La mia musica ha conquistato la Polonia

Di Enza Petruzziello

L’Italia? «Mi manca moltissimo, ma la Polonia mi ha permesso di dedicarmi a ciò che amo di più: la musica». Per Vincenzo Corsini, musicista originario di Taranto, la strada per il successo viaggia sulle note musicali polacche.

Quarantatre anni, sposato, dopo aver vissuto e studiato a Perugia, decide – per esigenze lavorative – di lasciare l’Italia e trasferirsi tra il 2005 e il 2006 a Poznań. Esperto di marketing, interprete e traduttore, per 15 anni lavora in radio come autore e presentatore. Con una carriera musicale che abbraccia più di un decennio, Vincenzo è il fondatore e il cantante della band DiscoPogo, un gruppo noto per la sua energia e il suo eclettismo nel miscelare rock, funk, folk e molti altri generi.

Recentemente, la band ha annunciato l’uscita di un nuovo album interamente in lingua italiana, e come anteprima, ha presentato il brano “In the fesso”, disponibile sulle piattaforme di streaming come singolo e come video su YouTube. Dopo aver cantato per anni in polacco, spera che i nuovi testi italiani riflettano il suo amore per Franco Battiato, Elio e le Storie Tese, Rino Gaetano, gli Articolo 31, fino ai primi Litfiba o Ligabue.

Ecco il suo incredibile viaggio artistico dalla sua terra natale fino alla Polonia.

Vincenzo Corsini

Vincenzo, quando ha scoperto la passione per la musica?

«La musica è la mia croce e delizia dal 1994, anno in cui ho formato la mia prima band musicale. Nella mia famiglia l’arte non ha mai giocato un ruolo fondamentale, possiamo dire che sono stato il primo. Da allora, tranne una pausa di un paio di anni, ho sempre suonato in gruppi musicali e organizzato concerti e festival. A Perugia, ad esempio, sono stato tra gli organizzatori di un festival di rock femminile, oltre 15 anni fa, dal nome VenerElettrica. Bellissimo evento a cui hanno partecipato oltre 15 mila persone. Ho anche portato avanti dei progetti socio-culturali di workshop per giovani delle scuole superiori (canto, recitazione, scenografia, costumi) da concludere con un musical. Tutti i progetti sono terminati con dei concerti, senza un vero e proprio spettacolo musical a teatro, purtroppo.

Per un paio di anni smisi di suonare, fin quando mi capitò di andare ad un concerto di una band storica polacca. Incuriosito dal loro nuovo singolo, iniziai a pensare, così per gioco, come sarebbe stato un testo italiano per questa canzone. Scritto il testo, chiamai degli amici, incidemmo il pezzo e lo mandai alla band, gli “Strachy na Lachy”. E così tornai alla musica: il loro cantante mi chiamò proponendomi di cantarla insieme a loro, sia in album sia dal vivo. Dopo questa inattesa telefonata, per tre giorni non riuscivo a riprendermi dallo shock, ridendo come un bambino. E cantai con loro, addirittura davanti a 6000 persone ad un festival».

Da 18 anni vivi in Polonia. Come mai hai deciso di lasciare l’Italia e trasferirti qui? Cosa non ti piaceva della tua vecchia vita?

«Non voglio metterci in mezzo la politica, ma è un dato di fatto che siano state le leggi vergognose sull’occupazione ad avermi fatto allontanare dall’Italia. Leggi che continuano ad esistere indipendentemente dai tipi di governo che si sono succeduti, anche se c’è stato un leggerissimo miglioramento (anche perché peggio era un po’ difficile fare, almeno in Europa).

In pratica dopo l’università, in quel preciso momento storico, si poteva trovare lavoro nel marketing e nella pubblicità (mia specializzazione universitaria) solo a Milano. Le offerte di lavoro? Stage gratuiti di 6 mesi, con possibilità di prolungare, sempre gratuitamente. Ciò avrebbe significato pagare circa 1000 euro al mese per lavorare, dove avrei preso quei soldi? Nel frattempo un imprenditore tarantino mi prese come interprete per un viaggio in Polonia, ad una fiera importante. Restando in Polonia, il secondo giorno di ricerca trovai il primo lavoro, subito dopo un’azienda mi propose il primo contratto a tempo determinato, e così via. Non è stata una scelta, è stato un naturale evolversi della situazione. Non la vedevo come una soluzione definitiva, ma le prospettive di lavoro in Italia continuavano ad essere inaccettabili dal mio punto di vista».

Vincenzo Corsini

Conoscevi già il Paese, o sei partito all’avventura?

