Il manifesto della cura lenta slow medicine

Due sarebbero le “anime” di Slow Medicine: la Società Italiana per la Qualità nell’ Assistenza Sanitaria (SIQUAS), presieduta da Andrea Gardini, che di SM è l’ideatore e l’animatore, e l’Istituto CHANGE di Counselling Sistemico di Torino, che da oltre vent’anni organizza e gestisce corsi di formazione alla comunicazione e al counselling per professionisti sanitari.

Tra i fondatori dell’Istituto CHANGE www.counselling.it, Silvana Quadrino, Manuela Olia e, Giorgio Bert, che sono anche soci fondatori di Slow Medicine.

Per saperne di più abbiamo interpellato il Dottor Bert, studioso di medicina narrativa.

Dottore, ci spiega come è nata l’idea?

Non è tanto un’idea, quanto il risultato di un percorso di conoscenza e riflessione che, per vie diverse ma parallele, SIQUAS e CHANGE hanno tracciato nel corso degli anni. È successo che, caso o destino, i due percorsi si sono incrociati otto mesi fa. Di qui è nato un confronto comune, che ha condotto a Slow Medicine e che è ben sintetizzato nel Manifesto.

Voi contestate ad alcuni colleghi visite superficiali e il ricorso ad un linguaggio specialistico, che non tranquillizza il paziente. E’ così? Ma questo succede perché i camici bianchi sono ben pagati o poco pagati?

Nel colloquio col paziente è frequente che il medico, cui spetta fare domande, tenda a predominare: sono talmente tanti le informazioni, i consigli, le prescrizioni, che il medico si dimentica di lasciare spazio al paziente, ai suo dubbi, alle sue convinzioni, alle sue certezze, alle sue paure.

Avviene in Italia o un po’ dappertutto? E la colpa di chi è?

Avviene ovunque: i principali studi sul fenomeno infatti non sono italiani. Non è un problema di colpa, ma di carenza formativa in tema di comunicazione. I corsi di CHANGE hanno proprio lo scopo di colmare questa lacuna.

Si può invertire la tendenza? Chi dovrebbe muoversi per primo tra lo Stato, le Regioni e i medici?

Certamente, si può cambiare. Sono infatti in continuo aumento le richieste di formazione al counselling in medicina che CHANGE riceve da parte di aziende sanitarie ospedaliere e territoriali, di associazioni professionali e di singoli professionisti della cura, medici e non medici.

Dove si concentrano i medici più “veloci”?

A questa domanda non ho risposte, in quanto non mi risultano studi o ricerche in proposito. A CHANGE riceviamo richieste di formazione da tutta l’Italia: Nord, Centro e Sud più o meno in egual misura.

Cosa fare nell’immediato?

Potenziare la formazione alla comunicazione, tenendo ben presenti gli obiettivi dichiarati e spiegati nel Manifesto di Slow Medicine: una medicina sobria, rispettosa, giusta.

Si riuscirà in questa impresa?

Sono convinto di sì. E prima di quanto non si creda, a giudicare dall’interesse che si sta muovendo intorno a questi temi.

La Slow Medicina esiste già in altri Paesi?

Non con questo nome, ma nei fatti sì: sono infatti elementi della Slow Medicine la medicina narrativa, il counselling, l’arte di comunicare in modo consapevole e non spontaneo, alcune specifiche modalità di valutazione degli interventi, l’individuazione e l’uso di parametri di qualità, la capacità di impiegare al meglio il tempo disponibile, l’abilità di sapersi muovere nei sistemi complessi. Tutti questi elementi e altri sono già oggetto di studio e pratica anche in Italia. Slow Medicine intende essere una rete in cui tutte queste esperienze possano riconoscersi e confrontarsi, indicando altre possibili vie di ricerca.

Quanto costerebbe applicare la Slow Medicine?

Correttamente praticata non è un costo, ma un risparmio, come hanno già potuto constatare molti direttori di aziende sanitarie, che hanno deciso di investire sulla formazione del personale.

Quanto i medici italiani sono pronti per questa rivoluzione?

Anche qui, più di quanto non si pensi: in fondo la maggior parte dei professionisti sanitari sa bene che una buona comunicazione migliora il benessere del professionista oltre a quello del paziente. I medici sono più disponibili ad ampliare e arricchire le proprie competenze comunicative.

Ma davvero si guarisce di più, riducendo la techne e facendo aumentare il dialogo tra medico e paziente?

Non potrei dire se si “guarisce” di più, anche se certe ricerche tenderebbero ad affermarlo. Di certo c’è un dato: si cura meglio, e considerando che viviamo in un universo clinico di malattie croniche (che per definizione non “guariscono”), la relazione di cura è fondamentale.

Quando si ha una relazione di cura?

Nel momento in cui, nel colloquio tra medico e paziente, hanno eguale peso la voce della medicina (la competenza tecnica) e la voce della vita, quella del malato inteso come persona con i suoi legami familiari, la sua storia, i suoi valori, le sue emozioni, le sue certezze, i suoi progetti, i suoi timori. Poiché il colloquio è gestito dal medico, tocca a quest’ultimo evocare, guidare, facilitare l’ingresso del mondo della vita nella relazione terapeutica. Si tratta di una competenza che va appresa, come qualsiasi altra tecnica.

Quali saranno i primi step, ci saranno delle sperimentazioni?

Sperimentazioni ci sono già. I prossimi seminari di Slow Medicine saranno dedicati appunto al confronto tra proposte operative progettate o già avviate in contesti e sedi diverse.

Ma si potrebbe dire che se i medici non sanno ascoltare, forse i pazienti hanno difficoltà ad aprirsi?

L’ascolto professionale, il cosiddetto ascolto attivo, non è solo un comportamento beneducato: è una relazione.

E quindi?

In questo senso è vero che se uno non sa aprirsi all’ascolto, di fatto non ascolta: nel migliore dei casi sente ciò che viene detto, ma senza quel coinvolgimento che una relazione di cura (come qualsiasi altra relazione) esige.

Quali sono le richieste più frequenti dei pazienti, che vengono puntualmente disattese?

Di essere, appunto, ascoltati: direi meglio, di essere visti, considerati importanti. Alcuni dicono, di essere “presi sul serio”. Non è tanto e non solo una questione di tempo cronologico dedicato al colloquio.

Ma?

Occorre che appaiano evidenti il coinvolgimento relazionale, la reciprocità, la condivisione, la legittimazione, l’accoglienza. Spesso, i medici sono coinvolti, eccome, solo che hanno difficoltà a gestire il coinvolgimento. In questi casi la competenza narrativa si rivela uno strumento particolarmente utile.

La rivoluzione riuscirà ad attecchire nell’arco di due tre anni?

Noi ne siamo convinti. Qualche elemento di giudizio potrà emergere nel primo Convegno Nazionale di Slow Medicine, organizzato da CHANGE a Torino il 19 novembre prossimo. In quell’occasione anche il numero autunnale del periodico La Parola e la Cura sarà dedicato allo stesso tema.

A cura di Cinzia Ficco