Trasferirsi a vivere in Texas

Di Enza Petruzziello

Vivere negli Stati Uniti. Per molti la speranza di una terra promessa che mai si è placata. Lo sa bene Maria Teresa De Donato residente negli USA da ormai 23 anni.

Naturopata, Omeopata e Life Strategist, Maria Teresa si trasferisce negli USA nel 1995, lasciando Roma, la sua casa, la sua vita sicura, il suo lavoro nella Pubblica Amministrazione. Da allora non si è mai voltata indietro e, insieme a suo marito, ha scritto un nuovo futuro in Texas, più precisamente in “Central Texas” definita la Austin-Round Rock metropolitan area e che ben presto è diventata la loro nuova casa.

Da sempre grande divoratrice di libri, grazie alla passione trasmessale dalla sua famiglia, Maria Teresa ha sempre coltivato anche la passione per la scrittura tanto da riprendere gli studi giornalistici negli USA dove si è diplomata all’American College of Journalism.

Oltre a svolgere la sua professione di naturopata e omeopata, inizia ben presto un’intensa attività di scrittura e collaborando con riviste sia italiane sia americane e scrivendo articoli di vario genere su argomenti diversi, fino al 2015 quando decide di pubblicare il suo primo lavoro “The Dynamics Of Disease and Healing: The Role That Perception and Beliefs Play In Our Health and Wellness” – La dinamica della malattia e della guarigione. Il ruolo che percezione e convinzioni rivestono nella nostra salute e nel nostro benessere.

Da allora pubblica vari libri sia in versione cartacea sia Kindle. Le tematiche, avendo lei un approccio non solo olistico ma anche multidisciplinare, variano dalle medicine/terapie alternative, con speciale riferimento all’Alimentazione e all’Erbalismo sia occidentali sia orientali, Omeopatia Classica/Hahnemanniana, princìpi di Ayurveda e Medicina Tradizionale Cinese, al Coaching, oltre ad aspetti religiosi, spirituali, antropologici e sociologici.

Maria Teresa De Donato i suoi libri

Maria Teresa quando e perché hai deciso di trasferirti negli Stati Uniti?

«Sin da piccola sono stata innamorata dei film americani, di queste case con i giardini, di una vita che sembrava così diversa dalla mia in Italia e quasi paradisiaca.

Giocando con i miei pupazzi e le mie bambole inventavo avventure di ogni tipo verso terre lontane. Senza che me ne rendessi conto, quelli che facevo erano dei veri e propri esercizi di visualizzazione con cui stavo creando la mia realtà futura.

L’opportunità concreta di venire negli USA, e di restarci, si è presentata molto più tardi, nell’autunno del 1994, quando l’azienda per la quale lavorava mio marito gli propose un’assegnazione all’estero, proprio qui in Texas. Dopo esserci consultati, decidemmo che valeva la pena fare questa “esperienza americana” e così il 10 febbraio del 1995 ci trasferimmo negli USA. Da allora il Texas è diventato la nostra casa».

Di che cosa ti occupavi in Italia, dove vivevi, e cosa non ti soddisfaceva più della tua vita qua al punto da lasciare il nostro Paese?

«Quando ho lasciato l’Italia, lavoravo già da anni nella Pubblica Amministrazione, e precisamente al Ministero della Sanità (oggi Salute). Per seguire mio marito ho preso due anni di aspettativa non retribuita. Ho amato il mio lavoro che mi ha dato tanto e verso il quale ho avuto anche nostalgia, insieme a quella provata nel ricordare i tanti cari colleghi che avevo lasciato e con cui ho trascorso anni molto belli e ricchi di soddisfazioni.

Terminati i primi due anni di soggiorno qui, e avendo deciso io e mio marito di restare negli USA definitivamente, rassegnammo entrambi le dimissioni dai nostri rispettivi lavori. È stato come fare un salto nel buio. Il desiderio e l’entusiasmo di stabilirci in Texas per sempre, da una parte, e il timore di commettere un grosso errore facendo una scelta sbagliata dall’altra, ci hanno creato tensione e anche attimi di paura.

Ma alla fine quel salto lo abbiamo fatto e dopo più di 23 anni siamo ancora qui. La cosa che assolutamente non rimpiango della mia vita e del mio lavoro a Roma, città che comunque amo molto, sono le “alzatacce” al mattino alle 5:30 perché, abitando in periferia, alzarmi a quell’ora e uscire molto presto da casa era l’unico modo per viaggiare evitando di rimanere per ore imbottigliata nel traffico.

