A Zanzibar ho trovato una qualità della vita migliore: la storia di Antonella

Attrice e artista di strada, Antonella Migliore vive ormai da anni tra l’Italia e la Tanzania. A Zanzibar ha comprato un terreno e costruito una casa vicino al mare, esibendosi in performance di danza col fuoco in molti resort esclusivi. Collabora anche con due ONG. L’Africa per lei è come una madre: accogliente e generosa, nonostante le difficoltà. La qualità della vita? «Per quanto mi riguarda – spiega Antonella – è migliore a Zanzibar che in Italia.

Ma io vivo con poco e sono comunque privilegiata. Dipende da ciò che si cerca. In Italia con quello che ho non posso permettermi una vita e una casa così a contatto col mare e con la natura, è diventato un lusso nel nostro Paese. Qui, invece, posso ed è una mia priorità».

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Di Enza Petruzziello

A Zanzibar ha trovato la sua seconda casa e una qualità della vita migliore, imparando a vivere con poco. Antonella Migliore, attrice e performer napoletana, vive da ormai diversi anni – con i suoi due figli di 10 e 6 anni – tra l’Italia e la Tanzania. A Zanzibar ha comprato un terreno e costruito una casa con due stanze che fitta ai turisti.

Quarantasei anni, nata e cresciuta a Napoli, Antonella arriva in Africa per la prima volta nel 2000. Subito dopo la laurea, infatti, partecipa ad una missione ad Isimani, un piccolo villaggio vicino Iringa in Tanzania. Dopo un mese lì approda a Zanzibar e il suo primo pensiero è stato: “Perché mai dovrei tornare indietro?”. Il dovere, però, la chiama. Rientra in Italia per completare un master in Relazioni pubbliche Europee e rispettare il contratto come ballerina per Rai2 in un programma di Chiambretti.

Ma l’Africa rimane il suo obiettivo. La vita d’artista anche. Unisce le sue due passioni e decide di dedicarsi completamente alla sua arte. Molla il suo lavoro di insegnante e a 26 anni parte per una tournèe teatrale. Freelance, oggi si esibisce in performance di danza col fuoco per diversi resort esclusivi di Zanzibar. Qua la chiamano Mamma Jua perché il suo primo figlio si chiama Jua Leo che in swahili significa il “sole di oggi”.

Antonella collabora anche con due ONG: Zanzibarhelp, che si occupa di bambini disabili, e Sister Island una charity school che frequenta anche suo figlio piccolo. Ecco la sua incredibile storia!

Antonella a leggere il tuo CV si rimane a bocca aperta. Attrice di cinema e teatro, danzatrice e coreografa, hai lavorato con Gabriele Salvatores e altri importanti registi. In 15 anni hai eseguito oltre 1000 performance tra l’Europa e il continente Africano, esibendoti in teatri, festival di rilevanza internazionale, grandi eventi e resort esclusivi. Quando ti sei accorta di voler diventare un’artista?

«Non saprei, penso che lo spirito artistico sia nato in me prima di me!. Ho iniziato a frequentare una scuola di danza classica prima di imparare a leggere e scrivere e fu un mio desiderio! Mia mamma, grande appassionata di musica classica, mi portava all’opera a vedere i balletti sin dall’età di 3 anni. L’incontro con Salvatores è stato casuale, avevo poco più di 20 anni e il suo aiuto regista mi scelse mentre camminavo sul lungomare di Napoli per fare un piccolo cameo nel film che stava girando, “Denti”. A quel tempo non avevo studiato ancora recitazione, ma quella breve esperienza sul set mi ha dato l’input per voler ampliare le mie esperienze artistiche non limitandole solo alla danza ma anche alla recitazione. Così ho iniziato a seguire vari workshop e laboratori di teatro sia in Italia che all’estero. E poi sono seguiti vari spettacoli teatrali, anche una bella tournée con Lunetta Savino e un altro film con il regista Francesco Patierno: “Pater Familias”. Un’esperienza bellissima direi quasi catartica, un film duro e intenso che fu presentato anche nella sezione panorama del Festival di Berlino e lì avevo un bel ruolo drammatico».

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Di tutte le esperienze professionali fatte, ne hai una in particolare che porti ancora oggi nel cuore? E se sì, perché?

