con bimbi piccoli.

Pensi di aver fatto la scelta giusta ad allontanarti dall’Italia?

Sì, sono felice di essermene andata. Adoro il mio Paese, ma qui ho ritrovato me stessa. Quando sono arrivata, la Spagna era ancora in pieno boom economico e si respirava entusiasmo. Adesso che la crisi ha mietuto molti posti di lavoro, ovviamente le cose sono cambiate, ma continuo a respirare aria di speranza, fiducia nel futuro. Qui ho ricostruito la mia vita, ho realizzato i miei progetti e ne pianifico sempre di nuovi, soprattutto qui mi sono sentita valorizzata e apprezzata in base alle mie capacità e non ho mai avuto la spiacevole sensazione di dover conoscere qualcuno, per poter lavorare.

Sei riuscita a realizzare tutti i sogni che avevi quando sei partita? O c’è ancora qualcosa che ti manca?

Devo dire che posso davvero considerarmi molto soddisfatta dei risultati ottenuti, uno degli obbiettivi era guadagnarmi da vivere bene, facendo qualcosa che mi appassionasse e ci sono riuscita. Oltre al ristorante con mio marito e all’insegnamento, abbiamo creato anche il Rosalba Bed & Breakfast nella casa che abbiamo comprato, abbiamo dato il nome di mia mamma, che è mancata quando io avevo 19 anni. Iniziano ad arrivare i primi clienti e siamo davvero felici. Quest’anno spero di poter realizzare uno dei miei sogni più grandi: scrivere un libro. È un libro sul vino italiano scritto in spagnolo, dedicato ai miei allievi. Ci sono altri progetti in cantiere: ho preso la patente nautica e vorrei imparare a governare una barca a vela, vorrei viaggiare il più possibile e soprattutto mostrare l’Italia ad Alberto… e magari far nascere un giorno, un bimbo che parlerà perfettamente italiano, spagnolo e catalano.

Vorresti dare un messaggio per i lettori del sito, che vorrebbero lasciare tutto ma non ne hanno il coraggio?

Questa è una lettera aperta che scrissi qualche mese fa a molti amici che volevano lasciare il proprio Paese:

Molti amici vogliono lasciare il proprio Paese, altri l’hanno già lasciato, chi per un motivo, chi per un’altro, chi semplicemente per studiare, chi per “vivere un’esperienza”, chi effettivamente deluso da un progetto lavorativo che non decolla.