Continuavo a chiedermi – pur ritenendomi una privilegiata nell’essere riuscita a superare vari concorsi pubblici ed essermi poi finalmente impiegata al Ministero – come fosse possibile solo ipotizzare di fare quella vita per 40 anni, come l’avevano fatta mio padre e molti altri. Non riuscivo ad accettare quel pensiero. Lo ritenevo semplicemente disumano. In quel periodo, tra l’altro, avevo anche un carissimo collega di lavoro che mi parlava della splendida esperienza che suo fratello aveva avuto in Australia dove era vissuto vari mesi. Affascinata, quindi, anche dai suoi racconti, continuavo a sognare, visualizzare e a sperare.

Sono sempre stata attratta dalle lingue e dalle culture straniere e ho sempre sognato di allargare i miei orizzonti e di conoscere nuovi luoghi, nuove storie e persone “diverse”».

Come è stato l’impatto con gli Stati Uniti? Raccontaci i tuoi inizi.

«Il trasferimento negli USA lo abbiamo vissuto come una straordinaria avventura e, grazie all’aiuto di amici che vivevano già qui, o perché italiani anche loro in assegnazione all’estero, o perché cittadini americani di nascita, abbiamo trovato un appartamento prima ancora che lasciassimo l’Italia.

Avere dei punti di riferimento sul posto che possano aiutarti anche e soprattutto a familiarizzare con la cultura locale è assolutamente fondamentale per spianare la strada ed evitare di trovarsi, senza volerlo, in situazioni imbarazzanti, pericolose o addirittura illegali.

Atteggiamenti, espressioni, comportamenti che come italiani potremmo considerare normali o accettabili, qui non lo sono affatto né tantomeno sono giustificati con tutte le conseguenze del caso».

In che senso? Spiegaci meglio.

«La conoscenza e la comprensione delle differenze culturali sono tra gli aspetti che richiedono maggior attenzione quando si vive all’estero. Questo incontro-scontro – e lo dico in termini affettuosi e con uno spiccato senso dell’umorismo – tra culture può essere frustrante, per certi aspetti, ma personalmente l’ho vissuto con grande entusiasmo e altrettanta partecipazione, proprio come una bambina che scopre un mondo completamente diverso da quello cui è abituata e, quindi, lo percepisce e lo vive come un modo per imparare cose nuove, allargare i propri orizzonti ed arricchirsi non solo linguisticamente e culturalmente, ma, cosa più importante, umanamente».

È stato difficile trovare una nuova occupazione negli Stati Uniti?

«Sicuramente non è stato facile dal momento che per molti anni, a prescindere dalla tipologia di visto che rilasciavano a mio marito, io ne ricevevo una identica come “moglie”, che però non mi autorizzava a lavorare.

Dal nostro trasferimento negli USA, tuttavia, non sapendo se saremmo rimasti qui definitivamente né quando io avrei potuto iniziare a lavorare, mi tuffai nel volontariato collaborando, a vari livelli e in vari settori, con organizzazioni non-profit e iniziando anche un’intensa attività come

Gli Stati Uniti da sempre rappresentano per noi italiani, e non solo, quella terra promessa dove poter trovare fortuna e vivere bene. Ma è davvero ancora così? Ci sono ancora opportunità per gli italiani?

«Gli Stati Uniti sono certamente ancora un Paese con molte opportunità, soprattutto lavorative, ma io personalmente, pur essendo un’ottimista per natura, consiglierei vivamente a tutti coloro che ci leggeranno e che hanno magari intenzione di emigrare, di pensarci bene, iniziando con il rimanere con i piedi per terra ed evitare i voli pindarici con la fantasia, perché il mondo in cui viviamo è un mondo molto diverso da quello in cui sono vissuti i nostri genitori o i nostri nonni.

Io, che sono una baby boomer nata nel 1961 e che risiedo qui negli USA dal 1995, posso dire che questo Paese è cambiato molto da quando vi arrivai e che i cambiamenti che ci sono stati, purtroppo, non sono stati sempre positivi.

Il mio consiglio a tutti coloro che stessero ipotizzando di emigrare e venire qui negli USA per lavoro, è di ottenere una sponsorizzazione cioè un contratto di lavoro per gli USA, e il conseguente visto necessario per lavorare qui, mentre sono ancora in Italia».

