La storia di Rocco Bova: hotelier di successo all’estero

Di Enza Petruzziello

«La tenacia e l’ambizione hanno plasmato la mia vita e hanno aiutato il mio desiderio insaziabile di imparare e viaggiare per il mondo, vivendo e adattandomi anche alle culture più complesse e stimolanti».

A parlare è Rocco Bova, hotelier di successo da quasi 30 anni all’estero e felicissimo della sua scelta. Il suo percorso educativo inizia a Londra presso il Westminster College, e prosegue a Singapore dove si laurea presso la Cornell University.

Cinquantenne originario di Scilla in Calabria, Rocco Bova vanta una carriera notevole che include posizioni di leadership in ottimi ristoranti e hotel di lusso in Italia, Regno Unito, Medio Oriente, subcontinente indiano, Africa, Asia, Caraibi e Messico. Una personalità appassionata, energica ed entusiasta, con oltre 20 anni di esperienza internazionale in 11 paesi al mondo.

Ha lavorato per le più prestigiose società di lusso come Four Seasons, Hilton, St Regis e Aman Resorts. Direttore generale per 4 anni del Chablé Resort & SPA, pluripremiato resort situato nella giungla dello Yucatan in Messico, oggi Rocco ha deciso di prendersi un periodo di riflessione per essere accanto alla sua famiglia.

La storia di Rocco Bova: hotelier di successo all’estero

Ecco cosa ci ha raccontato.

Rocco vieni da un bellissimo paesino della Calabria, Scilla. Ma fin da subito decidi di andare via dall’Italia e studiare prima a Londra e poi a Singapore. Perché la scelta di vivere all’estero?

«Fin da ragazzino sognavo ad occhi aperti di viaggiare per il mondo e scoprire nuove culture, sapori e persone. Ricordo che all’età di 4-5 anni, un vicino di casa, un marinaio d’alto mare, mi invitò a casa sua e mi portò sul balcone, da dove si ammirava il golfo della Costa Viola. Ad un certo punto passò una nave da crociera, la puntò con il suo dito e mi disse: “Vedi Roccuccio (cosi mi chiamavano da bambino), quando crescerai ti porterò su una nave come quella e ti mostrerò il mondo”. Probabilmente fu questo che segnò la mia vita. Adesso, dopo quasi 30 anni fuori dall’Italia, penso spesso a quel vicino di casa che mi diede la prima spinta a ‘’volare’’».

Ti sei specializzato nell’accoglienza alberghiera. Che cosa ti affascina di questo settore?

«Devo obbligatoriamente raccontare di come sono arrivato fin qui. Il mio primo lavoro come cameriere lo ebbi proprio nel mio paesino, all’età di 13 anni. All’epoca lavorare durante i week end e la stagione estiva era normale per poter racimolare qualche soldino e spenderli a piacere senza doverli chiedere a casa. Così dopo aver avuto il permesso dai miei genitori, mi decisi a chiedere lavoro a uno dei bar sul lungomare di Scilla.

Il proprietario mi disse che poteva impiegarmi solo di giorno (per la mia età) spiegandomi che mi avrebbe pagato 10.000 lire al giorno: per me allora erano tantissimi. Purtroppo questo primo lavoro durò solo 3 giorni, ero molto maldestro e lento. E dopo aver causato piccoli danni (avevo rotto vari bicchieri e bottiglie), Francesco, il proprietario, mi chiamò e mi disse: “Rocco, sei un bravo ragazzo però hai ancora molto da imparare e adesso mi stai costando più di quello che ti pago. Quando imparerai a portare un vassoio ritorna”. Mi pagò le mie 30.000 lire ed io, un po’ a testa bassa, ritornai a casa pensando cosa avrei potuto fare per migliorarmi. Quella fu una sfida che accettai e l’anno successivo, dopo essermi esercitato in casa con vassoi pieni di bicchieri e bottiglie, tentai di nuovo. Questa volta fu un successo. Così dopo un paio d’anni di esperienza ed essermi fatto la reputazione di buon lavoratore, erano i ristoranti a chiamarmi prima della stagione».

Quando è arrivata la svolta?

