Quando abbiamo imparato a parlare?

Quando abbiamo imparato a parlare? A questa domanda ognuno di voi sta rispondendo in maniera diversa. Chi prima e chi dopo, tutti state dando una risposta che rientra in arco temporale che va dal primo al terzo anno di vita.

Sbagliato!

Le parole sono importanti e l’uso che ne facciamo condiziona il nostro modo di comunicare con gli altri e soprattutto con noi stessi, impatta sulle nostre scelte e le nostre azioni, sulla percezione che abbiamo della realtà. La domanda del titolo è “quando avete imparato a parlare?”, non quando avete iniziato…Sono convinto che ci sono persone che muoiono vecchie senza aver mai imparato veramente a parlare. Non sto alludendo al fatto di conoscere o meno la grammatica, di usare correttamente il congiuntivo, o di correggere i difetti di pronuncia. E nemmeno dell’uso del dialetto, lecito e tante volte molto più incisivo e pulito dell’italiano. Mi riferisco, invece, all’incapacità di scegliere ed usare le parole in modo corretto, di riuscire ad esprimere quello che realmente si vorrebbe. La mia crociata parte da una considerazione solo apparentemente lessicale, ma con risvolti psicologici importanti. Voglio distruggere un mito: l’erba voglio e l’alone di negatività che circonda questa espressione. Ci hanno insegnato da piccoli che il termine voglio non è educato, è poco cortese, esprime egocentrismo, se non egoismo. Nemmeno il re era degno, secondo i nostri genitori, di pronunciare la parola voglio.

Sbagliato!

Purtroppo abbiamo smesso di usare in modo corretto il verbo voglio e l’abbiamo sostituito con un verbo terribile, claustrofobico, di vincolo, di obbligo: il verbo in questione è devo. Usiamo il “devo” per qualsiasi cosa, anche riguardo azioni che scegliamo di fare o che vogliamo fare. Quante volte diciamo “devo andare in palestra”, “devo vedere un amico”, ”devo andare alla partita”, “devo smettere di fumare”, etc. Ma sono certo che siamo riusciti a fare anche peggio coniugando “devo” al condizionale: “dovrei lavorare di meno”, “dovrei cambiare lavoro”, “dovrei cambiare vita”, “dovrei passare più tempo con mia moglie e con i miei figli”, “dovrei prendermi una pausa”, “dovrei leggere di più”, e altro ancora a comporre la più orribile sagra delle buone intenzioni.

Le parole sono importanti parlare

Ma chi ci obbliga a fare ciò? Chi ci impone il DOVERE di fare tutte queste cose? E quando non riusciamo a mettere in pratica questi “dovrei” come ci sentiamo?

Il nostro portale si chiama “voglio vivere così”…non “Dovrei vivere così”. E ci sarà un motivo!

Dobbiamo imparare a separare i “VOGLIO” dai “DOVREI”. Il fatto di abituarci a pronunciare “voglio” ci dà una carica diversa verso l’azione. E’ una spinta verso gli obiettivi, verso il cambiamento e la realizzazione di ciò che progettiamo.

Se chiedeste ad un amico di raggiungervi per una serata al bar e lui vi rispondesse “No, stasera voglio andare alla partita”, sono sicuro che pochi di noi insisterebbero data la perentorietà del desiderio dell’amico di trascorrere la serata allo stadio. Lo stesso funziona su noi stessi. Se ci abituiamo ad usare la parola “voglio” per le cose che realmente vogliamo fare, saremo ispirati ad agire, a non trovare scuse o alibi per la non azione. Dobbiamo trasformare tutti i “devo fare qualcosa” in “voglio fare qualcosa” ed ascoltare come suonano. Ad esempio se trasformiamo “dovrei correre un’ora tutte le sere” in “voglio correre un’ora tutte le sere”, e poi ci accorgiamo che suona male, che non lo faremo mai, che non ci passa nemmeno per la mente di uscire a correre…allora, bene, è chiaro che quello non è un voglio, ma un dovrei che è indotto da qualcosa d’altro. Cerchiamo quel qualcosa! Sì, perché quando un “voglio” sfocia in un’azione, significa che c’è una motivazione che alimenta il nostro voglio. La motivazione è, come dice la parola, il motivo per cui si compie un’azione. Dobbiamo dunque scoprire qual è la motivazione che può scatenare un voglio che a sua volta possa generare un’azione. Nell’esempio precedente, qual è la motivazione per uscire a correre tutte le sere? Supponiamo sia quella di stare meglio, essere più magri ed attraenti. Bene, questo è il “voglio” reale! Io voglio stare bene, essere magro ed attraente. Una volta definito il voglio (e la motivazione), possiamo scegliere l’azione più adatta a soddisfare il nostro voglio. Se siamo certi che non usciremo mai per correre, possiamo trovare altri 100 modi per soddisfare la nostra motivazione di stare meglio, essere magri ed attraenti. Proviamo, dunque altri modi. Consultiamo un dietologo, facciamo un check-up, assumiamo integratori, vitamine, facciamo un altro tipo di sport, tennis, nuoto, passeggiate veloci, vediamo un estetista, troviamo il trucco più adatto al nostro viso, o una combinazione di tutte queste idee. Una volta definiti la motivazione e il voglio, trovare azioni da porre in essere, che non ci richiedano sacrificio, è un attimo. Se invece continuiamo ad alimentarci con “devo” e “dovrei” che ci sono indotti magari dal fatto che così fan tutti e dal modellamento sociale, dalle aspettative e condizionamenti che gli altri proiettano su di noi…beh sarà difficile riuscire a vivere come vogliamo. Riusciremo solo a vivere come dobbiamo. A noi la scelta.