Ecco, dal punto di vista dei permessi di soggiorno quali sono i passaggi da seguire? Tu hai avuto difficoltà ad ottenere i visti?

«Personalmente non ho avuto difficoltà perché ho sempre avuto lo stesso visto che – a seconda dei casi – aveva mio marito.

Nel mio caso, che devo ammettere è piuttosto atipico, questa si è, però, rivelata un’arma a doppio taglio in quanto ogni visto che ho ottenuto, pur consentendomi di vivere negli USA, non mi permetteva di lavorare. In linea generale coloro che vengono qui negli USA, o ci stanno pensando, lo fanno per 3 ragioni.

La prima è per turismo e in questo caso il visto dura 3 mesi, consente di vivere legalmente qui, ma non di lavorare.

La seconda per lavoro: i visti di lavoro sono vari e dipendono dalla tipologia di lavoro, di contratto, di durata del contratto. Alcuni visti ti permettono il processo di immigrazione, altri no. Le situazioni variano da persona a persona. La soluzione migliore è partire in via definitiva per gli USA con in mano già una “sponsorizzazione”, ossia un contratto firmato da entrambe le parti – datore di lavoro e lavoratore – oltre al visto di lavoro. Prima di partire meglio recarsi all’Ambasciata Americana e accertarsi di persona di avere tutta la documentazione occorrente e in regola per trasferirsi e lavorare negli USA.

Questo per evitare spiacevoli sorprese una volta arrivati all’aeroporto di scalo negli USA, come quello, ad esempio, di non essere ammessi o addirittura essere deportati e, quindi, non avere la possibilità di rientrarvi per un periodo che varia dai 5 ai 10 anni, pena l’arresto.

L’ultima ragione riguardo lo studio. In questo caso, ad esempio, ho conosciuto varie persone, in passato, che sono arrivate qui con una laurea Bachelor, hanno frequentato l’università conseguendo un Master e poi, grazie al Master (e/o probabilmente anche a conoscenze personali accademiche e non) hanno ottenuto una sponsorizzazione da un’azienda, quindi un contratto di lavoro ed un conseguente visto di lavoro, il che ha facilitato poi l’ottenimento della Carta Verde (Green Card) che, per uno straniero, rappresenta il documento più importante negli USA, che permette di vivere permanentemente nel Paese, di lavorare senza più la necessità della sponsorizzazione e del visto di lavoro o di studio».

Ormai vivi qui da ben 23 anni. Possiamo dire che conosci davvero profondamente questo Paese. Come si vive negli Stati Uniti e in particolare in Texas?

«Sì, è vero. Dopo essere vissuta qui per più di 23 anni non mi sento solo una “Italian-American”, ma in primis una Texana-Italiana. Amo profondamente gli USA e in modo particolare il Texas che ormai è la mia casa. Me ne sono innamorata da subito con i suoi usi e costumi propri e una notevole presenza e cultura Tex-Mex (Texana-Mexicana).

Ricordiamoci, infatti, che il Texas fu prima parte del Messico, poi, dopo la rivoluzione per l’ottenimento dell’indipendenza dal Messico, divenne, nel 1836, Repubblica del Texas, e infine, nel 1861, parte della Confederazione degli Stati (come erano chiamati allora gli Stati Uniti). Malgrado sia da sempre la terra dei petrolieri, dei grandi allevatori di bestiame e dei grandi proprietari terrieri, il Texas è anche uno Stato molto avanzato per quanto riguarda l’Alta Tecnologia, la Ricerca Scientifica e il settore aerospaziale.

Poi dipende anche da quello che cerchiamo, da quali sono i nostri valori e quali le nostre preferenze. Vivere in Texas – che sia Dallas, Houston, Austin, o San Antonio – è molto diverso dal vivere a New York, San Francisco, Los Angeles o Chicago, perché diversi sono anche la mentalità e, per certi aspetti, anche lo stile di vita».

Quali sono le principali differenze sia dal punto di vista lavorativo che di vita tra Italia e Stati Uniti?

«Le differenze sono molte e in passato il loro numero era anche maggiore. In questi ultimi decenni il processo di globalizzazione ha assottigliato queste differenze. Fino a quando sono vissuta in Italia, ad esempio, per un commerciante/esercente, così come più o meno per il resto della popolazione italiana (e probabilmente europea) era impensabile ipotizzare di lavorare 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, 365 giorni l’anno.