«Direi l’esperienza sul set di “Pater Familias”, cui è seguita la proiezione del film in una sala di circa 1000 persone durante la Berlinale. Per me, ancora molto giovane ed ancora attrice “per caso”, fu una grandissima emozione. Ma anche il mio “debutto col fuoco” come artista di strada al Napoli Teatro Festival fu una grande emozione. Dico sempre che per esibirsi in strada ci vuole una bella forza ed energia. In tv, cinema e teatro in qualche modo si è protetti, in strada se il tuo show non funziona non hai il cerchio, non hai il pubblico, non porti a casa i soldi. La strada mi ha insegnato tanto. Poi una ventina di anni fa, quando ho iniziato, non eravamo ancora in tanti, adesso anche grazie alla tv e ai social gli artisti di strada sono più conosciuti e questo comporta sia degli aspetti positivi che negativi».

Puoi spiegarti meglio? In che senso negativi?

«Uno degli svantaggi è che quando veniamo chiamati a lavorare ad ingaggio per feste private o festival, essendo in tanti (compresi alcuni che si improvvisano), i cachet proposti a volte si abbassano. Inoltre stanno sorgendo in varie città delle regolamentazioni non sempre a vantaggio dell’arte di strada. Ad esempio a Napoli da poco stanno regolamentando l’arte di strada a svantaggio degli artisti. In altre regioni come la Puglia invece ci sono regolamentazioni più accoglienti. E poi con tutti questi programmi TV è come se il pubblico si abituasse a vedere certe cose e non si incanta più, sembra tutto già visto. Si è tolta parecchia magia alla sorpresa all’incanto. La TV in 30 secondi ti mostra performance a cui gli artisti lavorano per anni e sembra tutto facile, ma non è così».

Dopo aver lavorato tanto in Italia, parti per la Tanzania. Come mai questa scelta di andare all’estero? Che cosa cercavi?

«In realtà la mia prima partenza per la Tanzania è avvenuta durante i miei periodi di lavoro artistici in Italia e direi che in me c’è sempre stato sia lo spirito artistico che quello da viaggiatore. Ho solo cercato e trovato nel tempo un modo per fare entrambi. Fortunatamente ho scelto in tempo cosa volessi fare nella mia vita. Sono figlia di un’insegnante e un giudice di pace, puoi immaginare cosa volessero i miei genitori per me! Ho anche vinto il concorso come insegnante a 25 anni dopo la laurea in Scienze Politiche con 110! Ed ho insegnato per quasi 2 anni inglese in una scuola paritaria per “fare felici i miei genitori! Ma poi a 26 anni mi sono licenziata perché fui presa per una tournée con una compagnia teatrale che si occupa di teatro per ragazzi e con cui lavoro ancora oggi. Diciamo che la tournée era breve, ed era solo una scusa per poter iniziare a fare davvero la vita che volevo.

Da allora la mia vita artistica e i miei viaggi in Africa sono andati in parallelo. Da quando sono arrivata in Africa la prima volta non ho mai smesso di tornarci. Ogni anno per almeno 3 mesi, a volte anche 2 volte all’anno. Ho collaborato con varie organizzazioni non governative come AMREF con cui ho avuto la fortuna di fare esperienze bellissime a Nairobi in Kenya, con il regista Marco Baliani, che era lì con Amref per condurre un progetto con i ragazzi di strada di Dagoretti, da cui è nato un bellissimo spettacolo, Pinocchio Nero. Ed io ho avuto la fortuna di seguire come volontaria questo bellissimo ed emozionantissimo progetto in Kenya. Come vedi l’arte e l’Africa sin da subito sono diventate due costanti della mia vita!».

Perché hai scelto proprio la Tanzania e nello specifico Zanzibar?

«Sin da piccola guardavo i documentari di Piero Angela, oltre a vedere balletti classici! Sì, molto poco i cartoni!!! E già da piccolissima il mio sogno era di visitare l’Africa e la Savana. Da piccola scrivevo poesie su come sarebbe stato il mio incontro con l’Africa. Poi questi pensieri sono stati pubblicati in un libro dal titolo “Se la mente non mente” di Aletti editore. Quindi appena laureata mi sono regalata il mio primo viaggio in Tanzania. Perché volevo andare in Africa non da turista e la maniera più semplice e diretta che trovai fu tramite una missione cattolica in Tanzania, poi da lì un paio di ore di traghetto e si arriva a Zanzibar!».

Ricordi la prima volta sull’isola?