«Diciamo che la Polonia era una meta un po’ predestinata in quanto sono mezzo polacco e conoscevo già la lingua. Ogni estate venivo in Polonia. Fu quindi una scelta naturale, inoltre in tutti questi anni la Polonia ha vissuto una continua crescita economica e questo mi ha permesso di imparare molto dal punto di vista lavorativo. Non credevo di restarci tanto a lungo, ma le varie esperienze, non solo lavorative, hanno rafforzato i miei legami con questo Paese sempre di più».

Nuova città, nuove usanze, un nuovo modo di vivere. Non deve essere stato semplice trasferirsi lasciando amici e famiglia. Come sono stati gli inizi in Polonia? C’è stato qualcuno che ti ha aiutato o hai fatto tutto da solo?

«Avevo comunque parte della famiglia quindi non ero completamente “alienato”. Avevo in un certo senso un “salvagente” che mi faceva sentire un po’ più sicuro. Così all’inizio tutto era curioso, “esotico” in un certo senso. Poi ero in età post universitaria quindi è stato molto facile entrare in giri di conoscenze attivi e vitali, fare nuove esperienze, anche con un pizzico di incoscienza».

Attualmente abiti a Poznan. Come si vive qui?

«Bisogna ammetterlo, la qualità della vita è molto buona. I servizi essenziali sono molto validi. Da buon italiano mi piace mangiare bene e, quando voglio mangiare italiano, deve essere “the real deal”. Ovviamente in questo caso bisogna sborsare un po’ di più, ma per fortuna ci sono ottimi posti dove andare.

Per il resto è un periodo particolare, sia per la situazione mondiale sia per quella nazionale. Otto anni di governo molto “ignorante”, hanno portato ad un’inflazione tremenda, che ha sfiorato l’anno scorso il 20% e ha affossato il valore della moneta che è passata da circa 4,30 pln per un euro a quasi 5. Questo ha destabilizzato tutti sia da un punto di vista economico che psicologico, e indebolito il portafoglio di chi vive e lavora qui. Per fortuna in questi anni, lavorando in multinazionali, gli stipendi si sono molto avvicinati a quelli italiani, il costo della vita è aumentato ma adesso sembra sotto controllo».

Quali sono gli aspetti positivi della Polonia?

«La Polonia è tra i pionieri della digitalizzazione e del miglioramento della burocrazia. Quando iniziai a vivere qui la burocrazia era tremenda, post-socialista, molto peggiore di quella italiana. Adesso, dopo 18 anni, l’Italia è praticamente rimasta immutata, mentre qui con un click puoi fare tutto. Vedo che in Italia SPID, digital banking o anche cose come IT alert sembrano attraversare una via crucis infinita tra critiche, problemi, ecc. In Polonia, invece, tutto ciò funziona quasi alla perfezione da anni».

Vincenzo Corsini

Musicista, cantante, hai fondato nel 2015 la band DiscoPogo. Come è nata l’idea del gruppo e quali sono stati i momenti chiave nella sua crescita e sviluppo?

«Ho sempre amato il lavoro di gruppo. È un esercizio utile anche per capire come stare in team o come gestire una famiglia. Inoltre è un’esperienza così profonda che guardandomi indietro, in ogni fase della mia vita, le persone con cui sono rimasto in contatto e che posso definire amici nel vero senso della parola, sono per la maggior parte quelle con cui ho condiviso proprio esperienze di band.

Dopo aver cantato come ospite di Strachy Na Lachy (di cui sopra), decisi di voler tornare a suonare. Così fondai la band Ossesso, che con molti cambi di formazione durò qualche anno. Quando l’ultima formazione concluse i lavori, ne creai l’erede naturale, portando alcuni musicisti e alcune mie vecchie canzoni di quell’esperienza. Pensando al nuovo nome del progetto, mi resi conto che l’avevo già racchiuso in un testo degli Ossesso. Tradotto in italiano, il ritornello fa: “Invece di ascoltare la disco polo lei ascolta disco pogo”. Voleva essere un gioco di parole disco-ballo, pogo-rock. Per inciso, la disco polo è un genere musicale terrificante polacco, nuovamente molto popolare, nato negli anni ‘80 come tentativo di scimmiottare l’italo disco, ma senza arte né parte. La canzone è tuttora un punto fisso dei nostri concerti».

Puoi condividere i dettagli sull’album che stai preparando in lingua italiana? Qual è l’ispirazione dietro questo nuovo lavoro e cosa possiamo aspettarci?

«Tutto è nato da una canzone che tradussi dal polacco all’italiano e che cantai come ospite degli Strachy na lachy. All’inizio con gli Ossesso avevo alcuni testi in italiano. Poi però il clima è cambiato e la gente ha iniziato a preferire il polacco. Io mi sono adeguato e con due musicisti conosciuti del panorama polacco ho scritto il mio primo testo in polacco, sul quartiere dove vivo, Jeżyce. Per via di opere di letteratura e di “nomea” è molto conosciuto in tutta la Polonia.