Questa, purtroppo, è una realtà importata dagli USA: qui la mentalità prevalente è da sempre, e per certi aspetti continua ad esserlo, che vivere significa principalmente lavorare/produrre/guadagnare. Non si lavora per vivere, si vive per il lavoro.

Chiunque si dovesse trasferire negli USA, in quanto a tempo libero, numero di giorni di ferie e di vacanze e “benefits” troverà molte differenze, non sempre vantaggiose. La possibilità di essere licenziati, con o senza giusta causa e in qualunque momento, è un’altra realtà con cui bisogna confrontarsi. Avere un’assicurazione sulla salute è assolutamente d’obbligo.

Un altro consiglio che do ai nostri lettori è di farsi un’assicurazione sulla salute anche se negli USA vengono solo in vacanza e per pochi giorni. Prevenire è meglio che curare. In questo modo si evita di dover pagare centinaia se non migliaia di dollari di spese mediche magari per una semplice storta».

Sei Naturopata, Omeopata e Life Strategist. Come ti sei avvicinata a questo ambito?

«Per ragioni di salute durante l’adolescenza mi avvicinai all’Omeopatia e fu proprio grazie ad essa che capii come mente, spirito e corpo fossero collegati tra loro in maniera indissolubile e di come fosse, perciò, assolutamente fondamentale approcciare la salute da un punto di vista olistico, ossia analizzando, a prescindere dal problema e dalla sua gravità, l’individuo nella sua interezza, unicità e complessità.

Già venivo da una famiglia con sane abitudini alimentari e che dava molta importanza a una dieta equilibrata e al movimento fisico. Successivamente, il lavoro al Ministero della Salute e un corso di Management Amministrativo in ambito medico frequentato in Austria, mi prepararono a qualcosa di diverso, ma sempre in ambito medico, o quantomeno legato alla salute e al benessere.

Ad un certo punto decisi di investire ulteriormente in me stessa e di riprendere gli studi accademici proprio attraverso un percorso olistico. La mia attività, iniziata più di 30 anni fa come coaching personale e spirituale, con i successivi studi accademici ha incluso incorporato anche Salute e Benessere, diventando un Life Coaching a 360°.

Per motivi di interesse personale e professionale, continuo ad imparare cose nuove seguendo ogni anno vari corsi che mi hanno permesso di ottenere altre certificazioni di vario genere».

Come svolgi la tua professione, a chi ti rivolgi e di cosa ti occupi nello specifico?

«Svolgo la mia attività attraverso consulenze effettuate via email e/o videoconferenze (tramite Skype, Facebook Messenger, Google Hangouts o Zoom, tutte piattaforme gratuite), aiutando persone di tutto il mondo, di ogni età e qualunque sia il loro problema – personale, professionale, o legato alla salute.

Per fare ciò, dopo che si sono rivolte a me via email ed aver preso un primo contatto (possiamo anche avere una conferenza gratuita di 15 minuti solo per conoscerci) e dopo che i clienti hanno effettuato il pagamento intero tramite PayPal (anch’esso gratuito) per il servizio che hanno richiesto mando loro una questionario da compilare e che mi dovranno restituire, in modo tale che io abbia tutte le informazioni del caso e possa aiutarli nel modo migliore.

Poi ci sentiamo in videoconferenza per essere certi che il cliente abbia compreso tutti i dettagli o se magari ha domande da fare al riguardo.

Ognuno di noi è un universo a se stante, quindi quello che va bene ad una persona può non andare bene ad un’altra anche se il problema è lo stesso.

Le terapie olistiche non vanno bene per tutti. Mi spiego. Se siamo abituati a prendere una pasticca per ogni problema – reale o percepito come tale – e vediamo in questa azione la soluzione, solo perché magari abbiamo soppresso il dolore, ma non siamo disposti a partecipare attivamente alla nostra salute, al nostro processo di guarigione, apportando modifiche reali e concrete al nostro stile di vita, rimboccandoci le maniche e facendo la nostra parte, le terapie olistiche non fanno per noi.

Chi crede veramente nell’approccio olistico alla salute abbraccia una filosofia di vita…, un modo completamente nuovo di concepire salute e benessere, di come mantenerli il più possibile e, quindi, di prevenire eventuali problemi, e di come andare in fondo cercando la vera causa che li ha determinati e rimuovendola, perché solo così si ottiene la vera guarigione.

