Uno psicologo italiano in Scozia

Mi chiamo Federico e sono uno psicologo “atipico” Italiano, trasferitosi a Edimburgo nel 2014.

In questo momento, fatico a trovare un punto di partenza nel raccontare la mia storia e, se dieci anni fa, qualcuno avesse previsto il mio trasferimento in Scozia, avrei seriamente dubitato del suo equilibrio mentale. La mia carriera professionale è sempre stata caratterizzata da una certa vivacità e da cambiamenti di rotta, ogni qualvolta in cui sono venute meno motivazione e interesse per le attività svolte.

Per me è sempre stato ed è tutt’ora importante, credere in ciò che faccio; vivo il mio lavoro con passione e tale aspetto presenta una duplice connotazione: “positiva”, perché mi porta a vivere intensamente gli obiettivi che mi prefiggo; “negativa” perché, spesso, in passato ho faticato a creare una linea di confine tra la mia vita professionale e quella personale.

Il tempo, le esperienze e i tanti errori mi hanno aiutato a crescere e a trovare il giusto equilibrio tra i miei spazi e quelli da dedicare alla professione. Resta viva la voglia di dare del mio meglio e di ricercare un senso in quello che faccio. Tale modalità mi porta a indossare spesso l’abito del “ribelle” e andare contro corrente. Tanti sono stati gli scontri in ambito professionale, dovuti a vedute altrui che cozzavano in maniera marcata con la mia scala di valori; ricordo, come tali situazioni, generassero in me una sorta di rifiuto nello scendere a compromessi e immancabilmente mi ritrovavo a dover ripartire da zero…

Ripartire da zero e ricostruire, due costanti della mia vita; nello stesso tempo, in tali momenti, la mia mente era affollata da dubbi sul fatto se avessi o meno scelto in maniera corretta. Mi criticavo perché il mio non essere conforme a quanto il “sistema” chiedeva, il non sapermi turare il naso al momento giusto, il non essere sufficientemente diplomatico, spesso sortiva l’effetto di “mettermi alla porta” (con modalità più o meno dirette). Tante volte mi sono messo in discussione, in molte occasioni ho pensato che forse ero io il problema…

Ora, a distanza di anni e con cristallina convinzione, posso dire di aver fatto le scelte giuste; anche le esperienze non particolarmente positive sono state, in realtà, decisive perché hanno generato in me rabbia e voglia di riscatto; questi due elementi sono stati il combustibile che mi ha dato la spinta per arrivare alla meta attuale. Ho fatto tanti cambiamenti, lavorato in ambiti e settori diversi tra loro; tutti comunque condividevano la medesima costante: lavorare con e assieme alle persone. Mi è sempre piaciuto il contatto umano ed è per me fondamentale poter contribuire, anche solo in maniera infinitesimale, al benessere di una persona. Mi sono entusiasmato in tutte quelle situazioni, in cui ho avuto il privilegio di essere vicino a persone che hanno scoperto valori e potenzialità sopite, oppure sepolte sotto tonnellate di delusioni.

Le persone brillano di luce propria e spesso non ne sono consapevoli. L’essenza ultima del mio lavoro è poter aiutare un individuo a trovare l’interruttore per “accendersi”. Questa leva motivazionale, mi ha accompagnato nel corso delle esperienze maturate in Italia. In parecchie occasioni ho cercato di seguire più il mio “sentire” (ciò che, a mio avviso, era giusto fare in un determinato momento), rispetto a quanto mi veniva imposto dall’esterno. Nel vita quotidiana, pressioni sociali e culturali, spesso, esercitano condizionamenti, affinché si percorrano binari prestabiliti e si rispettino scadenze temporali a tappe fisse. In realtà, ciascuno di noi ha una propria storia, con momenti precisi per fare delle scelte; “prima”di tale istante potrebbe essere troppo presto e “dopo”, troppo tardi. Per la mia storia personale, il momento giusto per trasferirmi a Edimburgo è stato all’età di quarantatré anni. Ritornando alla sfera prettamente lavorativa, ho iniziato la mia carriera in ambito aziendale, nella gestione delle risorse umane; dopo alcuni anni, ho scoperto che questa non era la mia strada ed ho scelto di cambiare. Ho deciso di mettere a disposizione del “no profit” le competenze maturate in precedenza nel settore “profit”.

Ho seguito progetti d’inserimento lavorativo per utenti appartenenti alle categorie protette, ambito che mi ha permesso di conoscere persone splendide a cui debbo molti insegnamenti; da loro ho imparato a riconoscere il valore del singolo prima di una sua presunta diagnosi; ho scoperto che la vera disabilità si cela in ciascuno di noi, ogni volta in cui non ci si sforza di capire che la realtà può essere vissuta secondo svariate prospettive; che la diversità spaventa solo quando non la si conosce e si è troppo pigri per volerla accogliere; ho imparato a vedere l’uomo come uno splendido caleidoscopio di emozioni, troppo complesso per essere definito con approcci dicotomici del tipo “bianco oppure nero”. Attualmente, collaboro con alcune charities di Edimburgo e seguo ragazzi con difficoltà di apprendimento all’interno di specifici progetti di vita indipendente. Parte del mio lavoro viene svolto in un centro diurno e il tempo rimanente è speso all’esterno, in città. Quest’ultima funge da scenario di tutte le attività che prediligo di più e che sto sviluppando; In tali situazioni, supporto i singoli utenti nello svolgimento di mansioni che possono sembrare comuni e scontate. In realtà, tali compiti, richiedono strutturazione in specifiche sequenze da apprendere e ripetere. Edimburgo diventa una grande palestra, dove affinare e consolidare competenze utili per dipendere sempre meno dagli altri. Queste progettualità prevedono fasi iniziali, nel corso delle quali illustro compiti specifici e se necessario li svolgo in prima persona. Seguono azioni intermedie, all’interno delle quali vi è una ripetizione, assieme all’utente, di quanto appena visto.