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Dopo due EP, coi DiscoPogo nel 2021 abbiamo inciso l’album “Nasz klient, nasz Funk”. Lì ho scritto una nuova canzone in italiano, FeliciFunk. Il resto della band ha notato come io canti molto più a mio agio in italiano, e quindi è nato il progetto di questo nuovo album. Qui il nostro precedente, con l’italiana FeliciFunk e la spagnola Eslavo latino. Come per il singolo In the fesso, in tutte le canzoni nuove vorrei trasmettere quello che ho vissuto, anzi ciò che tutti noi nel mondo abbiamo vissuto, in questi anni, tra pandemia, guerra, instabilità economica, ecc. Provo a creare dei testi semplici che, se approfonditi, non sono così superficiali come può sembrare a primo impatto».

Parlando del tuo singolo “In the fesso”, cosa ha ispirato questa canzone e qual è il messaggio che desideri comunicare attraverso di essa?

«Avevamo pianificato tutto il piano di lavoro per questo album. In the fesso lo ha stravolto completamente. Stavamo ormai registrando le canzoni in versione “amatoriale”, in sala prove, da inviare alle etichette, quando il chitarrista è venuto con un nuovo riff. Nel giro di un giorno e mezzo era pronto questo nuovo pezzo. Lo abbiamo sentito così “nostro”, così “naturale” che abbiamo deciso di concentrarci su di esso, e solo in seguito continuare con le altre canzoni. Fesso-indefesso, perché così ci sentiamo noi teste dure, che continuiamo a lottare con le avversità. Di “In the fesso” dico chiaramente, che sono 40 anni di esperienze e di sconfitte, racchiuse in 4 minuti. È praticamente un’autobiografia di molti miei errori e problemi. Ma ho provato a scriverlo in modo leggero e “impressionistico” in modo che più persone riuscissero a identificarsi con questo testo.

Nonostante la canzone non abbia ancora raggiunto ogni angolo della terra, ci sono già molti “sconosciuti” che mi scrivono e che ringraziano di aver messo in musica i loro problemi. Del resto, in questo momento le “star” musicali sono usa e getta, sono stelle da TikTok, superficiali e ultra-giovani. Cosa ne sa un 20enne di successo dei problemi di chi è costretto a fare un lavoro non suo, e che lavora solo per guadagnare senza soddisfazioni di alcun tipo? Che ne sa di cosa significhi non trovare lavoro, di sbattere il naso con la propria arte o dell’avere problemi di salute gravi? Dai feedback ricevuti, vedo che con questo testo si identificano 30enni, 40enni ma anche 20enni che vogliono qualcosa di più dalla musica e dalla vita».

Vincenzo Corsini

La vostra band mescola diversi generi musicali. Puoi raccontarci come avete sviluppato questo stile musicale unico e come funziona il processo creativo all’interno della band?

«Spesso diciamo che come DiscoPogo ci divertiamo seriamente. Nel senso che suonare per noi è divertimento allo stato puro. Ma per essere vissuto appieno, richiede impegno e lavoro. Del resto qualcosa di molto simile lo diceva Frank Zappa, grosso esempio sul come fare musica, specie adesso. Ci divertiamo a sperimentare, a mescolare cose apparentemente incompatibili tra di loro e vedere cosa ne uscirà. In pratica, spesso il processo creativo parte da uno di noi che viene in sala prove e dice: “Ragazzi, ma non abbiamo mai provato a fare qualcosa di questo tipo!”, e allora cominciamo a giocare con uno stile, un genere, un’ispirazione. Il risultato è la creazione di qualcosa di completamente diverso, il che ci diverte molto. Ad esempio nell’album ci sarà anche la cover di un pezzo di oltre 30 anni fa, non posso ancora svelare quale. Quando ci capitò sottomano – su consiglio di un amico scrittore – ero molto molto dubbioso: era un pezzo tipicamente italo disco e non immaginavo come poterlo sviluppare a modo nostro. Beh mi sbagliavo, passato dalle mani della band, è diventato un tipico pezzo DiscoPogo, tra momenti rock, momenti disco, ska o anche di classica ballata italiana!».

Dopo aver cantato per anni in polacco, come ti senti nel tornare a cantare in italiano? Quali sono le tue influenze musicali italiane e come queste si riflettono nella tua musica?

