Paolo Massenzi: la mia “missione” con i detenuti

 

Gira per l’Italia a bordo del suo Mo-bile bianco e marrone,  per “recuperare” esseri umani. Si tratta di Paolo Massenzi, 45 anni, romano, che ha deciso di cambiare vita e darsi ai detenuti.

Aveva un lavoro e un guadagno sicuri. Solo che un giorno, dopo aver letto la vicenda di Stefano Cucchi, si è detto: “E se toccasse ad uno dei mie due figli? Potrebbe capitare. Anche perché in questo Paese è sempre più facile sbagliare…”.

Troppe volte aveva sentito parlare del carcere, ma sempre in modo negativo.

Cosa ha fatto?

“Semplice. Ho deciso – replica- di mettere a disposizione degli ultimi della terra, le mie capacità di problem solving.

Le stesse che avevo offerto alle aziende private ed ai professionisti con cui avevo lavorato sino a quel momento.

E ho cominciato a cercare i sistemi per consentire il reinserimento di alcuni detenuti. E recuperare la loro triste esistenza. Certo, non ho più le sicurezze di una volta. Con quello che riesco a guadagnare dalla mia nuova occupazione, per ora sopravvivo. Ma mi sento più utile ed attendo l’aiuto di istituzioni e fondazioni.

Non mi interessa sapere come hanno vissuto prima le persone che aiuto. Non sono curioso di conoscere i reati che hanno commesso. So solo che certe storie, certi sentimenti, non possono rimanere muti dietro le sbarre.

Penso a Pietro, ergastolano di Rebibbia, che oggi gestisce una cooperativa di 87 persone, tra svantaggiati e detenuti. Enzo, che lavorava nella gelateria fuori del Carcere di Bollate, nel Milanese e oggi fa il magazziniere. Domenica, con una figlia  a carico, che oggi è capocuoca in una casa famiglia.  Le persone che già pagano per le proprie colpe, non devono pagare 2, 3 o 4 volte, non devono marcire in quelle discariche sociali, che sono le carceri. Luoghi infantilizzanti, anaffettivi, dove si rischia di perdere la propria dignità e dove chi è entrato per un semplice furto, rischia di uscire pronto per una rapina a mano armata”.

E quindi?

“Dall’anno scorso – risponde Paolo- mi sto impegnando ad individuare le strade utili a far lavorare la maggior parte dei detenuti.  Ormai lo dicono quasi tutti i direttori degli istituti di pena: in presenza del lavoro, la recidiva passa dal 70 per cento al 19. L’hanno sperimentato soprattutto nel carcere di Bollate, nel Milanese. Un carcere modello, dove molti detenuti possono lavorare.  E chi la mattina esce per lavorare, la sera rientra più soddisfatto. Più carico. Con maggiore fiducia in stesso. Riesce a ritrovare così l’energia per cambiare vita. Perché sente di essere tornato a far parte del tessuto sociale”.

É vero, il carcere, per dirla con Eligio Resta, filosofo del diritto, è il luogo dove riposa «l’idea dell’economia politica dei corpi e dove non viene dispiegato l’esercizio di un controllo sul delinquente, ma quello di un biopotere sul corpo».

Ed è vero anche che così come è strutturato oggi, con i problemi di sovraffollamento, il carcere  non è utile. Ma riesce a vedere soluzioni alternative e soprattutto, pensa sia da negare tout court, senza fare distinzioni neanche per reati di mafia,  terrorismo, stupri? “Guardi -spiega Paolo- a me non interessa far polemica, e in particolare, non voglio criticare l’istituzione carcere. Vado alla ricerca di tutto quello che di buono dagli Istituti di pena arriva e lo rimetto in circolo. Tutto qui”.

Dunque, un bel salto per Paolo, che da imprenditore e consulente nel mondo profits, ha deciso  di promuovere l’economia carceraria, con il lavoro dei detenuti. Di sicuro, lo sta aiutando l’esperienza di volontario, che ha svolto sino agli anni novanta, con gli anziani e i ragazzi di borgata “.

A febbraio scorso sono entrato in carcere. Ho cominciato con Rebibbia -chiarisce- dove operano una falegnameria e un laboratorio di infissi in alluminio. Poi ho visitato Prato. Mi sono mosso per prendere contatti con le cooperative che producono producono panettoni e biscotti nel carcere di Terni o i vestiti di moda della Giudecca a Venezia”.

Ma di preciso come aiuta i carcerati? A settembre 2010 é nato Recuperiamoci, un network solidale all’interno del quale circolano tutte le esperienze lavorative esistenti dentro il “pianeta carcere”.

Senza scopo di lucro, il progetto si fa amplificatore di buone pratiche e sostiene l’economia carceraria.  Ai detenuti viene offerta la possibilità di lavorare.

