Stefania ed Emanuele: liberi di decidere per noi

La coppia, in viaggio da 9 mesi, si trova adesso nel sud-est asiatico. «Non siamo né ricchi né figli di papà. Non campiamo sulle spalle dei contribuenti. Semplicemente abbiamo sempre lavorato, risparmiato, evitato il superfluo, investito su noi stessi, creandoci delle competenze che ci permettono di guadagnare anche in viaggio».

Di Enza Petruzziello

Due viaggiatori senza filtri, ma attenzione a chiamarli travel influencer. Loro sono semplicemente Stefania ed Emanuele. La loro passione? Il viaggio, naturalmente.

Nove mesi fa è iniziata la loro avventura che li ha portati fin nel sud-est asiatico. Quarantuno anni lui, 39 lei, dopo essere stati per due mesi nell’est Europa ed aver trascorso tre mesi in Thailandia, ora si trovano in Malesia.

Raccontano quotidianamente le loro avventure sul loro profilo Instagram. Lo fanno nel modo più sincero e trasparente possibile. Anche a costo di perdere followers. La realtà dimostrabile per loro è imprescindibile.

Stefania, Emanuele vi va di presentarvi ai nostri lettori?

«Siamo Emanuele e Stefania fino a nove mesi fa abitavano in provincia di Bergamo, nel classico paesino fatto principalmente di campi coltivati, industrie e nebbia. Stefania ha lavorato per molto tempo come analista in un laboratorio chimico, ma ha anche avuto esperienze come addetta alla vendita in diversi negozi di abbigliamento. Durante i due anni di pandemia si è dedicata alla sua più grande passione, la scrittura, arrivando a pubblicare due romanzi: “Il sottile filo che ci unisce” e “Cronache di luce”. Ha al suo attivo anche la pubblicazione di un racconto breve, “Sempre più uniti” che riprende il primo romanzo. Nonostante si consideri ancora un’autrice emergente, si può affermare che adesso la scrittura sia diventata ufficialmente il suo lavoro.

Emanuele ha lavorato per anni nel mondo dell’intrattenimento musicale, come tour manager per importanti artisti del panorama hip hop italiano. In concomitanza a questo lavoro ha anche sviluppato e perfezionato l’arte della fotografia diventando a tutti gli effetti un fotografo professionista. Durante il viaggio non perde occasione per immortalare con la sua macchina fotografica volti e paesaggi. Ora, oltre alla fotografia, si dedica alla produzione di grafiche per brand, creazione di loghi e copertine musicali e libri».

Come e quando vi siete conosciuti e innamorati?

«Ci siamo conosciuti ben 20 anni fa. Il nostro è stato un incontro casuale, Ema vendeva surgelati alla mamma di Stefy e da lì lei più che una cotta si è presa una congelata a tutti gli effetti. Abbiamo iniziato subito a frequentarci e da quel giorno non ci siamo più lasciati. Ora siamo sposati da 6 anni».

Ad accomunarvi, oltre all’amore, anche la passione per i viaggi. Entrambi avete deciso nove mesi fa di fare le valigie e mettervi in viaggio, lontano dall’Italia. Cosa è scattato in voi?

«L’idea di ”mollare tutto e partire” ci stuzzicava già da moltissimi anni, ovviamente era solo un’idea che poi si è concretizzata nel gennaio del 2020 quando abbiamo venduto tutte le nostre cose superflue e comprato un biglietto di sola andata per aprile dello stesso anno destinazione Tokyo, il biglietto è stato annullato a due settimane dalla partenza, poi il resto è storia moderna. Molte persone pensano che sia stata “colpa” della pandemia, che la nostra decisione sia arrivata in un momento di malessere mondiale, invece, la pandemia ha solo accentuato il nostro bisogno di cambiamento, la testa era già via dall’Italia, il problema era allontanare anche il fisico.

