La storia (di rivincita) di Sarah Silvestri

Di Enza Petruzziello

L’abbandono di sua madre a 2 anni, la morte prematura di suo padre per una tragica vicenda di malasanità, l’infanzia in un quartiere popolare di Roma con sua nonna. Sarah Silvestri, avvocato romano di 40 anni, non ha avuto una vita semplice, eppure non si è mai data per vinta. La sua vittoria più grande arriva con Matteo, suo marito. Grazie a lui riapre le porte del suo cuore e si trasferisce prima a New York – dove lavora per un importante studio legale – e poi a Copenhagen. Com’è vivere nella capitale danese? «Si lavora tanto, ma si ha anche tanto tempo per coltivare i propri hobbies, passare del tempo di qualità con la famiglia e gli affetti».

Una storia di sofferenza, abusi e difficoltà. Ma al tempo stesso una storia di riscatto che passa attraverso lo studio e nuove opportunità lavorative all’estero. Sarah Silvestri è l’esempio che non bisogna mai mollare e, soprattutto, mai darsi per vinti. Avvocato, quarantenne romana, mamma tedesca e papà italo-irlandese, nel suo DNA c’è un animo cosmopolita.

Nonostante la vita le abbia inferto diverse sofferenze, sua madre l’abbandona all’età di 2 anni e suo padre muore per un caso di malasanità nel 1992, Sarah va avanti. Resta con sua nonna paterna a Roma, vivendo nelle case popolari di Tor Bella Monaca per tutta la sua adolescenza ed oltre. Subisce violenza, bullismo e la gente che la circonda la dà per spacciata pensando che si perderà e non arriverà da nessuna parte. Ma lei vuole dimostrare di farcela.

Si laurea in legge e vola a New York, dove inizia a lavorare per uno studio legale specializzandosi in diritto dell’immigrazione. Torna in Italia speranzosa di trovare un lavoro, grazie anche alla sua esperienza all’estero, ma non va così. Durante la Pandemia mette su un team tutto al femminile e nasce Consulenze Internazionali.

«Inizio ad avere clienti ed arrivano le belle recensioni – spiega Sarah -. Ma Roma, la mia amata città, ci sta stretta. A fine 2021 approdiamo a Copenhagen ed arriva l’occasione: vengo selezionata per lavorare nel settore dei diritti umani nel team di una grande società di consulenza. E creo consulenze internazionali anche qui. Fortuna che non ho mollato insomma».

Sarah Silvestri

Eppure Sarah di motivi per mollare ne avevi diversi. Un’infanzia non facile, la tua, a partire dall’abbandono di tua madre e la morte di tuo padre. Come hai superato questi momenti, se mai lo hai fatto?

«Affrontare la disperazione, e tutti i momenti di sconforto che possono accompagnarci, è una sfida che tutti condividiamo. Per me, la scelta è stata quella di affrontare la vita con determinazione e forza, cercando di stabilire obiettivi ambiziosi per mantenere la mia mente e il mio cuore impegnati. Questo non significa che non abbia momenti di tristezza, in cui piangere diventa una forma di sfogo per le tensioni accumulatesi. Tuttavia, cerco sempre di evitare di piangere in pubblico, poiché credo che nessuno possieda l’esclusiva del dolore. Ho fatto diverse rinunce – tra cui dover rinunciare all’Erasmus – ma sono riuscita a viaggiare abbastanza da sentirmi come vivessi in un Erasmus permanente. Anche se ci sono ancora alcuni dolori difficili da gestire, rimango grata alla vita per tutto ciò che mi ha regalato, come il mio lavoro e mio marito. In questo modo, posso affrontare i miei demoni con speranza e determinazione».

Hai più rivisto tua mamma?

«La prima volta che ci siamo incontrate risale al novembre del 2016 a Roma, ma solo cinque anni dopo, nel dicembre 2021 in occasione del Natale, ci siamo riviste grazie al mio fratellastro che, trasferitosi a Copenaghen, ha cercato di creare un’opportunità per farci rincontrare. Non è stato esattamente come me lo ero immaginato, ma non nutro nessun sentimento di rancore nei suoi confronti. Guardandoci ora, credo che le nostre vite siano destinate a viaggiare su binari paralleli».

