Luca Sciortino: almeno una volta nella vita bisogna rischiare (dall’Inghilterra al Giappone senza aerei)
Luca Sciortino, filosofo della scienza (Research Fellow all’università di Leeds) e giornalista di Panorama, ad un certo punto della sua vita, ha deciso di cambiare rotta e di intraprendere un lungo viaggio dall’Inghilterra al Giappone, senza prendere aerei.
Perché? Perché almeno “Una volta nella vita bisogna rischiare, prendere e partire, per non appartenere a niente e nessuno, sapendo da cosa si fugge, ma non avendo molto chiaro quello che si cerca”. L’esperienza più toccante del suo viaggio Luca l’ha vissuta nel campo profughi di Calais, in Francia.
Luca, dall’Inghilterra al Giappone senza aerei. Raccontaci il perché di questo viaggio:
Sono una persona curiosa. Avevo delle domande in mente e queste mi hanno spinto a partire: come cambiano le culture da un estremo dell’Europa all’altro estremo dell’Asia? Quali continuità e discontinuità esistono tra Asia ed Europa?
Ma questa non era la sola ragione. Ho sentito che dovevo andare. Andare sapendo che avrei rischiato, ma che mi sarei messo in discussione, sapendo che mi sarei liberato da pregiudizi, che avrei imparato e disimparato e che avrei capito meglio me stesso. Una volta nella vita bisogna rischiare, prendere e partire, per non appartenere a niente e nessuno, sapendo da cosa si fugge, ma non avendo molto chiaro quello che si cerca.
Quanto durerà questo tuo viaggio?
Il 12 agosto ero nell’isola di Skye, nell’Ovest della Scozia. Penso di arrivare a Tokyo intorno alla prima settimana di novembre.
Quali saranno le principali tappe?
Fino ad ora ho viaggiato nelle Highlands scozzesi, ho visitato il muro di Adriano nel Northumberland, diversi paesi dello Yorkshire, Calais in Francia, e in particolare il suo campo profughi, infine Parigi. Poi, sempre in treno, ho raggiunto Milano, da dove ho preso un bus che, attraversando la Slovenia e parte dell’Ungheria, mi ha portato fino a Budapest.
Dopo tre giorni, da lì ho raggiunto Kiev con un treno molto lento che ha attraversato la Puszta ungherese e l’Ucraina. Ho anche attraversato un pezzo di Russia e tutto il Kazakhstan fino ad Almaty, la sua antica capitale. Qui mi sono fermato qualche giorno per visitare le zone limitrofe, poi ho superato i monti Altai passando a nord, da Novosibirsk. Da lì fino a Irktusk, sempre in Siberia, dove ho visitato il lago Baikal e in particolare la bellissima isola di Oikhon.
La tappa successiva sarà la Mongolia, dove mi fermerò ancora, per poi raggiungere Pechino e, dopo una lunga sosta, Gullin, nell’estremo sud della Cina. Ripreso il fiato, di nuovo in cammino per Shanghai dove dovrò trovare una nave cargo o un ferry che mi porti a Osaka, a due ore di treno da Tokyo. Da lì guarderò l’Oceano, verso le Americhe. Sarà come aver fatto mezzo giro del globo attraverso popoli, storie e culture a me sconosciute.
Qual è stata la fonte di ispirazione della tua avventura?
Viaggio con Il Milione di Marco Polo. Ogni tanto, apro le pagine riguardanti i luoghi in cui mi trovo e da dove lui è passato circa 750 anni fa. E’ una sensazione bellissima scoprire com’era allora quello che sto vedendo adesso. Marco Polo aveva sedici anni quando, nel 1271, partì con il padre Niccolò e lo zio Matteo da Venezia verso l’Oriente.
Penso che questo libro sia stato estremamente importante non tanto per i contenuti,ma per quello che ha rappresentato. Nell’epoca della “scoperta della Terra” è stata la guida preziosa per i viaggiatori verso la Cina e per chiunque immaginasse nuove imprese. Cristoforo Colombo navigò verso Occidente per raggiungere il Giappone e la Cina, cioè i Paesi che aveva conosciuto proprio grazie a Marco Polo. Com’è noto arrivò invece altrove, in quelle che chiamò le Indie Occidentali.
