Lavorare all’estero: più meritocrazia e meno burocrazia.

A cura di Nicole Cascione

Fabio Serafino, torinese, dopo il Master in Management del Made in Italy ha viaggiato parecchio: Helsinki, New York, Londra ed infine Parigi. Tanti anni in giro per il mondo spinto anche dalla rabbia: “ho trovato tutto il mio coraggio nella rabbia.

La rabbia scaturita dal fatto di aver preso una laurea, di avere un’ottima conoscenza della lingua inglese, una bella esperienza internazionale, ma nessuna risposta positiva dall’Italia, nonostante i numerosi curriculum inviati. La rabbia ha fatto sì che mi creassi da solo le opportunità”. Oggi Fabio ha trovato la sua strada: da due anni è manager in un hotel cinque stelle sulla Rive Gauche.

Fabio Serafino

Fabio, hai trascorso dieci anni della tua vita, spostandoti di capitale in capitale: prima Helsinki, poi Londra, dopo New York ed ora Parigi. Racconta ai nostri lettori cosa ti ha spinto a cambiare città così spesso.

Sono una persona estremamente ambiziosa, per cui ogni volta che arrivavo in una nuova città, iniziavo immediatamente a parlare con la gente, a informarmi, a conoscere la cultura e le tradizioni. Vivevo la città 18 ore al giorno.

Arrivi a un momento che ne diventi un profondo conoscitore. A quel punto l’obiettivo è raggiunto ma ti è piaciuto cosi tanto vivere quell’esperienza che vuoi ripeterla. Forse non trovavo il mio posto nel mondo o forse amavo troppo viaggiare, ma d’altra parte come dice un vostro articolo, trovare la propria strada prima dei 30 anni è molto raro, per cui amavo sperimentare.

Già la scelta della mia destinazione Erasmus fu particolare, scelsi Helsinki, in Finlandia perché era una meta non inflazionata e perché non ero sicuro che nella vita avrei mai trovato un pretesto per visitarla. Da lì colsi l’occasione per visitare Oslo, Stoccolma, Tallinn, Riga, Vilnius e la Lapponia.

I primi tre giorni ricordo che ero triste, il quarto creai un’associazione che si chiamava Erasmus Bulls, nella quale coinvolsi prima gli italiani e poi gli altri. Alla prima serata organizzata dalla mia associazione eravamo 400 persone compreso il preside. In una sera avevo conosciuto tutta la Facoltà.

Oltre a cambiare città, hai più volte cambiato lavoro. Di cosa ti sei occupato?

Dopo la laurea a Torino, la mia città natale, ho terminato con successo un Master in Management del Made in Italy all’Università IULM a Milano. Sebbene più volte mi abbiano considerato un buon venditore, le mie prospettive erano legate al mondo delle Relazioni Pubbliche e delle attività di co-marketing. Vinsi un bando per implementare la comunicazione all’Istituto Italiano di Cultura a New York. Le cose andarono molto bene e venni confermato per continuare il mio lavoro di responsabile della comunicazione in una Fondazione a Torino. Purtroppo a New York senza visto non si può stare mentre a Torino, la vita andava troppo a rilento, così andai a Londra dove trovai lavoro in uno showroom di moda. Gestivo una piccola rete vendita e visitavo tutti i migliori negozi d’abbigliamento, un’esperienza impagabile che mi ha permesso di visitare tutta l’Inghilterra.

Tornai a Torino per aiutare i miei genitori: abbiamo una gelateria artigianale da oltre vent’anni e volevo dimostrare a me stesso e a loro che sarei stato in grado anche di produrre gelato.

Fabio Serafino

Poi, sei arrivato a Parigi e sembra che qui tu abbia trovato la tua passione, la tua strada. Raccontaci di cosa ti occupi e in che modo sei riuscito a trovare la tua attuale occupazione.

Durante uno stage in banca a Milano, conobbi un coach al quale chiedevo spesso come trovare la mia strada: la sua risposta era sempre: “Vedrai la strada la troverai da solo, io non ti posso fornire la risposta.”

E cosi fu. A 32 anni, finita la stagione in gelateria sono partito alla volta della Francia per imparare il francese. Durante la prima settimana mi sono innamorato di una ragazza del posto e della qualità di vita parigina. Avevo trovato un lavoro come advisor in lingua inglese part-time, mentre il resto della giornata lo passavo all’Alliance Francaise.