Il mio ruolo diventa sempre più di secondaria importanza con il trascorrere del tempo. La mia figura si posiziona ai margini, in secondo piano, in modo che la persona che seguo, possa conquistare e far propria questa autonomia. Divento spettatore di momenti che a mio avviso sono magici, quali ad esempio: vedere un ragazzo con difficoltà motorie tenere in mano il proprio abbonamento del bus, sorridere all’autista, estendere il braccio per andare a vidimare il documento in suo possesso; oppure, osservarne un altro con difficoltà relazionali, socializzare con personale del fast-food dove abitualmente si va a pranzare. Sono attività che appartengono alla quotidianità: l’utilizzo dei mezzi di trasporto, la scelta del luogo dove pranzare, la gestione della spesa all’interno di un supermercato e il relativo pagamento con il denaro. Mansioni che diamo per scontate, apparentemente di semplice esecuzione ma che per queste persone, invece rappresentano grandi conquiste. Come anticipato in precedenza, Edimburgo è il nostro laboratorio dove sperimentare e imparare assieme.

La scelta dei luoghi parte sempre dagli interessi e dalle passioni del singolo. Per esempio, con un ragazzo appassionato d’informatica e nuove tecnologie abbiamo scelto quali aree di lavoro, negozi appartenenti a questo settore, sparsi nel centro cittadino dove, settimanalmente, ci rechiamo per utilizzare e “testare” computer e tablet. Generalmente, prendo accordi con il manager del negozio e/o con eventuali responsabili, presento loro la progettualità e le finalità di questo intervento; Currys PC ed Apple Store ci accolgono settimanalmente e concedono di usare a piacimento i vari dispositivi. Internet, Pc e Mac offrono spazi strutturati d’interazione multimediale mentre “Street View” di Google rappresenta un valido supporto per esercitare memoria e orientamento. Il personale di staff diventa familiare e settimanalmente crescono le opportunità di socializzazione, fondamentali soprattutto per ragazzi che tendono a isolarsi e chiudersi in sé stessi.

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Le nuove tecnologie sono una presenza costante in ciò che facciamo. Le varie attività vengono riprese per analizzare le diverse sequenze di lavoro, verificare i miglioramenti e strutturare, con modalità incrementale, i livelli di difficoltà richiesti dai vari compiti. Ho proposto al contesto con cui collaboro di poter dotare l’utente di tablet durante le uscite, creare una rete che si avvalga di salvataggio di dati mediante “cloud”e che connetta in tempo reale il dispositivo mobile utilizzato all’esterno, con i PC della sede centrale. Lo scopo di questa infrastruttura è quello di erigere un “ponte” su cui far viaggiare immagini, video, software per la comunicazione facilitata, etc. Nella mia idea progettuale, ogni ragazzo dovrebbe possedere una propria sezione online dedicata (opportunamente criptata per proteggerne la privacy), nella quale raccogliere in formato multimediale tutti i lavori svolti. Il piano educativo individuale, che in UK viene denominato “Care Plan” verrebbe a essere totalmente digitalizzato.

Vi sarebbe inoltre la possibilità di creare, con cadenza regolare, un video diario, utile per condividere tutte le azioni intraprese con i genitori, colleghi e con altre figure professionali collegate all’utente. Recentemente ho avviato una prima fase sperimentale che vede coinvolti due utenti, ciascuno dei quali possiede una sezione online dedicata all’archiviazione dei dati, dove è stata creata una mappa Interattiva di Google, personalizzata con i luoghi e i tragitti preferiti. Tale strumento viene utilizzato assieme all’utente, per scegliere mete e itinerari a lui graditi. “Street View” diventa uno strumento prezioso, attraverso il quale pianificare con anticipo la giornata. Questa modalità è fondamentale per ragazzi che necessitano di avere una routine ben definita e cadenzata con regolarità. In Scozia, da un punto di vista professionale (come trovare lavoro in Scozia ndr.), vige un criterio meritocratico che permette ai più meritevoli di emergere. A distanza di due anni, ritengo decisivi aspetti quali la determinazione nel perseverare di fronte alle sconfitte, la disponibilità a mettersi quotidianamente in gioco, il definire con chiarezza i propri obiettivi, i relativi passaggi da seguire per raggiungerli e possedere un approccio propositivo, portatore di idee in linea con i bisogni concreti del contesto.

Federico Ferrarese

Il mio sito federicoferrarese.co.uk