«Wow e chi la scorda più. Ricordo esattamente il momento in cui sono atterrata per la prima volta in Africa: un miscuglio di odori intensi e colori forti dal blu del cielo al rosso della terra africana. E che dire degli odori? Un misto di mango e banana, di dolce che mi ha pervaso appena atterrata. Già in quel momento mi ero letteralmente ubriacata di amore per questa Africa che tanto sognavo e da allora non l’ho più lasciata o meglio non mi ha più lasciata. La chiamo mamma Africa perché davvero mi sono sentita e mi sento ancora accolta da lei, ed è qua che vorrò lasciare le mie ceneri… quando sarà».

Come è stata l’accoglienza della popolazione locale?

«Per quanto riguarda l’incontro con la popolazione locale mi piace sempre raccontare questo aneddoto. Quando ero nella missione cattolica, un giorno i padri della missione, per lo più erano africani, mi portarono a fare un giro nelle capanne dalle famiglie che avevano problemi con HIV. Ebbene non scorderò mai che una signora gentilissima, potrà avere avuto intorno ai 30 anni, molto malata ma con un sorriso sulle labbra, dopo averci offerto una tazza di tè (perché qua sono così non hanno nulla ma quel poco che hanno lo condividono con chi gli sta intorno e gli ospiti sono sacri come in India, un altro posto dove sono stata e che lascia sicuramente dei segni indelebili), ci raccontò che il mese prima aveva perso 2 dei suoi figli di cui uno neonato di HIV. “Caspita – pensai -, è malata, ha appena perso 2 figli e non ha perso la forza e il sorriso”. Per me questa è l’Africa che continua ad insegnarmi tanto. Da quel momento ho iniziato a prendere ogni attimo della vita e dargli il giusto valore ed intensità, e soprattutto a ridimensionare il valore che attribuiamo noi in Occidente alla vita e anche alla morte che qui vivono come un processo della vita stessa. Poi la prima malaria non si scorda mai! Se vivi l’Africa non da turista, ne accetti il bene e il male e l’abbracci in tutta la sua complessità e i suoi lati bui».

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Zanzibar con le sue incantevoli spiagge e barriere coralline, è una località da sogno, nell’immaginario collettivo la destinazione del mollo tutto e vado a vivere in riva al mare. Come si vive qui e quali sono le principali differenze con l’Italia?

«Dico sempre che Zanzibar è un paradiso che inganna. Se vieni come turista o in viaggio vedi solo le spiagge bianche etc. Ma Zanzibar è pur sempre un’isola che fa parte dell’Africa e come tale nel bene e nel male ha una serie di problematiche con cui ci si scontra se si vuole vivere qua. Non è un’isola per tutti. O la ami o la odi. Ho conosciuto tante persone che purtroppo hanno avuto difficoltà nel portare avanti progetti a lungo termine e hanno dovuto vendere o mollare tutto. Bisogna restare saldi e con i piedi per terra se si decide di farsi affascinare e prendere completamente da quest’isola. Bisogna cercare di studiare e comprendere bene la cultura del posto, rispettarla e trovare un modo per integrarsi con umiltà. Purtroppo non tutti gli expat hanno questa sensibilità e capacità».

Per quanto riguarda il costo e la qualità della vita com’è la situazione a Zanzibar?

«Il costo della vita è ancora un po’ basso rispetto all’Italia ma è un’isola che sta diventando, per sua fortuna e sfortuna, sempre più turistica per cui i prezzi stanno aumentando anche qui. Penso al costo dei terreni, a quello delle costruzioni, ma anche alle piccole cose della vita quotidiana. Sono rimasti bassi gli stipendi, ma questo è un capitolo a parte. Con un background occidentale, la qualità della vita per quanto mi riguarda è migliore a Zanzibar che in Italia. Ma io vivo con poco e sono comunque privilegiata. Dipende da ciò che si cerca. In Italia con quello che ho non posso permettermi una vita e una casa così a contatto col mare e con la natura, è diventato un lusso nel nostro Paese. Qui, invece, posso ed è una mia priorità. Certo, non mancano i problemi con la burocrazia e la sanità ».

Quali sono le difficoltà principali a livello di burocrazia e sanità?

«Da un punto di vista sanitario, se c’è necessità di interventi importanti, qui non ci sono strutture adeguate quindi bisogna essere trasferiti in Tanzania, in Kenya o in Sud Africa per emergenze sanitarie più serie. È capitato ad un mio amico sudafricano, che vive lavora a Zanzibar da anni. Non aveva una copertura sanitaria ed è stato trasferito con elicottero di urgenza in Kenya. Ebbene la spesa totale si aggirava sui 40.000 euro, tra il trasporto e la degenza in ospedale. È stata organizzata una raccolta fondi per aiutarlo. A livello burocratico, per aprire un’attività è tutto molto lento, ci sono tasse da pagare molto alte sia al governo Zanzibarino sia alla Tanzania e in più c’è il discorso corruzione che purtroppo qui è molto radicato».