La mia ragazza, che lavorava nell’hospitality, mi propose di prendere in considerazione il settore del turismo. Pensandoci bene, un direttore d’hotel è un buon PR, un buon commerciale e normalmente parla più lingue.

Ho iniziato come addetto alla reception in un hotel quattro stelle vicino a Montmartre e il primo giorno sono tornato a casa euforico.

Oggi sono Duty Manager in un hotel cinque stelle che si chiama Le Cinq Codet. È un hotel di design creato dall’architetto francese Jean Philippe Nuel che gode di una magnifica vista sulla Tour Eiffel e una clientela internazionale composta prevalentemente da americani.

Il lavoro non è mai abitudinario, dato che la priorità è proprio quella di risolvere gli imprevisti.

Generalmente, dopo la riunione mattutina, mi occupo di incontrare i clienti e di gestire le criticità che si generano in presenza d’una clientela così esigente.

Nel pomeriggio, invece, mi concentro sulle procedure per il dipartimento di Guest Relation che ho appena finito di creare e faccio team building per fare evolvere i miei receptionisti. Appena ho del tempo libero, mi piace stare nella hall o al ristorante a conversare con i clienti: è nel contatto umano che possiamo fare la differenza-

In Francia, trovare lavoro è più facile e ci sono molte agenzie di reclutamento specializzate nel turismo. Se parli bene l’inglese e hai una visione positiva, un hotel non ti negherà mai una chance.

Cosa ti sei portato dietro dopo ogni tuo trasferimento?

Mi piace pensarmi come a un vulcano di idee prese in prestito da ogni mio viaggio. E poi le amicizie, che cerco di innaffiare sempre. Ho davvero amici in tutto il mondo che mi permettono di vedere le cose da prospettive sempre diverse.

Quale città sei stato felice di lasciare? E in quale invece saresti anche potuto rimanere?

Sarei potuto rimanere a Milano, fare una carriera in banca. Ci sarei anche rimasto, ma il primo stipendio era troppo basso per viverci e allora mi sono detto: “Tanto vale scoprire il mondo!”. Sono stato felice di lasciare Londra, una bella città che però non mi è entrata nel cuore, non sono mai riuscito a sentirmi parte della loro cultura. Amo invece Parigi, una città green e a misura d’uomo, che puoi girare tutta a piedi.

FABIO SERAFINI PARIGI

Quali sono state le principali differenze da te riscontrate tra le diverse città e l’Italia da un punto di vista lavorativo, ma anche di stile di vita?

Potrei dirti che ho trovato più meritocrazia e soprattutto meno burocrazia. Negli Stati Uniti, come a Londra e Parigi, ci sono più opportunità, quindi si trova lavoro più facilmente e la carriera avanza più velocemente.

Qui a Parigi gestisco 14 persone, tra receptionisti, concierge e facchini, che sono di 7 nazionalità differenti. Rapportarsi con una persona che arriva da un posto caldo e allegro come l’Isola di Guadeloupe è molto diverso che fare altrettanto con una ragazza che proviene dall’Asia. Alla fine non ci sono differenze, ma tante piccole cose che ognuno impara dagli altri. Qui c’è un grande rispetto della puntualità e della gentilezza. La Francia è molto simile all’Italia e i francesi amano molto gli italiani, anche se il luogo comune dice il contrario.

In base alla tua esperienza, cosa consiglieresti a coloro che desiderano cambiare vita ma che non trovano ancora il coraggio di farlo?

Ho appena terminato un corso di formazione di Happiness Coach, per cui il primo consiglio che mi sento di dare è quello di essere felici.

Io ho trovato tutto il mio coraggio nella rabbia. La rabbia scaturita dal fatto di aver preso una laurea, di avere un’ottima conoscenza della lingua inglese, una bella esperienza internazionale, ma nessuna risposta positiva dall’Italia, nonostante i numerosi curriculum inviati.

La rabbia ha fatto sì che mi creassi da solo le opportunità.

Chi vuole potrà scrivermi, sarò ben felice di aiutare qualcuno con i miei suggerimenti. Un buon lavoro ci rende autonomi e, soprattutto, felici!

Quali sono adesso i tuoi sogni nel cassetto?

Il mio sogno l’ho già realizzato, quello di fare un lavoro che mi piace.

Ciò che sto imparando a Parigi potrò metterlo in pratica in un altro hotel e di conseguenza in un’altra città, quindi potrò sentirmi libero di viaggiare.

In fondo la mia tesi finiva cosi, il viaggio non finisce mai, solo i viaggiatori finiscono.

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