Al tuo fianco hai sempre avuto tua nonna. Com’è stato crescere con lei?

«Crescere con mia nonna è stato un viaggio complesso, caratterizzato da una mancanza di affetto e di comprensione da parte sua. Nonostante questo, mi ha trasmesso valori importanti che mi hanno accompagnato lungo la mia strada. Mi sono sentita giudicata quando ho deciso di prendermi cura di lei e di trascurare la mia laurea, ma ho trovato la forza di continuare a lavorare e studiare. Ricordo ancora le notti passate a studiare diritto commerciale seduta in bagno e quel 30 e lode inaspettato. Questo episodio mi ha dato la motivazione per non mollare. Mia nonna è stato il più grande amore ed ho cercato di dimostrarle che non l’avrei mai lasciata, prendendomi cura di lei fino alla fine. Spero che abbia percepito l’amore che c’era dietro i miei sforzi. Questa esperienza mi ha insegnato l’importanza della famiglia e la forza che può derivare da un legame profondo».

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Da piccola hai subito anche violenza e bullismo. Ti va di parlarcene?

«Parlare di abusi da parte di pedofili è un argomento che non mi capita spesso di menzionare. Però so cosa significa aver vissuto questa terribile esperienza, poiché anch’io fui una vittima inconsapevole dai 4 fino ai 6 anni. Fu una cosa di cui non parlai fino ai diciotto anni. E quando quell’uomo che credevo scomparso per sempre bussò alla nostra porta quando ne avevo diciannove, compresi quanto fosse stato importante ricordare quell’episodio. Da lì in poi decisi che non mi sarei dedicata alla carriera nel diritto penale perché dover rivivere quei momenti mi avrebbe creato malessere e mi avrebbe reso poco obiettiva.

Diverso discorso è stato per la tematica del bullismo che, ai miei tempi, era un fenomeno quasi totalmente sconosciuto e scarsamente dilagante. Oggi mi sento molto forte e decisa nella mia condanna e, nel mio piccolo, mi impegno per combattere questo fenomeno con ogni mezzo. Spero che tutti coloro che abbiano subito abusi trovino il coraggio di parlare e che venga fatta giustizia per le vittime di questi crimini».

La tua grande rivalsa arriva però negli studi.

«Beh, direi proprio di sì. Il 2002, mentre conseguivo il diploma scientifico-bilingue presso il Liceo Edoardo Amaldi a Torbellamonaca, è stato un anno significativo per me. La realtà della periferia romana mi ha ispirata a dedicarmi alla giustizia e a rappresentare le persone che avevano bisogno di essere ascoltate, come mio padre che era morto nel 1992 a causa di una tragica vicenda di malasanità. Ho quindi deciso di iscrivermi alla facoltà di Giurisprudenza all’Università di Tor Vergata, per dare voce a chi non ne aveva.

Quando mi sono iscritta, mia nonna era fortemente contraria alla mia scelta (seppur credeva che sarei stata un ottimo avvocato), ma determinazione e perseveranza mi hanno spinta a portare avanti i miei studi. Alla fine, sebbene non sia riuscita a raggiungere le aspettative che mi ero posta (sono sempre stata una perfezionista), nel 2012 ho ottenuto la laurea in Giurisprudenza».

Oltre alla laurea hai ottenuto un altro grande successo, vero?

«Esatto, il mio più grande successo è arrivato quando ho trovato il coraggio di aprire il mio cuore e di lasciarmi amare: nel 2004 è arrivato Matteo, oggi mio marito e mia grande fonte di ispirazione. Siamo andati a vivere insieme a New York, dove Matteo aveva ottenuto un posto di lavoro presso la New York University, ed è lì che ho continuato i miei studi. Tornati in Italia nel 2016, ho conseguito la seconda laurea, un master e l’ambito titolo di avvocato, consolidando definitivamente la mia formazione e carriera».

Che cosa provi se ripensi a quegli anni?