«Nel 1994 quando, dopo una giornata di lavoro al ristorante, un collega brasiliano mi chiese cosa volessi fare nella mia vita. Gli risposi che il mio sogno era viaggiare per il mondo e lui mi rispose: “Vieni a Londra, io vivo lì da 10 anni, ti posso dare una mano a trovare lavoro, avrai molte opportunità”.

Non me lo feci ripetere due volte. Comprai un biglietto di solo andata e da allora continuo a viaggiare e lavorare dove più mi piace o dove ci sono opportunità. In seguito, mi iscrissi ad una università specializzandomi in Hotel Management e da lì cominciai la mia carriera internazionale».

Rocco Bova

Hai lavorato in alcune delle più belle proprietà di classe mondiale in meravigliose destinazioni in cinque continenti. Qual è stata l’esperienza più bella umanamente e professionalmente?

«Me lo chiedono in molti e, onestamente, è molto difficile rispondere. Comunque l’esperienza che più mi ha trasformato come persona e professionalmente è stata quella in Malesia, all’Hilton KL Sentral. Un hotel con più di 500 camere e il mio primo posto direzionale (ero il Direttore della Ristorazione). Un lavoro molto impegnativo dove, grazie al Direttore Generale e alla formazione professionale offerta dalla compagnia (Hilton), ho acquisito gli strumenti e le necessarie conoscenze per poter gestire il personale, le relazioni umane, il business, ma sopratutto, me stesso. La mia vita cambiò totalmente ed è merito di questa esperienza se adesso mi sento molto più forte mentalmente e umanamente».

Hai da poco terminato il tuo rapporto lavorativo con il Chablé Resort & SPA, pluripremiato resort benessere di lusso situato nella giungla dello Yucatan in Messico di cui eri direttore generale. Adesso di cosa ti occupi?

«Dopo 4 anni di duro lavoro e aver posizionato l’albergo come uno tra i più famosi al mondo, ho deciso di prendere un periodo di riflessione, ma anche un periodo per passare più tempo con la mia famiglia e celebrare i miei 50 anni. Non bisogna mai dimenticare di chi è a casa ad aspettarti tutti i giorni e ad appoggiarti nella tua passione/professione. Mia moglie e i miei due figli mi seguono da 25 anni in giro per il mondo, e a volte bisogna anche celebrare il loro sacrificio e la loro importanza nel successo di una famiglia. Da poco ho cominciato un nuovo progetto, sempre in Messico, per lo sviluppo e costruzione di un polo turistico nel nord del paese, con vari alberghi, parchi naturali, residenze e campo da golf. Un progetto interessante che dovrebbe, una volta terminato, posizionare questa parte del Messico come una delle migliori infrastrutture turistiche del paese».

Com’è vivere in Messico? Penso alla qualità della vita, ai costi, ai servizi ecc.

«Il Messico è uno dei paesi più belli e variegati del mondo. Con paesaggi che spaziano da spiagge tropicali, a foreste, montagne, deserti. Storicamente e culturalmente vanta una delle culture ancestrali più importanti dell’America Latina e del mondo. Ricordiamoci del popolo Maia o di quello Azteca inventori di metodi (dalla medicina, all’astronomia, all’architettura e costruzione) che ancora oggi si utilizzano. Non possiamo non parlare della gastronomia, una tra le più gustose al mondo ed al momento, tra le più trendy. Insomma, un bel paese che non ha nulla da invidiare a nessuno.

Per quanto riguarda la qualità e il costo della vita, per me è tra i migliori, se non il migliore. La gente è molto accogliente ed amichevole. Le infrastrutture ottime (mi riferisco a ospedali, trasporti, educazione etc.). La sicurezza, al contrario di quello che si legge o si sente sui media, è molto buona. Io sono qui con i miei figli e, onestamente, non mi sono mai sentito più sicuro. Poi ovviamente, tutto può succedere, però questo è normale in qualsiasi parte del mondo».

Qual è l’aspetto più impegnativo della gestione di un hotel? E cosa ti piace di più della tua giornata in hotel?