E per quanto riguarda il Coaching?

«La durata e il programma, ossia il numero delle sessioni ed il loro conseguente costo, dipendono dalla tipologia di problema da affrontare e l’obiettivo da raggiungere. Qualunque sia l’area, ogni programma è individualizzato a seconda delle specifiche esigenze e caratteristiche del cliente.

Come Naturopata miro ad individuare la causa prima che ha determinato o quantomeno contribuito a generare sintomi e malattia, o condizione di salute. Non sono un medico, quindi non faccio diagnosi. Per avere una diagnosi, la persona deve prima rivolgersi al medico, poi, e per qualsiasi problema, possiamo lavorare insieme.

Le terapie olistiche non dovrebbero essere viste necessariamente come “alternative”, ma possono essere utilizzate anche come “complementari” o “integrative”, nel caso il cliente stesse seguendo già un trattamento farmacologico o altra terapia convenzionale. Nel questionario che invio ai miei clienti, questi devono indicare anche eventuali cure mediche e terapie farmacologiche che hanno effettuato in passato o stanno seguendo al momento.

Questo è necessario per evitare interazioni tra erbe, integratori alimentari e farmaci».

Oltre alla tua professione, negli ultimi anni ti sei dedicata molto alla scrittura e hai all’attivo numerose pubblicazioni. Sia in versione cartacea sia Kindle. Che cosa racconti nei tuoi libri?

«Scrivere è sempre stata la mia più grande passione e ho iniziato da piccola con la pubblicazione di alcuni miei articoli sul giornale In Cammino e studiando successivamente giornalismo sia in Italia presso la Scuola Superiore di Giornalismo Accademia, sia negli USA, dove mi sono diplomata presso l’American College of Journalism.

Sin da quando mi sono trasferita negli USA, proprio a causa del fatto che per molti anni non mi è stato consentito di lavorare, ho ripreso a scrivere pubblicando vari articoli e poesie, alcune delle quali hanno anche ricevuto Honorable Mention ed il President’s Literary Award venendo incluse in alcune antologie americane tra cui Etchings.

È stato, tuttavia, solo una volta concluso il mio percorso accademico che ho pubblicato il mio primo libro cui è seguita la versione kindle, ristretta, Disease and Healing Dynamics, Dinamica della Malattia e della Guarigione.

Entrambi si pongono alcune domande, ad esempio: Cos’è esattamente la salute e cos’è la malattia? I sintomi e la malattia hanno una loro utilità e funzione, e se sì, quali? Questi due lavori sono il risultato di 9 mesi di studi e ricerche e della mia osservazione di 7 casi.

A queste pubblicazioni sono seguiti opuscoli, realizzati sia in italiano sia in inglese, in entrambe le versioni, cartacea e kindle. I rispettivi titoli sono PTSD: Conquering The Invisible – A Holistic Approach to Post-traumatic Stress Disorder e Conquistare l’Invisibile – Approccio Olistico al PTSD (Disordine da Stress Post-traumatico).

L’opuscolo vuole essere un aiuto e un sostegno sia alle vittime del PTSD sia ai loro familiari e motivare, soprattutto chi ne è colpito direttamente, a valutare tutto ciò che può fare personalmente, oltre alle cure farmacologiche e psicoterapiche che sta seguendo, per partecipare attivamente alla propria salute, al miglioramento delle sue condizioni sia fisiche sia psichiche e del proprio stile di vita, e, laddove possibile, ad una totale guarigione.

Dopo questi opuscoli ho pubblicato altri due libri: DARE To RISE – Reshaping Humanity by Reshaping Yourself (Coautore: Denis Gorce-Bourge) e Hunting for The TREE of LIFE – A Spiritual Journey in the Garden Traditions (Coautore: Dr.ssa Anneli Sinkko). Al momento sto lavorando ad altre due opere, un romanzo fiction ed uno autobiografico-storico-genealogico, che spero di pubblicare entro la fine dell’anno, prima nella versione italiana e poi in quella inglese».

Curi anche un blog e un sito. In cosa consiste la tua attività sul web?

Essendo sempre stata una persona eclettica e con molteplici interessi, la mia attività è altrettanto varia. Oggi viviamo in un mondo molto diverso da quello dei nostri genitori o dei nostri nonni. Internet aveva già rivoluzionato il mondo della Conoscenza e quello della Comunicazione. I social hanno elevato a potenza questi aspetti.