I dati dicono che gli italiani che emigrano sono in crescita, soprattutto le donne. Molti vogliono venire in Spagna, continuano infatti le emigrazioni verso questa terra, anche adesso che si sa essere un Paese in crisi come e più dell’Italia dal punto di vista economico (evidentemente non da altri punti di vista, ma non mi pronuncio, bisognerebbe dedicare una lunga riflessione al tema). “Il primo obiettivo degli italiani è vivere in Spagna e solo in seguito essi cercano un lavoro per poter finanziare il loro permanere in terra spagnola.” (Delfina Licata, curatrice del Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes, 2010.) Dalla Spagna invece si emigra verso gli USA, la Germania, il Regno Unito, l’America Latina. Agli amici che partono, vorrei dire che non siamo esuli della patria ingrata. Non tutti almeno. Vivere all’estero non è e non sarà per tutti un sacrificio, una ripicca, una necessità, un dramma o una condizione sofferta. Non cadevano le bombe nel Paese che abbiamo lasciato, non eravamo perseguitati politici. I problemi c’erano, ci sono e sono enormi, ma ce ne sono altri e spesso altrettanti, nel Paese verso il quale emigriamo. Ogni storia è unica. A volte andare via e non tornare è solo questione di coincidenze, di gusti, di incontri, di coraggio e di ambizione. A volte è solo questione di felicità. È ovvio che per molti, la spinta nasce da una delusione lavorativa, dalla mancanza di uno sbocco professionale in un Paese in crisi economica, ma quando il Paese estero diventa casa tua, scopri che non ci sei rimasto (solo) per quello. Hai rilanciato le tue carte, ti sei rinnovato, hai ricominciato da zero e ce l’hai fatta, hai costruito nuove relazioni, un nuovo mondo nel quale vivere.L’entusiasmo: è ciò che si trova o ritrova quando si intraprende un’avventura, quando si comincia una vita nuova. Per questo, nonostante la crisi, nonostante il numero di disoccupati allarmante in Paesi come quello dove vivo, mi sento di incoraggiare tutti a venire, a partire, ad andare dove si vuole, a seguire l’entusiasmo. Razionalmente dovremmo scegliere mete come la Germania ( o a questo punto la Cina… o l’India… o il Brasile, in quanto economie emergenti). Ma che senso ha assoggettare ciò che di più potente abbiamo, cioè la nostra straordinaria energia vitale, l’entusiasmo, il talento, la fiducia in un futuro luminoso, a mere considerazioni razionali, a statistiche economiche? Andate dove vi porta l’entusiasmo: Varanasi, Tenerife, Londra, New York, Berlino, Parigi, Morro d’Alba, Napoli. O Cefalù, perché no? O Roma, Salvador de Bahia, Glasgow, Beijin, Milano, solo per citare le mete di molti amici, italiani e stranieri. O Creta, perché no? E se sentite impellente l’esigenza di tornare alla casa della vostra infanzia a ricominciare tutto da lì, perché non farlo? Non è una sconfitta. “Chi sta bene non si muove” diceva mio nonno. Ed è proprio vero che, spostarsi, risponde ad un’esigenza profonda di miglioramento, per questo viaggiamo, per questo andiamo in vacanza. Per questo, però, quando troviamo il luogo adatto, amiamo fare il nido, gettare le fondamenta, mettere radici. Che importa dove?La strada è la tua, la tua storia è unica. Puoi andare nel Paese più disastrato del mondo e mettere in atto lì la tua missione, la tua rivoluzione. Ed essere felice. Chi vive ossessionato dalla politica pensa che essa sia la causa di tutto il bene e di tutto il male. Riduce tutto e tutti a posizioni politiche, a battaglie politiche, a differenze politiche, a giudizi politici. Con l’economia, anzi l’Economia, succede la stessa cosa. Fortunatamente si lotta e si vince usando anche altre armi, si aiutano gli altri, si fanno progetti, si fa la propria rivoluzione umana, usando anche altri strumenti. Le persone lasciano il proprio Paese per disperazione, per curiosità, per stanchezza, per noia, per insoddisfazione, per caso. Che importa? La spinta vera, quella che dà loro la forza e l’energia necessarie a costruire una vita nuova nel Paese straniero, a ricominciare, a vincere e a cercare la felicità, è un’altra. È quella sensazione speciale, inebriante e potentissima che si vive quando si ha qualcosa da perdere, ma molto da guadagnare, quando si sente che la vita è come un foglio immacolato sul quale disegnare quel che si vuole. La paura è grande, ma diventa energia perché la priorità è vivere, non lamentarsi; non ci sono reti di protezione, ma non ci sono neanche giudici; i vecchi modi di essere e di pensare possono lasciare spazio al rinnovamento.

Imparare una nuova lingua, aiuta molto a vivere un nuovo “noi”, così come confrontarsi con un’altra cultura, altro cibo, altri climi, altri valori. A volte è sfiancante, ma obbliga a non dare più niente per scontato. Obbliga a smettere di lamentarsi, perché non c’è nessuno ad ascoltarti o almeno nessuno ad ascoltarti nel vecchio modo. E lamentarsi in una lingua che non è la tua è un po’ ridicolo, almeno all’inizio. Uno studio dice che, quando parliamo una lingua straniera, diventiamo più assertivi: forse cambiare tutto serve, soprattutto, a cambiare noi. I dubbi ci sono e sono tanti, ognuno combatte i suoi demoni interiori: c’è chi vive il cambio di residenza come una sconfitta, chi teme di finire peggio di come sta, chi teme di abbandonare i propri affetti, chi teme di perdere i propri amici, chi addirittura sente di tradire il proprio Paese, come se la cosa importante non fosse fare il bene per te e per gli altri ovunque tu sia, ma il dove lo fai. Ogni storia è unica. Ed è sacra. Non facciamoci confondere da questa retorica del chi se ne va e del chi resta. Chi resta, nonostante le difficoltà, lo fa perché sente che quella è la sua missione, la sua strada. Non è un codardo e non ama il suo Paese più di un altro, solo per il fatto di restarci. E chi se ne va, lo fa per gli stessi motivi: nonostante le difficoltà, sente che quello è il cammino che deve percorrere. Non è più coraggioso di chi resta, ma nemmeno un menefreghista. E chi torna? Se abbiamo bisogno di tornare a casa, di tornare alle origini e di riscoprire il nostro Paese, cos’ha da offrirci e cosa possiamo offrire noi a lui, dove sta il problema? Non lasciatevi etichettare da chi vuole vedere il mondo in bianco e nero, da chi giudica, perché giudicare è sempre più facile che comprendere.

Nell’indecisione tra andare e restare, a volte, basta semplicemente decidere di vivere.
Buon viaggio a tutti.

Blanes, Spagna
Chiara Gai
sommelier
Alberto Sánchez
chef