«Premetto che una volta che trovi la tua vocazione, non è più un lavoro. Io, ho avuto la fortuna di trovarla in giovane età, per cui non ha lavorato molto nella mia vita. Mi diverto! Se vuoi fare qualcosa fatta bene, devi sempre metterci molto impegno e passione. La parte più bella di lavorare in un hotel è quando incontri un collaboratore o un cliente e si ha la possibilità di scambiare due chiacchiere, aiutarli nel loro lavoro o, nel caso di clienti, aiutarli a programmare le loro vacanze e attività, poter bere un caffè o un cocktail e raccontare la propria vita a degli sconosciuti che poi diventano amici. O anche passare 10 minuti solo, poter pensare da dove si è venuti, e dove si è arrivati. Spesso, lavoro più di 12-14 ore al giorno, ma quando arrivo a casa e vado a riposare, nel mettere la testa sul cuscino, chiudo sempre gli occhi con un sorriso sulla bocca. Sono molto rari i giorni con situazioni gravi, da non lasciarmi dormire bene».

Rocco Bova

Cosa significa per te “lusso” e cosa rende unico un hotel?

«Chablè, come molti alberghi di lusso, ha una prerogativa molto specifica, lo spazio e il tempo. Le persone che appartengono a ranghi sociali o professionali di un certo livello possiedono già tutto. Per loro il lusso che si limita al prodotto dura molto poco. Essere i gestori del loro tempo è invece il vero lusso. Noi siamo coloro che gestiamo l’esperienza del cliente e, quando sappiamo farlo con maestria e destrezza e il cliente rimane totalmente soddisfatto, abbiamo raggiunto il nostro (ed eventualmente anche il loro) obiettivo. Alcuni esempi sono organizzare una cena a lume di candela nella giungla, oppure giocare a golf a piedi scalzi, o un’escursione all’alba per visitare le piramidi di Uxmal o Chichen Itza in forma completamente privata, andare nel paesino a fianco, conoscere la nonnina e farsi cucinare un piatto tipico della loro umile casa. Tutte queste cose non hanno prezzo.

Poi, parlavo anche di spazio. Ebbene, il lusso è anche questo. Non dover fare file, avere la propria piscina in villa, la dovuta privacy, ma sopratutto poter camminare senza incontrare altre persone. Questo è il lusso degli alberghi ‘’boutique’’ dove il servizio è super-personalizzato».

Gli ultimi mesi sono stati molto difficili per il settore alberghiero, per colpa del Covid-19. Cosa pensi che dovrebbe fare il settore alberghiero per rafforzarsi in questo momento?

«Essendo un paese molto grande e non avendo chiuso le frontiere durante tutto il periodo, il Messico ha sofferto meno di tanti altri paesi. Anche se tanti criticano il fatto di non aver chiuso le frontiere ai turisti, credo sia stata la salvezza per l’industria e l’economia. Qui si dice che se non si muore con il virus, si muore di fame.

La mia raccomandazione è di non perdere il focus e pensare sempre come si è cominciato. Tutti i sacrifici che si sono fatti per arrivare dove si è oggi. Coinvolgere il personale e tirare fuori tutte le possibilità per poter sopravvivere. Mai trascurare lo spirito di iniziativa e l’innovazione che si può trovare nei collaboratori. Spesso sono loro ad avere le migliori idee.

Non perdere mai di vista gli obiettivi e la visione dell’impresa, e sopratutto, non scendere a compromessi. Se si è un hotel a 5 stelle, bisogna rimanerci a tutti i costi e non effettuare tagli. Nel momento in cui si ritornerà alla normalità, il cliente capirà subito dove si sono fatti i tagli. Se ci sono voluti anni o decenni per costruirsi una reputazione, non ci si può permettere di distruggerla in poco tempo, oppure si morirà.

In questi 10 mesi ho lavorato più che mai, per imparare cose nuove, studiare cosa vuole il mercato, creare nuovi contatti, e prepararmi per il prossimo futuro. Qualche tempo fa mio figlio, che presto comincerà l’università per Hotel Management, mi ha chiesto: “Sei sicuro che il turismo ritornerà come prima?”. La mia risposta è stata: “Certamente, mai come adesso mi sento sicuro della scelta e della passione che ho”. L’ospitalità non morirà mai, ma noi dobbiamo essere sempre pronti ed adattarci al cambiamento».