A gennaio di quest’anno eravamo letteralmente saturi e non potendo partire per la nostra amata Asia abbiamo deciso di cominciare con l’Europa nell’attesa che le restrizioni cadessero o che comunque venissero allentate. In noi è scattato semplicemente un desiderio, un desiderio di interrompere una routine. Probabilmente è una cosa banale, già sentita e ridondante ma la routine è il male del giorno d’oggi, l’incubo delle persone che hanno una mentalità più aperta. Anche la curiosità di viaggiare e scoprire non è da sottovalutare nella decisione che abbiamo preso, siamo sempre stati dei viaggiatori appassionati, non di quelli che cercato il cambiamento spirituale ma semplicemente siamo due persone estremamente curiose».

La prima tappa del vostro viaggio è stata l’Europa dell’est, dove siete rimasti 2 mesi. In quale Paese siete stati e che esperienza è stata?

«Fortunatamente l’Europa la conosciamo abbastanza bene, siamo quindi tornati in posti che bene o male avevamo già visitato, ma questa volta abbiamo voluto viverli con gli occhi del viaggiatore invece che con quelli del turista. Polonia, un salto anche in Germania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria. Le città che abbiamo amato di più sono state Varsavia e Cracovia ma non eravamo ancora nel nostro mondo. Purtroppo, con ovviamente le dovute differenze, anche qui eravamo soggetti a delle dinamiche legate alla vita europea, modi di fare molto simili ai nostri e cercavamo quello shock che ci permettesse di staccare in modo “brutale”».

Dopo l’est Europa, siete volati alla volta del sud est asiatico, destinazione Thailandia.

«Piano piano le restrizioni stavano cadendo, la Thailandia è stato uno dei primi Stati a permettere al turismo occidentale di entrare nel Paese, ovviamente con delle procedure specifiche. Non ce lo siamo fatti ripetere due volte, abbiamo seguito tutto l’iter burocratico e comprato un biglietto di sola andata per Bangkok. Teniamo a precisare che comunque la Thailandia era nei nostri progetti fin da subito perché abbiamo sempre nutrito una forte curiosità verso il suo cibo e le persone che la abitano».

In Thailandia avete trascorso ben 3 mesi. Che cosa vi ha colpito del Paese?

«Lo shock che cercavamo è arrivato praticamente all’istante quando siamo atterrati nella capitale del regno, il caldo diverso, il caos magnifico e la modernità unita alla tradizione. Il primo mese l’abbiamo passato a Bangkok, abbiamo affittato un appartamento e dobbiamo ammettere che, nonostante l’entusiasmo di ritrovarci nel posto in cui volevamo essere, ci ha un po’ destabilizzato. Tante volte abbiamo sentito racconti di persone che si lamentano di Bangkok e questo, secondo noi, perché non l’hanno vissuta a pieno. Due o 3 giorni non sono sufficienti, anzi non sono nulla, è una capitale immensa e brulicante di persone, dove i mercati lasciano spazi a grattacieli, dove spostarsi è complicato se non si conoscono i mezzi (metropolitana a parte). Ma capita l’anima della città per noi è stato impossibile non innamorarcene.

Il viaggio è continuato a nord, dopo aver rinnovato il visto, per farci scoprire un’altra Thailandia, meno caotica, per certi versi più spirituale e legata ai valori. Alla fine il visto l’abbiamo rinnovato due volte e abbiamo trascorso nel regno 105 giorni spostandoci un po’ in base all’istinto, un po’ in base ai bus notturni che riuscivamo a trovare. Il tempo ovviamente non ci è bastato e ci ritorneremo (piccolo spoiler) ma quello che ci ha colpito in questo primo viaggio, non sono state le spiagge paradisiache da cartolina che tutti sponsorizzano e sia chiaro, non le abbiamo saltate, ma la capacità di trasformarsi, da nord a sud ci sono centinaia di sfaccettature diverse. Ciò che ci ha colpito è stato sicuramente il cibo, lo street food in particolare, il cibo è ovunque e anche se non vuoi mangiare sei quasi costretto visto che i mercati sono onnipresenti».

Come è stata l’accoglienza dei thailandesi?