Vendere prodotti realizzati dietro le sbarre. “In questo modo- afferma Paolo- opponiamo il circolo virtuoso carcere-lavoro-recupero al circolo vizioso carcere–recidiva-carcere, e conviene a tutti.  Se ai detenuti viene offerta la possibilità di sentirsi utili, lavorare, quindi recuperarsi, si riduce la probabilità che commettano nuovi reati, una volta fuori.

Viene cosi garantita una maggiore sicurezza sociale. Puntiamo per questo a mettere in rete tutte le buone attività carcerarie, favorire lo scambio di opinioni ed esperienze diverse, promuovere il lavoro, i prodotti e le professionalità acquisite dai detenuti, dentro e fuori il carcere, per ridare fiducia e stima ai cosiddetti ‘ristretti’”.

Dall’anno scorso, tante le iniziative organizzate. Paolo e il suo gruppo hanno, infatti, incontrato il garante dei diritti dei detenuti del Lazio, visitato le lavorazioni all’interno della Casa di Reclusione di Rebibbia, incontrato il direttore e il responsabile dell’area pedagogica del carcere di Prato, alcune cooperative romane, lombarde e toscane, partecipando a fiere solidali, quali “Fà la cosa giusta!” (Milano, marzo 2010)

Hanno ospitato a “Terra Futura 2010” (fiera delle buone pratiche e stili di vita – Firenze maggio 2010) venti cooperative di produzioni nel primo “emporio carcerario” di recuperiamoci. Da luglio scorso, intanto, ha preso avvio l’avventura del “Jail Tour 2010”, un viaggio attraverso la Penisola alla scoperta di quanto di buono viene prodotto nell’immenso universo carcerario. Paolo ha infatti comprato un camper, meglio conosciuto come “Jail Mobile”, bianco e marrone, costruito negli anni Ottanta,  dunque, “recuperato”, lungo sette metri, dove possono stare sette persone, e ha cominciato a percorrere tutta l’Italia, promuovendo i prodotti realizzati dai suoi amici.  Biscotti, gelati, borse, orecchini e collane, miele, vino, zafferano.

E ha creato empori e vetrine ambulanti. Le etichette? Davvero ironiche e inverosimili. Una per tutte. Vale la Pena, il vino fatto nel carcere di Alba. Dolci evasioni biscotti di mandorla -Siracusa, Gatti Galeotti abbigliamento -Bollate, made in Jail maglie da Rebibbia, Bacia il rospo pelleteria- Roma, Lazzerelle caffè di Pozzuoli.

E per il futuro?

Paolo e i suoi amici continueranno a creare nuove vetrine e a stimolare le istituzioni. “Non smetteremo- afferma Paolo- di attivarci, perché i duemila (sui sessantanovemila detenuti attuali) che lavorano, aumentino.  Tante  sono le potenzialità di questi detenuti. Si ricordi che alcune carcerate stanno lavorando oggi per l’Alta moda italiana. Ma dobbiamo operare anche perché certi pregiudizi scompaiano. Ricordo con un po’ di tristezza una persona che stava per soffocare quando scoprì che i biscotti che stava gustando erano stati fatti nell’Istituto di pena di Verbania”.

Per chiudere?

“Se carcere deve essere- ancora Paolo- che sia umano! E non solo per i detenuti. Anche la polizia penitenziaria non se la passa bene. Sui circa 70 mila detenuti, una piccola percentuale è costituita da irrecuperabili, un’altra sempre bassa da persone recuperabili con determinati percorsi terapeutici.

La maggior parte è rappresentata da poveri diavoli, per lo più immigrati a cui é scaduto il permesso di soggiorno, o tossicodipendenti. Persone che sono finite in trappola.  I colletti bianchi non ci sono.

E allora?

Cerchiamo di adoperarci, perché si cominci a parlare di carcere e per rendere questo soggiorno per niente gradevole, utile a tutti. Facciamo in modo che le produzioni dei carcerati, che sono di alta qualità, non siano più esili. Servono sponsor, occorre per loro un’organizzazione di natura imprenditoriale che sto tentando di mettere su  con le cooperative. E poi pensiamo ad un dato: negli istituti di pena del Nord Europa, in Germania, per esempio, tutti i detenuti lavorano.

Prendono un euro e poco più l’ora. Fanno anche lavori umili. Come imbustare chiodi. Ma tutti, ripeto, tutti, hanno un’occupazione”.

Intanto il 19 dicembre “recuperiamoci” sarà presente a Roma al parco Aniene. Per le altre date vedere il sito. www.recuperiamoci.org

E per il 29 gennaio si sta organizzando una cena “a base di carcere” presso Eataly a Torino, con materie prime provenienti dal carcere (vino, ortaggi, dolci).

A cura di Cinzia Ficco