Oggi avere una presenza online non è più necessariamente una scelta, ma un’esigenza a cui ben pochi possono sottrarsi, soprattutto se si lavora in proprio. Il contatto personale è fondamentale anche quando è, per ragioni varie, solo virtuale. Ho avuto esperienze di ogni tipo da quando sono online con i miei profili, blog e siti e, tralasciando qualche esperienza non del tutto piacevole, che però bisogna mettere in conto nel momento stesso in cui ci si apre al mondo tramite il web, ho avuto anche il piacere, l’onore e la gioia di conoscere gente straordinaria di ogni parte del mondo; professionisti competenti, onesti, corretti e dalla personalità squisita con cui è un piacere interagire e, laddove possibile, anche collaborare.

Il web, se usato con intelligenza, correttezza e onestà è, a mio modesto avviso, un tesoro inesauribile di informazioni e di opportunità, una fonte per una continua crescita ed un perenne sviluppo personale. Un arricchimento senza fine, insomma.

Per quanto riguarda il mio blog “holistic coaching de donato” l’ho concepito come un giornale, una finestra sul mondo, una opportunità per presentare informazioni ai miei lettori. Ogni mese pubblico almeno un articolo. Gli argomenti che ho trattato dal 2013 ad oggi sono molteplici e su vari temi e vanno dalle terapie alternative ad esperienze di vita, al coaching».

Tornando alla tua vita da “emigrata”, a chi come te sta pensando a un trasferimento definitivo che consigli daresti oltre a quelli già detti?

«Di fare molte ricerche sul Paese che interessa, su “i pro e i contro” del viverci; di mettersi in contatto con persone che già vivono lì. Noi italiani siamo ovunque, quindi non è difficile trovare altri connazionali».

Come è cambiata la tua vita da quando sei negli Stati Uniti?

«Negli USA ho trovato una grande quantità di informazioni. Qui l’informazione è da sempre un diritto. In Italia, purtroppo ancor oggi, per molti aspetti e in molti casi, l’informazione sembra essere ancora una sorta di “top secret” ad appannaggio di pochi. Inoltre, dopo aver approfondito le mie conoscenze linguistiche a un livello tale che in Italia non sarebbe stato assolutamente possibile (le lingue straniere o si praticano o si perdono) sono riuscita a riprendere gli studi accademici e a laurearmi, conseguendo tutti i livelli di laurea possibili nel mio settore.

Diventare scrittrice a tempo pieno come ho sempre desiderato è stato un ulteriore sogno nel cassetto che sono riuscita a realizzare. Questo non significa affatto che dal lontano 1995, anno in cui mi trasferii qui, siano state tutte “rose e fiori”.

Al contrario! Le difficoltà non sono mancate affatto, così come non sono mancati i periodi, anche lunghi, di abbattimento e frustrazione. Ma come dicono da queste parti “What doesn’t kill you makes you stronger”, Quello che non ti uccide ti rende più forte, e quindi ho continuato ad andare avanti non abbandonando mai la speranza. Mio padre diceva sempre: “Chi si ferma è perduto”. Aveva ragione».

Ti manca l’Italia e un domani pensi di ritornarci stabilmente?

«L’Italia mi manca così come mi mancano la mia famiglia e i miei amici. La vita mi ha insegnato a non fare programmi a lunga scadenza. Preferisco vivere nel “qui ed ora” anche perché, come diceva mia zia Anna Maria “La vita ha più fantasia di noi”, quindi tutto può cambiare anche all’ultimo minuto. Mi piacerebbe tornare e vivere in Italia. Vedremo…».

Progetti per il futuro?

«Di fatto li ho già accennati: scrivere a tempo pieno, al momento sono in fase di transizione; riuscire a terminare i due libri cui sto lavorando da molti anni nel mio tempo libero, e pubblicarli entro la fine di quest’anno, almeno la versione italiana di entrambi; infine continuare ad arricchirmi spiritualmente e culturalmente, acquistando sempre maggiore conoscenza, competenze e migliorandomi come persona. Sarò una studentessa a vita».

Per avere maggiori informazioni su Maria Teresa, la sua attività e le sue pubblicazioni potete visitare i suoi siti: www.dedoholistic.com; http://holistic-coaching-dedonato.blogspot.com/.

Questa la sua Pagina di Autore Amazon: http://www.amazon.com/Maria-Teresa-De-Donato-PhD/e/B019G68L8Q.

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