«Non è sempre stato tutto una festa, i thailandesi bisogna saperli capire, sono estremamente accoglienti ma al tempo stesso molto permalosi. Consiglio che diamo a tutti se non siete mai stati in Thailandia: evitate di discutere con un thailandese. Lo stile di vita tranquillo e rilassato, con delle leggi tutte loro, a volte caotico e per certi versi superficiale, ci mettevano tempo per fare qualcosa ma alla fine arrivano sempre alla soluzione del problema».

Ora siete in Malesia, esattamente dove? Per quanto tempo ci rimarrete e che cosa vi sta piacendo del Paese?

«Adesso ci troviamo su un traghetto che ci sta portando sulle isole Langkawi. Siamo in questo Stato da 2 mesi e mezzo e ci fermeremo per un totale di 3 mesi. Abbiamo attraversato la frontiera con il primo treno che riprendeva la tratta Thailandia-Malesia dopo 2 anni di stop a causa della pandemia. Eravamo gli unici occidentali ed è stata quasi una festa al nostro arrivo. Ci hanno intervistati e aiutati in tutto. La nostra prima tappa è stata la città di Georgetown in cui abbiamo capito fin da subito il melting pot di culture che c’è in questo Stato. Malesi, indiani, cinesi i ceppi principali e tante altre sottoculture si intrecciano in quella che sembra una convivenza armoniosa. Questo mix di culture si rispecchia nell’architettura, nella religione, nel cibo e ovviamente nella popolazione stessa. Essendo stata la Malesia terra di conquista per molti popoli occidentali qui le influenze sono davvero molteplici. Noi abbiamo percepito un clima sereno ma non sappiamo se tutti vanno d’amore e d’accordo, riportiamo le nostre sensazioni. Menzione particolare anche qui per il cibo, vario, c’è l’imbarazzo della scelta».

Quando si parla di Malesia vengono in mente le sue famose tigri e la sua natura spettacolare. Ma com’è vivere qui?

«Il nostro viaggio non ha uno scopo turistico, lo viviamo in modo sostenibile per quanto riguarda la nostra economia, quindi possiamo parlare di ciò che facciamo nella nostra quotidianità. Per quello che abbiamo potuto constatare, avendo frequentato posti fuori dalle rinomate rotte turistiche, i malesi si accontentano di poco ma non per questo rinunciano ai piaceri. Alla gente piace uscire a mangiare, ristornati per ogni fascia economica, le famiglie sono numerosissime, la qualità della vita potrebbe sembrare inferiore alla nostra ma, come sempre, bisogna fare i giusti rapporti. C’è questa diceria che tante volte è difficile da sradicare, si tende a pensare al sud-est asiatico come un paese del terzo mondo, niente di più sbagliato, le persone vivono in modo dignitoso, la povertà esiste ma non più che in Europa, la differenza è sempre la percezione».

Passiamo agli aspetti pratici. Un viaggio di nove mesi non deve essere facile da sostenere economicamente. Come riuscirete a mantenervi?

«Di solito ci dicono che siamo ricchi, figli di papà, che abbiamo ricevuto un’eredità, che campiamo sulle spalle dei contribuenti e potremmo andare avanti per molto. La gente pensa che per prendere una decisione del genere ed affrontare un viaggio come il nostro bisogna avere i soldi che escono dalle tasche o essere sciocchi, beh, noi non rientriamo in nessuna di queste categorie, semplicemente abbiamo sempre lavorato, risparmiato, evitato il superfluo, investito su noi stessi, creandoci delle competenze che ci permettono di guadagnare qualcosina anche in viaggio.

Stefania, come già detto prima, ha all’attivo due romanzi e un racconto breve, rigorosamente autoprodotti, che continuano a vendere tramite Amazon. Non sono soldi che ti cambiano la vita, ma ci aiutano ogni mese a sostenerci. Ora è in lavorazione un altro romanzo e poi chissà, magari un libro sul nostro viaggio, ma non il classico racconto sulla ricerca della felicità o la guida su come vivere in viaggio, una cosa nuova ma non è ancora il tempo per parlarne. Detto questo, se volete i libri sono in vendita. Ema vende le sue foto, raccoglie scatti che ritraggono le persone dei posti che stiamo visitando e sta creando un progetto legato al mondo degli NFTs, senza contare che essendo un grafico è sempre disponibile per lavori su commissione quindi scrivete, scrivete, scrivete.