«Guardando indietro, provo una grande riconoscenza per il percorso intrapreso. Non è stato facile, ma ne è valsa la pena. Sono grata per le opportunità che mi sono state date e piena di gioia per il lavoro che svolgo e che mi permette di dare il mio contributo alla società. Spero che la mia storia possa essere la testimonianza che, con determinazione e costanza, è possibile superare le difficoltà e raggiungere i propri obiettivi».

Torniamo a New York, una città che può spaventare. Come sono stati gli inizi qui?

«New York è stata un’avventura piena di emozioni contrastanti. Con tanta speranza nel cuore, mi sono buttata nella sfida di trovare un lavoro, per scoprire che non era affatto semplice come mi aspettassi. Ho iniziato lavorando in un bar nel quartiere dell’East Village, con orari che mi portavano a terminare il turno alle 4 del mattino. Ricordo di aver pianto lacrime amare sentendomi scoraggiata nel vedere come i miei sogni stessero scivolando via. Ma non mi sono arresa, ed ho continuato a cercare nuove opportunità. La svolta è arrivata quando ho iniziato a lavorare come commessa in un negozio di lusso sulla Madison Avenue: è stato lì che ho potuto mostrare la mia abilità nella gestione delle relazioni interpersonali.

E nonostante i primi lavori non fossero esattamente in linea con la mia formazione, non ho mai perso di vista il mio obiettivo. Alla fine, il mio impegno e la mia determinazione hanno portato a un lavoro in uno studio legale a New York, nel quale ho avuto modo d’innamorarmi professionalmente del diritto dell’immigrazione. È stata una vera e propria montagna russa di emozioni, ma ne è valsa la pena!»

Com’è stato lavorare in questo studio, in una realtà nuova con una lingua che non era la tua?

«Dopo 15 giorni di attesa rispetto al primo colloquio e totalmente scoraggiata, il titolare dello studio di New York, mi chiamò per comunicarmi che avevo ottenuto il lavoro. Mi sono trovata di fronte ad una sfida: accettare un’opportunità unica, ma con uno stipendio basso rispetto agli standard americani. Nonostante la mancanza di esperienza e totalmente impaurita, ho deciso di lasciare il mio lavoro redditizio e provarci. Ho iniziato una gavetta impegnativa, lavorando anche 14 ore di fila al giorno. Devo ringraziare mio marito per avermi incoraggiata a non arrendermi e a perseverare, perché quell’esperienza mi ha dato le basi solide per la mia carriera di avvocato. Oggi, posso dire con orgoglio che quella scelta è stata vincente e mi ha permesso di scoprire ciò che volevo veramente diventare».

New York non ha bisogno di presentazioni, famosa in tutto il mondo è la città che non dorme mai. Ma com’è viverci stabilmente?

«Ricordo con tanto affetto i nostri anni trascorsi a New York, giovani, pieni di speranze e sogni. Mio marito era profondamente innamorato della città, con la sua frenetica energia e l’impossibilità di resistere al suo fascino. Per me, invece, è stato un po’ diverso: mi sentivo attratta e al contempo esasperata dalla città, ma non posso negare che sia stata un’esperienza indimenticabile che mi abbia insegnato molto. New York è una città piena di opportunità, meritocratica, eclettica e ricca di colori e eventi.

Sì, è costosa, ma se devo essere sincera Copenaghen mi sembra esserlo di più. La sanità è garantita solo a chi può permettersela pagando una costosa assicurazione, la meritocrazia esiste ma principalmente per chi è maggiormente predisposto a giocare sporco. Il razzismo è dilagante e l’illegalità massiva. Ma New York ti travolge».

Il ricordo più bello di NY?

«Ne ho tanti, ma ce ne è uno che ho ancora nel cuore: è stato proprio a New York, infatti, che ho avuto la fortuna di incontrare la mia cantante preferita, Laura Pausini. Lo so, è un po’ off topic, ma è proprio vero che se non succede a New York non succede da nessun’altra parte. Quel momento e la gioia che ho provato sono ancora indelebili nella mia mente anche perché ho percepito una forte solidarietà con gli altri fan e la totale assenza di competizione. Mi sono sentita così felice».