Ecco, queste scoperte inaspettate sono l’essenza stessa di questo tipo di viaggio. Marco Polo ha ispirato anche scrittori come Elias Canetti. In questo caso, grazie a lui, questi scrittori hanno viaggiato con l’immaginazione.
I filosofi invece si sono posti questioni che nascevano dalla scoperta di culture con valori molto diversi da quelli occidentali. Nel suo prologo Marco Polo scrive: “… leggete questo libro dove troverete tutte le grandi meraviglie e differenze tra le genti dell’Armenia, della Persia e della Tartaria e dell’India e di molte altre province….”.
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Il Milione è un libro sulle differenze e per questo è una fonte preziosa per chiunque sia in cammino con mente libera e aperta.
Fino ad oggi, hai vissuto un’esperienza particolare che ti piacerebbe condividere con noi?
Sì, entrare nel campo profughi di Calais è stata un’esperienza molto toccante. Ricordo che tre sudanesi mi invitarono a sedermi con loro accanto al fuoco. Parlavano abbastanza bene in inglese e così abbiamo parlato delle nostre vite, così differenti.
A un certo punto chiesi a uno di loro se avesse contatti con la madre. Con le lacrime agli occhi rispose che non sapeva assolutamente niente di lei da molto tempo: “Spero che sia viva e che stia bene” disse, e si alzò per non piangere davanti a tutti.
Ricordo anche che la sera, al momento di lasciare il campo, a sei chilometri da Calais, non avevo una scheda francese per chiamare il taxi. Chiesi alla polizia francese di fare una chiamata al telefono. La risposta fu: “Siamo la polizia non il tuo albergo”. Mi rivolsi allora a uno dei profughi che passavano vicino e gli offrii dei soldi in cambio. Lui non accettò i soldi e mi concesse la telefonata. Quello che colpisce di quel campo non sono tanto le condizioni di vita: nutrirsi, vestirsi, dormire eccetera.
É l’assenza totale della possibilità di scegliersi un futuro, di dare una direzione alla propria vita. Sei in un limbo, senza passato perché hai perso tutto, e senza futuro perché nessun Paese ti accetta. E nel tuo Paese hai la guerra.
Cosa non deve mancare mai nel tuo bagaglio?
Viaggio in treno, a volte anche per tre giorni consecutivi, in Paesi dove una fascia della popolazione è molto povera. Subire furti è molto facile.
C’è una cosa che devo difendere a tutti i costi: il mio passaporto. Senza quello e senza i visti non posso andare avanti. Altri oggetti personali, come il mio computer portatile, l’iPhone e la macchina fotografica sono cruciali per orientarmi e per raccontare quello che vedo.
In queste zone, questi oggetti elettronici fanno gola, come ho notato da certi movimenti e certi sguardi. Così sono molto attento e molto guardingo.
Difficoltà?
Il difficile è sui treni. Per attraversare tutto il Kazakhstan partendo da Saratov ci vogliono tre giorni e mezzo di treno.
Quindi bisogna fare scorte di cibo e acqua. Nello stesso tempo bisogna viaggiare leggeri se si vuole essere rapidi nei movimenti in situazioni rischiose.
Quindi cerco sempre un compromesso. E così imparo molto su me stesso, sui miei limiti e le mie capacità.
Quali sono le difficoltà che stai affrontando?
Sono completamente solo in posti mai visti e conosciuti. Da qui a Pechino è una lunga traversata nel deserto.
Posso contare solo su me stesso. Non posso fare errori. Ho imparato che arrivando in un posto nuovo le prime ore sono difficili, ma ci metto sempre meno ad ambientarmi e a capire quali sono i posti dove i rischi sono minori.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Scrivere un libro che racconti questa esperienza. E poi continuare a vivere la vita in maniera libera, con un lavoro che si basi sullo scrivere, leggere e viaggiare.
Sia la vita accademica sia il giornalismo fanno al caso mio. Di sicuro, vorrei che i miei soli legami fossero gli affetti di alcune persone, non quelli imposti da un datore di lavoro che mi tiene in prigione 340 giorni su 365 all’anno.
A cura di Nicole Cascione