Con quali mezzi vi spostate?

«Prediligiamo gli autobus, non solo perché sono più economici ma perché ti permettono di vedere cosa ti sta intorno ed i cambiamenti lungo la strada e poi sugli autobus c’è sempre gente strana da scoprire. Ovviamente meno spendiamo meglio è».

Per quanto riguarda la vostra sistemazione per la notte, dove alloggiate?

«Di solito cerchiamo stanze economiche ma con un buono standard igienico, anche se non sempre è facile, guesthouse, ostelli, ecc. Abbiamo anche fatto workaway, consiste nel lavorare in cambio di un alloggio e a volte anche di vitto. Oltre ad essere un ottimo metodo per risparmiare ti permette di conoscere gente nuova e anche darti da fare imparando nuove mansioni, come ad esempio gestire un ostello».

Tra un viaggio e l’altro curate anche il profilo Instagram (@radicaltrip.it). Che cosa raccontate nel vostro sito? E come mai avete scelto come nome Radical Trip?

«All’inizio nemmeno volevamo dare tanta importanza al profilo Instagram, con il tempo però abbiamo notato un crescente interesse da parte delle persone che ci ha portato a dedicarci costantemente alla nostra pagina sul social network. Ci siamo dati una sola regola: essere genuini al 100%! Raccontiamo noi stessi e quello che ci capita quotidianamente, ci sarebbe anche il sito radicaltrip.it ma è in fase di sviluppo quindi venite a trovarci e sostenerci su Instagram. Il nome deriva proprio dalla scelta radicale di cambiare affrontando un viaggio, ci è venuto in mente praticamente subito».

Vi definite viaggiatori senza filtri. In che senso?

«Che non raccontiamo cazzate! Siamo schietti e diretti, a volte fin troppo. Abbiamo notato che i vari travel influencers tendono ad ostentare certe tipologie di viaggio o che comunque si soffermano quasi esclusivamente sui lati positivi di un viaggio, noi raccontiamo anche l’altra faccia della medaglia. Se una cosa è strana, particolare o brutta perché non raccontarla? Fa comunque parte della vita e di una esperienza. La nostra genuinità è diventata il nostro tratto distintivo, chi ci segue è al corrente di questi aspetti e resta con noi perché è quello che vuole vedere. Abbiamo perso followers per via della nostra trasparenza, abbiamo avuto problemi, ci hanno segnalato parecchie volte, ma non ce ne facciamo un problema, è quasi come una medaglia al merito.

Non abbiamo l’autorevolezza per dire come affrontare un viaggio del genere o in generale la vita, semplicemente raccontiamo noi stessi e ci fanno infuriare quelli che abusano di un po’ di notorietà per trasformarsi in guru motivazionali o santoni che curano tutto con qualche parolina trita e ritrita. Banalità che fanno sentire bene le persone sul momento ma che poi, quando si arriva ai fatti, non valgono assolutamente nulla. Ogni cosa che viene raccontata con una storia su Instagram o un post deve essere sempre e ripetiamo sempre supportata da fatti e dimostrabile. Noi potremmo raccontare mille cose per sembrare fighi ma poi come possiamo dimostrarlo? Quindi, attenzione, attenzione alla finzione».

Che significato ha per voi il viaggio?

Ti rispondiamo con un post che abbiamo preparato qualche tempo fa: “Piangere davanti ad un piatto di pad thai é meglio che piangere davanti ad un piatto di pasta alla carbonara”. Ebbene, lo ammettiamo, prima di partire pensavamo che questo viaggio avrebbe risolto tutti i nostri problemi, ma proprio tutti-tutti! E indovinate, dopo mesi passati in giro per l’Europa e altri in Asia, a quale conclusione siamo giunti? Che sbagliavamo. E di brutto. Pensare che partire per un viaggio a tempo indeterminato e mollare tutto serva a lasciare i problemi a migliaia di km di distanza é un’illusione vera e propria.