“Alla mia età dovrei essere sposato e sono così triste”. Non immaginate quante persone (uomini e donne) ho sentito pronunciare queste parole. Poi, lavorando insieme, sono giunti alla consapevolezza che essere sposati non è quello che vogliono realmente, ma solo qualcosa che sentono come obbligo indotto dalla consuetudine sociale. Hanno altre necessità, magari bisogni di spazi propri, di liberta, d’indipendenza, o altri aspetti incompatibili con la vita di coppia. Pensate che assurdità: siamo tristi perché ci manca qualcosa di cui NON abbiamo bisogno! Avete in mente un modo più crudele per volersi rovinare la vita?

Passiamo al tempo condizionale. Il condizionale è un nemico dell’azione. Uno dei più agguerriti. Dietro al condizionale si celano tutte le migliori intenzioni del mondo, la buona volontà, le idee eccellenti. Che spesso restano tali. Il condizionale (così come il futuro) lascia aperto uno spiraglio temporale tra la decisione e l’azione che spesso si dilata all’infinito. Abituarsi a pensare e parlare al condizionale, o al futuro, ci porta a credere che abbiamo a disposizione un tempo infinito: ci convince che ciò che non facciamo subito, oggi stesso, proprio ora, lo possiamo tranquillamente fare in uno dei giorni che verranno. Ma reiterando il ragionamento, ci sono cose che allora non faremo mai…e guarda caso sono sempre quelle che richiedono più preparazione, tempo, impegno, dedizione e volontà. Quelle che ci richiedono di tirarci su le maniche e metterci in prima linea di persona. Sono le azioni più importanti, quelle che ci cambiano la vita. Quelle che ci trasformano nella persona che vogliamo essere. Sono le azioni che vanno pensate, dichiarate ed agite al presente.

L’ultima cosa che voglio trasmettervi in questa particolare lezione di grammatica riguarda gli aggettivi. Ci sono aggettivi che sono belli, vivi, colorati, profumati, illuminanti, sfidanti, soddisfacenti, stimolanti, interessanti, creativi, sorridenti, luminosi. Altri sono cupi, terribili, inquieti, chiusi, tetri, disperati, offuscati, ingarbugliati, impossibili, letali, estremi, tormentati, malinconici.

Noi siamo portati a vedere e descrivere la realtà attraverso gli aggettivi che sono stabiliti dai nostri filtri mentali. La stessa realtà è descritta in modo diverso da persone diverse: può dipendere dall’umore delle persone, dalla loro personalità, dal fatto di essere ottimisti o pessimisti, dalla predisposizione mentale verso il cambiamento, il rischio e da infiniti altri fattori.

Non esiste una realtà oggettiva. Ogni realtà è vissuta con i propri filtri e attraverso gli stessi è descritta da aggettivi. Preferiamo essere circondati da persone che si esprimono con aggettivi positivi o negativi? Le persone più felici che conosciamo come si esprimono? Sanno ciò che vogliono? Sono portati all’azione? Vedono la vita come un’eterna condanna o sono allegri e vivaci?

Dunque, è più facile che alle scuole elementari: di questa particolare grammatica per vivere meglio dobbiamo ricordare e mettere in pratica solo tre concetti. “Voglio” al posto di “devo”, far sparire i tempi condizionali e futuro quando si tratta di agire e scegliere gli aggettivi in modo adeguato sapendo che è questa scelta che condiziona la nostra percezione della realtà.

Fabio Parietti