Hai due figli: il più grande Jua Leo, il cui papà Joao è portoghese, e Mario Leo il piccolo il cui papà Antonio è napoletano come te. Ti va di parlarci di loro?

«I miei figli, non sono nati a Zanzibar ma il primo è stato concepito qui. Dopo aver trascorso i primi mesi di gravidanza sull’isola, sono rientrata in Italia perché avevo degli spettacoli teatrali. Con lui mi son voluta fare una sorpresa. Non ho voluto sapere nulla sul sesso. L’unica cosa che sapevo è che gli avrei dato un nome swhahil come tributo alla mia mamma Africa che mi ha reso madre. Senza l’Africa non so se sarei diventata madre, non mi immaginavo mamma in Occidente. Tornando al nome di mio figlio, in ospedale avevo portato un dizionarietto di swahili e ho scelto il nome solo dopo 2 giorni che era nato. Jua Leo vuol dire il “sole di oggi”, ma Jua è anche la radice del verbo conoscere quindi anche conoscenza e Leo è il nome del mio papà che ora non c’è più: Leonardo quindi Leone, insomma è un nome che per me ha una grande significato e penso anche per lui! Tra l’altro Jua porta il mio cognome perché i primi anni di vita l’ho cresciuto da sola tra l’Africa e l’Italia. La sua prima volta in Africa è stata a 4 mesi e la prima volta in Africa di Mario Leo, il mio secondo figlio, è stata a 2 mesi e da allora anche loro dividono la vita tra l’Italia e Zanzibar».

Come è crescerli a Zanzibar? Quali sono i servizi e che tipo di sistema scolastico, sanitario si trova?

«L’Africa nel bene e nel male è molto intensa. Malattie? Sì, ne abbiamo avute considerando anche che viviamo a Zanzibar non come turisti. Consiglio sempre un’assicurazione sanitaria. Col mio primo figlio me la sono vista brutta due volte ed entrambe ero da sola. A due anni ha avuto di notte la febbre a 40° e qua vicino non c’erano ospedali: si è beccato tifo e polmonite, poi a 6 anni ha avuto addirittura una febbre convulsiva a 42° e lì ho avuto paura di perderlo: ma siamo ancora qua più forti di prima.

Per quanto riguarda la scuola i miei figli da quando sono nati hanno frequentato le scuole sia a Zanzibar che in Italia. Fanno un trimestre qua e uno in Italia. Hanno frequentato da piccoli le scuole locali africane e ora il grande va in una scuola internazionale. Parlano sia inglese che swhahili oltre all’italiano e sono a contatto, da quando sono nati, con due culture diverse, in realtà molto di più di due perché a Zanzibar vivono expat provenienti da tutto il mondo. Ad esempio il migliore amico di mio figlio grande è spagnolo e lui ha imparato anche lo spagnolo in modo del tutto naturale».

A Zanzibar hai costruito casa con due stanze a conduzione familiare che fitta ai turisti. È stato difficile avviare un’attività del genere qui, penso agli aspetti economici e burocratici?

«Problemi burocratici tanti per questo ci sono andata piano e dopo 20 e più anni di Africa ho acquistato un terreno solo 5 anni fa. Qui si acquista secondo le leggi britanniche quindi è in land lease: concessione del terreno per un tot di anni. La casa invece l’ho costruita io dalle fondamenta al tetto in paglia makuti. Amo la mia casa col tetto africano di fronte al mare. Vi presento “Nyumba ya Leo”. La casa dei fratelli Leo: Jua Leo e Mario Leo. Non avendo gli stessi cognomi ho voluto dedicargli una parte del nome che poi riprende il concetto dell’oggi africano ed è una dedica al mio papà, che mi ha aiutato economicamente a realizzare questo sogno africano e che ha fatto in tempo a vedere questa casa prima di morire».

Sei una free lance. Ormai da anni fai performance di danza col fuoco per diversi resort esclusivi di Zanzibar Com’è l’accoglienza del pubblico ai tuoi spettacoli?