«Mi sento molto più a mio agio, sia a scrivere i testi, sia a cantare. È come se tutto l’apparato fonatorio cambi posizione per cantare nella lingua che mi è più naturale. Come la nostra musica, anche le mie ispirazioni sono molto varie. Franco Battiato, Elio e le storie tese o i grandi cantautori del passato come Guccini, Rino Gaetano, Lucio Dalla, Battisti… All’università ho anche suonato progressive rock e penso che qualcosa di quell’esperienza mi sia rimasta, il prog italiano, è rinomato nel mondo. E ovviamente il buon rock italiano da Vasco Rossi, passando per i Litfiba, i Negrita, fino ai primi tre album di Ligabue (da Miss Mondo in poi non sembra più lui). Visto che queste ispirazioni passano dal processo creativo, penso che spesso sia impossibile riconoscerle nel pezzo nuovo, nonostante ciò io sento chi o cosa ha ispirato una data frase o un dato pensiero espresso in musica».

La scena musicale italiana è piena di giovani che come te vogliono esprimersi attraverso la musica. Quanto è difficile oggi in Italia fare musica e farsi notare?

«Difficilissimo. Quello che “vende” è l’immagine, e la bravura a promuoversi sui social media. Invece l’arte non attira su Facebook, Instagram o TikTok. La musica nasce nelle sale prove e si sviluppa nei locali dal vivo. I locali di musica dal vivo, però, per esistere devono vendere bibite e/o cibo. Il problema è che in molte zone d’Italia non c’è la cultura di andare ad ascoltare qualcosa di nuovo come passatempo. Ergo i locali di musica dal vivo non pagano le band neanche quel minimo per poter funzionare (benzina, qualcosa da mangiare). Come effetto, molte band valide smettono di suonare in quanto mancano gli stimoli e le possibilità di farlo. Restano solo i “figli di papà”, che di solito non hanno le minime capacità. Questa situazione va risolta su molti piani. Da un lato promuovere la musica dal vivo come forma di aggregazione, dall’altro invogliare i media locali e nazionali a dare spazio all’arte indipendente e agli eventi. Infine, come sappiamo, “it’s all about the money”, la musica dal vivo va sostenuta economicamente. Un musicista per iniziare a suonare ha bisogno, nella versione ultra-mega-economica, di circa 1000-1500 euro di strumentazione, più l’affitto della sala prove, più la benzina per gli spostamenti… Non sarebbe neanche difficile sostenere la cultura, se si volesse. Nel mercato dell’intrattenimento guadagnano le discoteche e i locali che fanno concerti di tribute band / cover band. Quindi l’apparato c’è già. Basta stimolare l’utilizzo di parte dei guadagni di tali eventi, per i concerti di musica originale. In poche parole, parte del guadagno (ricordiamo che le discoteche hanno lucro stratosferico, spesso a nero) deve essere usato per pagare band di musica originale».

Vincenzo Corsini

Cosa ti aspetti per il futuro della tua carriera musicale e cosa vorresti comunicare ai tuoi fan e ai nuovi ascoltatori attraverso la tua musica?

«Quello che più mi interessa è riuscire a trasmettere quello che sento e che penso, e trovare in questo modo persone che vivono situazioni simili e dar loro voce. In pratica voglio esattamente quello che stiamo facendo adesso ma su scala maggiore, magari in modo tale da poter vivere solo di musica e delle altre attività creative di cui mi occupo: la radio, i musical, gli eventi».

Come è cambiata la tua vita da quando vivi in Polonia?

«Completamente. Per prima cosa trasferirmi qui ha coinciso col passare dallo status di studente alla vita da lavoratore. Poi in questi anni ho scoperto nuove passioni come appunto la radio, eventi inattesi come suonare dal vivo con star del panorama nazionale, ecc. Ho vissuto molte esperienze, mi sono sposato, ho una casa… Professionalmente ho visto come si lavora in diverse aziende, in cosa sono bravo, in cosa meno, cosa mi piace fare, cosa no. In pratica tutto questo periodo è stata una crescita, difficile da ripercorrere. Ho potuto conoscere un modo diverso di funzionare dello Stato e della vita in generale, conoscendo io stesso parti di me che ignoravo. Ho visto pregi e difetti sia dell’Italia, sia della Polonia».

Ti manca l’Italia e ci torneresti?

«Sì, mi manca tantissimo. Da alcuni anni con mia moglie stiamo analizzando appunto i pro e i contro della vita in Polonia vs la vita in Italia. Ogni volta che veniamo approfondiamo tali aspetti e, consci degli enormi difetti della vita in Italia (soprattutto per l’obsoleto impianto statale, con burocrazia, tasse e leggi non funzionanti), saremmo pronti a mollare tutto e tornare in Puglia, se ce ne fosse la possibilità. Il problema maggiore è però uno: per tornare al sud, devi portarti un lavoro con te, perché lì non lo troverai».

Per contattare Vincenzo Corsini, ecco i suoi recapiti:

Facebook: https://www.facebook.com/DiscoPogo.

YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=dDPrffa8NN0.

Vincenzo Corsini