Da quando siamo partiti i problemi si sono triplicati, le lacrime versate sui nostri pad thai ancora di più. “Cry me a river” cantava Justin Timberlake. Noi potremmo incidere una nuova hit ed intitolarla “Cry me a pad thai”. Perché il viaggio non é solo una rivelazione spirituale di quanto sia magnifico il mondo. É soprattutto una rivelazione di quanto siamo incasinati dentro. E, vi assicuriamo, non é una consapevolezza facile da gestire. Eppure con il tempo ci si fa il callo. Si impara a gestire la paura, l’insicurezza, l’instabilità emotiva. Si cresce, insomma, anche se ormai pensavamo di essere abbastanza adulti da non averne più bisogno. Sostanzialmente per noi il viaggio è scoperta e crescita!

Qual è il posto finora più bello che avete visitato e perché?

«La Thailandia da nord a sud perché era proprio come ce l’aspettavamo. Anzi, molto meglio».

Come è cambiata la vostra vita da quando siete in viaggio?

«Da quando siamo in viaggio non è cambiata solo la nostra vita, siamo cambiati soprattutto noi. La nostra quotidianità non è nemmeno lontanamente paragonabile al modo in cui vivevamo in Italia. Adesso ogni giorno è una nuova scoperta, siamo liberi di decidere per noi, ciò che vogliamo fare, dove vogliamo andare. Per quanto riguarda il cambiamento più “personale” possiamo dire che siamo cresciuti, molto di più in questi nove mesi di viaggio che negli ultimi anni della nostra vita. Abbiamo acquisito una consapevolezza diversa rispetto ai nostri limiti, che abbiamo imparato a superare, ma anche rispetto alle nostre potenzialità inespresse. Mettersi in discussione non ci fa più paura, anzi è stata la nostra prova del fuoco».

Quale sarà la vostra prossima destinazione?

«Tendenzialmente non decidiamo con troppo anticipo gli spostamenti futuri ma, dal momento che il visto malese scadrà a metà ottobre, abbiamo dovuto organizzarci per cambiare Paese. Geograficamente e logisticamente abbiamo optato per spostarci in Indonesia, in particolare sull’isola di Sumatra».

Tornerete in Italia?

«L’Italia non ci manca, forse è brutto sentirlo dire, ma non sentiamo il bisogno di ritornare in patria. Alla fine i nostri amici e parenti li possiamo sentire quotidianamente e sinceramente vedendo l’andazzo che sta prendendo la nostra nazione la voglia di tornare sta praticamente scendendo a zero».

Che consigli dareste a chi sta pensando ad un cambiamento di vita?

«Se volete mettervi in discussione non dovete per forza farlo con un viaggio o con un’impresa titanica. Diffidate da chi vi dice “Se vuoi, puoi”, sia chiaro questo è un nostro punto di vista. Per cambiare ci vuole consapevolezza, costanza e perseveranza. Mai e poi mai improvvisarsi qualcosa che non si è, e mai sperare nelle parole salvifiche di altre persone. I consigli ci stanno, ma poi bisogna azionare il proprio cervello».

In che modo i nostri lettori possono contattarvi?

«Come detto prima siamo molto, ma molto, attivi su Instagram (www.instagram.com/radicaltrip.it). Quindi se volete farvi quattro risate, passare del tempo insieme a noi e scoprire dei cibi assurdi (mangiamo tantissimo!) vi aspettiamo. Per noi la condivisione è importante e mantenere una community attiva e rispettosa è uno dei nostri principali scopi. Il sito c’è ma non è ancora attivo. Per qualsiasi richiesta lavorativa, commerciale o semplicemente per fare due chiacchiere potete scriverci un DM su Instagram o inviarci una mail all’indirizzo: info.radicaltrip@gmail.com».