«Molto buona direi. In passato in Tanzania ho partecipato anche ad un festival molto bello ed importante a Bagamoyo, di richiamo per tutta l’Est Africa, e ho creato una performance con dei danzatori africani. La performance aveva contaminazioni con la danza classica e tribale di cui vado molto fiera. Poi grazie agli spettacoli col fuoco, in passato e prima dei miei figli, ho potuto anche viaggiare con pochissimi soldi. Scambiavo le mie performance con ospitalità. Ho fatto un viaggio dalla Tanzania al Malawi da sola con i bus locali durato 3 giorni e lì sono stata ospite in un posto meraviglioso sul lago Malawi senza spendere una lira solo barattandolo con le mie performance. Zanzibar è ormai molto turistica e quindi vendo le mie performance per resort a 5 stelle e sono ospite quasi fissa al Full Moon Partu di Kendwa Rock, un evento molto importante sia per la gente africana che per i turisti. Sono anche sul cartellone gigante in città!!!».

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Oltre alla tua attività di artista, collabori anche con due ONG: una che si occupa di bambini disabili e una che ha costruito una scuola. Ti va di parlarcene? Di che cosa ti occupi nello specifico?

«Non mi piace dire che faccio volontariato in quanto è stata l’Africa a fare volontariato con me e rendermi una persona più completa, inoltre il nostro debito verso queste terre è così alto che penso sia doveroso oltre che piacevole, specialmente se si vive qua, cercare nel proprio piccolo di dare una mano. Come dicevo prima in passato ho collaborato vari anni per Amref, sia in loco che come raccolta fondi dall’Italia.

Qua collaboro con Zanzibarhelp una OVD che si occupa di bambini e ragazzi disabili. Anche se nell’ultimo periodo per motivi logistici (perché è stato aperto uno spazio molto grande un po’ più lontano), non ho partecipato molto, è un progetto che è sempre nel mio cuore perché all’inizio l’ho voluto tanto. Ho iniziato ad andare nella capanna dove c’erano tre fratellini sordomuti che non andavano a scuola e da lì è partito il tutto. In Italia ho lavorato tanti anni nel sociale con minori a rischio e disabili per cui è un’altra mia grande passione. Ora nel progetto di Zanzibarhelp ci sono circa 60 bimbi da tutte le parti dell’isola e Marco Pugliese e Faudhia conducono questo progetto con amore e dedizione. Io mi sono occupata della psicomotricità.

Poi c’è Sister Island, la charity school che frequenta anche mio figlio piccolo, e che segnalo per la forza e la dedizione di Francesca e Rossella».

Vivi ormai da anni tra l’Italia e la Tanzania. Come riesci a conciliare tutte queste attività e dividerti tra i due Paesi?

«Viviamo a Zanzibar da dicembre fino agli inizi di aprile e poi da fine giugno a settembre. In Italia ritorniamo in primavera e in autunno. Essendo ormai un’artista free lance non mi viene difficile organizzarmi. Quando a Zanzibar è alta stagione lavoro qua, mentre in primavera faccio spettacoli in Italia anche con la mia compagnia teatrale. Ovvio che a qualcosa ho dovuto rinunciare: sicuramente la tv etc».

Si sente spesso parlare del “mal d’Africa”. Anche tu hai provato questo sentimento di nostalgia per il grande continente?

«Ovvio, da quando sono atterrata il primo giorno, non ho mai smesso di provarlo».

Come è cambiata la tua vita da quando hai deciso di andare a Zanzibar?

«In realtà anche se ormai passo più mesi a Zanzibar che in Italia, il mio grande cambiamento di lasciare il posto fisso per seguire una vita artistica nomade, l’avevo già fatto prima di trasferirmi. Sicuramente la mia vita è migliorata. L’Italia è un paese bellissimo e Napoli una città incantevole, ma io ho uno spirito troppo nomade per condurre una vita cittadina o comunque italiana. Non saprei immaginarmi senza i miei viaggi e la mia Africa: più della metà della mia vita l’ho trascorsa così!».

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

«Vivo alla giornata come mi ha insegnato questa Terra. Sicuramente voglio continuare il più possibile a crescere i miei figli a Zanzibar, in maniera libera e sana e con una bella apertura mentale. E poi continuare a fare quello che amo: i miei spettacoli e i miei viaggi».

Per contattare Antonella Migliore ecco i suoi recapiti:

Sito web: www.antonellamigliore.it

Instagram: Antonellamigliore17artist

Facebook: Antonella Migliore