Sarah Silvestri

Dopo 3 anni trascorsi a NY torni in Italia, sperando di trovare subito un lavoro, anche alla luce della tua esperienza newyorkese. Ma così non è stato. Quali sono state le difficoltà maggiori nel trovare un’occupazione nel nostro Paese?

«Tornata dopo 3 anni trascorsi negli Stati Uniti ero convintissima che avrei trovato subito lavoro. Invece sono stata considerata troppo specializzata e, quindi, troppo costosa. È stato davvero frustrante e non nego di aver vacillato. Mi sentivo piena d’idee, di voglia di fare, di conoscenza da voler condividere ma non ero comunque abbastanza. Gli studi legali volevano che lavorassi in prova per mesi senza ricevere alcuna retribuzione. Psicologicamente è stato un impatto forte».

Scoppia la pandemia, decidi di mettere su un team tutto al femminile e nasce “Consulenze Internazionali”. Che cos’è, come si struttura e di cosa si occupa nello specifico questo progetto?

«Credo fermamente nelle specializzazioni: fornire un servizio di qualità ed ampliare la rete di possibili clienti sono i miei obiettivi principali. Per questo motivo, mi sono specializzata nel rilascio di visti per gli USA e per l’Europa. Tuttavia, spesso ero destabilizzata quando i clienti mi chiedevano se mi occupassi anche di altri settori del diritto. È per questo che, durante la pandemia, ho deciso di mettere in pratica la mia idea ed ho iniziato a studiare come creare un sito da zero. Il 5 maggio 2020 ho messo al mondo un bambino digitale, un network al femminile con cui condividere know-how ed esperienze professionali: una rete di amiche e professioniste di cui nutro una profonda stima».

Roma, però, non ti basta, così ti trasferisci a fine 2021 a Copenhagen. Cosa ti andava stretto della tua vita romana?

«Ho sempre creduto di essere stata una nomade nella mia precedente vita. La verità è che ho sempre amato Roma, ma mi sentivo anche bloccata in una vita che non dava sbocchi. Per di più l’attività che avevo avviato mi permetteva una certa mobilità, così con mio marito – che percepiva la realtà italiana in maniera altrettanto limitante – alla fine del 2021 decidiamo di trasferirci a Copenaghen. Fondamentalmente eravamo talmente assorbiti dal malcontento che ci circondava che ci stavamo annichilendo. È stato difficile, impossibile negarlo, ma vista anche la brevità del viaggio, riusciamo spesso a tornare a casa così da non sentirne troppo la mancanza. Quindi quando la nostalgia si fa sentire prendo un volo e torno a casa».

Come mai la scelta è ricaduta su Copenhagen? E come si vive qui?

«Mi sono innamorata di Copenaghen fin da subito. Tutto è iniziato quando mio marito Matteo ha ricevuto un’offerta di lavoro interessante che gli ha spalancato le porte della città. Qui si vive in uno stato di pace che mi ha colpita profondamente. Si lavora tanto, ma si ha anche tanto tempo per coltivare i propri hobbies, passare del tempo di qualità con la famiglia e gli affetti. In estate la città diventa straordinaria, piena di vita. Nonostante il carico di lavoro, riusciamo a trovare anche del tempo per uscire a mangiare e mi sono riscoperta anche brava a preparare manicaretti sempre nuovi (anche se devo ammettere che il vero chef della casa è mio marito!). Una volta finito di lavorare, mi dedico a ciò che amo di più: metto i canali italiani – amo le trasmissioni di Barbara d’Urso – e mi dedico alle mie passioni come l’uncinetto e i puzzle. Tutto ciò che è creativo è un modo per esprimere me stessa e ritrovare la serenità».

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Nella capitale danese vieni selezionata per lavorare nel settore dei diritti umani nel team di una grande società di consulenza. Di che cosa ti occupi nello specifico?

«Ero entusiasta quando il recruiter mi contattò su Linkedin per partecipare a un colloquio per un progetto di ricerca nell’ambito dei diritti umani. Inizialmente non credevo che sarebbe stato possibile vincere la selezione tra dieci candidati per un unico posto. Ma la sfida era troppo intrigante per lasciarla passare.