Sei stato e hai lavorato in molti Paesi del mondo. Quali sono le principali differenze con l’Italia?

«Diciamo che generalmente le basi morali ed i valori dei differenti popoli non cambiano mai. Come straniero, sono sempre io a dovermi adattare e rispettare usi, culture e costumi degli altri. Questo arricchisce molto e ti prepara meglio ad essere accolti a braccia aperte (dopo essersi guadagnato il rispetto ovviamente).

Credo che l’Italia sia rimasta con la mentalità del ‘’noi siamo migliori’’. Solo perché il Made in Italy è molto popolare, non significa che sia il migliore. Certamente abbiamo una cultura molto ricca, ma stiamo vivendo una globalizzazione che sta cannibalizzando tanto della nostra storia e cultura. Vedi tutte le imprese storiche italiane che adesso appartengono a multinazionali. Vedi strutture immobiliari e terreni che poco a poco vengono acquistati da privati o gruppi immobiliari stranieri. E potrei continuare. Dobbiamo stare attenti, se non vogliamo perdere completamente le nostre radici. Purtroppo l’imprenditore è sempre stato visto come una minaccia. Non capisco perche gli imprenditori stranieri debbano essere favoriti. Ma potremmo entrare in una questione politica, meglio se mi fermo qui».

Qual è il tuo consiglio per gli albergatori che vogliono entrare nel settore del lusso?

«Primo, avere una solida base finanziaria, sempre con una visione lungimirante e pronti ad affrontare crisi come questa. Generalmente molti credono nel ‘’quick returns’’ del settore alberghiero, e pochi conoscono i sacrifici che bisogna fare durante il percorso. Poi, a meno che non si è esperti del mestiere, consiglio di affidarsi a professionisti. Sembra molto più costoso all’inizio, ma l’ignoranza costa molto di più. Può apparire complicato e difficile, ma se si è pronti, le ricompense a lungo termine sono tante».

Come è cambiata la tua vita da quando sei andato via dall’Italia?

«Moltissimo. Vivo il mio sogno, talvolta non mi sembra neanche sia vero e sono contentissimo. Mi rattrista vedere che, purtroppo, il mio paese avanza molto lentamente (sicuramente con delle eccezioni), e quindi anche se ci ritorno con piacere, dopo un paio di settimane, preferisco fare il ‘’turista’’. Spesso i miei amici e conoscenti mi chiedono se un giorno ritornerò. Per il momento non è tra i miei piani».

Quali sono quindi i tuoi piani per il futuro?

«Adesso sto aiutando mio figlio a cominciare la sua carriera nel mondo dell’ospitalità. Sono molto fiero di lui, e sono certo che farà successo se si innamorerà di questa professione come è successo a me. Poi seguirò mia figlia e vedrò se posso convincere anche lei, quando deciderà cosa fare tra 2 anni.

Al tempo stesso, da quando è cominciata la pandemia, ho tirato fuori un sogno nel cassetto che avevo da anni. Sto lavorando su un business plan futuro. Per il momento Top Secret. Mi restano almeno 10 anni lavorativi. Appena avrò un momento vorrei tornare a scuola, imparare nuove cose, magari frequentare un master breve ad Harvard o al MIT. Ci sono dei corsi molto interessanti su Real Estate, Leadership e Change Management, che potranno aiutarmi in questa nuova fase della mia carriera. Non bisogna mai smettere di studiare e imparare».

Come possono contattarti i nostri lettori?

«Sono molto attivo su Linkedin (linkedin.com/in/roccobova) oppure su Facebook (@rocco.bova.92) e Instagram (@rocco.bova). Il mio uso dei social si restringe completamente al professionale e condivido opinioni personali, di altri professionisti e opportunità lavorative. Sono anche membro di Hoteliers Guild (un gruppo di professionisti appassionati della sostenibilità applicata all’ospitalità), GSN Planet (altro gruppo professionale che aiuta le imprese specializzate nel settore del benessere a trasformarsi in modo più sostenibile) ed infine sono Ambasciatore del World Wellness Weekend (un movimento che promuove il benessere a livello mondiale)».