Oggi, dopo aver iniziato a lavorare, so che tutto era vero. Il mio compito è studiare come alcuni programmi web possano influenzare i diritti umani. Ma “Consulenze internazionali” non smette di operare ed ora siamo anche presenti sul territorio danese. Sembra che il progetto abbia funzionato: siamo prime nelle ricerche di Google».

Quali sono le principali differenze, soprattutto in ambito occupazionale, tra la Danimarca e l’Italia?

«È un privilegio partecipare a selezioni in Danimarca, perché si focalizza non solo sulle esperienze pregresse, ma anche sulla persona e sui risultati raggiunti. Mi piace che ci sia una maggiore attenzione al contesto umano e sociale, e che non esista la raccomandazione come la intendiamo in Italia».

Tu sicuramente sei la dimostrazione che non bisogna mai mollare. Hai mai avuto momenti di scoraggiamento e se sì come li hai superati?

«Sono passata per una miriade di vicissitudini e momenti di sconforto per arrivare a sostenere l’esame di Stato per diventare un avvocato. Ma è stato un momento in particolare a destabilizzarmi: una persona che conoscevo mi chiese se davvero pensassi di meritarmi quel traguardo, visto che avevo speso parte della “tradizionale” pratica forense negli Stati Uniti. In quel momento dubitai seriamente di tutti i miei sforzi. Poi, però, ripensai a quanto fosse importante per me diventare un avvocato e a quanta determinazione avessi impiegato per raggiungere questo traguardo, tanto da ripromettermi che, se non fossi riuscita a superare l’esame di Stato in Spagna, avrei mollato. Forse è stato proprio questo pensiero a spronarmi e a darmi la forza di studiare con una dedizione assoluta. E alla fine ci sono riuscita, ho superato l’esame insieme ad altri 10 su 100. È stata un’esperienza davvero surreale».

Quali consigli daresti a chi come te sta pensando di trasferirsi all’estero?

«Credo che a volte, se ci sentiamo nel posto sbagliato e abbiamo voglia di tentare qualcosa di nuovo, ne vale davvero la pena. Uscire dalla propria zona di comfort è un ottimo modo per conoscere meglio se stessi. Per questo, mi sento di incoraggiarvi a rischiare, sapendo che in qualsiasi momento potete tornare indietro e ricominciare».

Dei tanti posti in cui sei vissuta in giro per il mondo ce ne è uno in particolare che ti è rimasto nel cuore? E perché?

«Ci sono luoghi che hanno un posto speciale nel cuore e Madrid è sicuramente uno di questi. Nonostante non vi abbia mai vissuto stabilmente, ogni volta che torno a farle visita sento un’energia meravigliosa a circondarmi. È come se Madrid mi abbracciasse, come se diventasse una parte di me. Quando mi trovo a passeggiare per le sue strade sento un desiderio profondo di volerla vivere nella sua essenza. Anche in questo caso non smetto di sognare».

In che modo la tua vita è cambiata da quando ti sei trasferita all’estero?

«Ho dovuto cambiare le mie abitudini romane ed acquisirne di nuove, come quella di dover avere quale unico mezzo di locomozione la bicicletta, anche per andare a fare la spesa. Ma ho capito che uno stile di vita più tranquillo mi si addice di più. Eppure, sotto sotto, sono ancora la stessa Sarah di sempre. Vivendo lontano da casa non sono cambiata. Ho sempre bisogno di ritornare alle attività che erano parte della mia vita quotidiana, condivise con i miei amici più cari».

Sei felice adesso?

«Beh credo che la felicità sia un qualcosa di momentaneo, io credo molto di più nella serenità come un insieme di cose che funzionano bene in un dato momento storico. Sono soddisfatta – e serena in questa mia confort zone – e non chiedo di più. Aspetto l’effetto wow che la vita vorrà regalarmi».

Pensi di tornare in Italia?

«Giro un po’ il mondo e poi ritorno».

Per contattare Sarah Silvestri ecco i suoi recapiti:

Sito Web: www.consulenzeinternazionali.it.

Linkedin: Sarah Silvestri.

E-mail: usaandworldwide@gmail.com.