Lucia: la mia irrequietezza mi porta a essere sempre in viaggio
A cura di Maricla Pannocchia
Lucia è una nomade digitale. Sì, una di quelle persone che lavora da remoto e può scegliere di farlo da qualsiasi parte del mondo. In molti pensano che questo stile di vita equivalga al vivere “sempre in vacanza” ma esso comporta dedizione, autodisciplina e un’ottima capacità di adattamento.
Lucia adesso si trova in Messico ma non ha ancora trovato la sua “casa”. E, spinta dalla sua anima nomade e da una voglia immensa di scoperta e crescita, continua a viaggiare fino al giorno in cui, magari, non la troverà…
Ciao Lucia, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…
Ciao a tutti, mi chiamo Lucia, ho 48 anni e tendo a dire semplicemente che sono italiana perché specificare da dove vengo è un po’ complicato. Sono nata in Veneto ma la mia famiglia si è spostata in Abruzzo quando avevo 2 anni. Io, tuttavia, non ho mai sentito di appartenere a quella regione. Del resto, mio padre è della Puglia mentre mia madre è del Veneto. Ho frequentato l’università a Padova e poi ho vissuto 5 anni a Firenze e 4 a Roma quindi, quando mi chiedono di dove sono, rispondo semplicemente “Roma”. Lo faccio soprattutto all’estero, anche perché Roma è famosa mentre spiegare dove si trova l’Abruzzo è più difficile.
Ho studiato ingegneria informatica e lavoro come sviluppatrice di software. Ho sempre fatto questo mestiere, anche se prima lavoravo in ufficio mentre, da 7 anni, lavoro da remoto. Il primo passo è stato il trasferimento in Argentina, nel 2010, e dopo 4 anni sono diventata nomade digitale, lavorando da remoto e viaggiando regolarmente. Ho sempre lavorato per grandi ditte, prima in Italia e poi in Argentina, e da 5 anni lavoro da remoto per un’azienda spagnola.
Ti definisci una nomade, puoi spiegare meglio questo concetto? Cosa significa “nomadismo”, per te?
Al momento non ho una casa e, in realtà, sono 7 anni che non ho un posto che considero “casa”. Quando torno in Italia alloggio a casa dei miei genitori. Non ho oggetti, tutto ciò che possiedo sono dei vestiti e un paio di cassette che contengono i miei averi e che sono rimaste a casa dei miei genitori. La prima cosa che mi viene in mente, parlando di nomadi, è il libro di Bruce Chatwin, “Anatomia dell’irrequietezza”, che mi è stato regalato da un amico dell’università. Per me il nomadismo, infatti, è collegato all’irrequietezza perché è quello che ci spinge a spostarci. Un altro esempio che mi viene in mente è il film “Chocolat” in cui c’è una ragazza che, sotto richiesta della madre, deve spostarsi ogni tot di tempo. Nel mio caso, non c’è nessuno che mi ordina di spostarmi però sento di doverlo fare. Per me il nomadismo significa andare in un posto, godermelo, passarci molto tempo e starci bene ma sapere che non ci rimarrò più di 3 mesi. Arriva sempre un momento in cui mi dico, “Bello, mi è piaciuto, ma cos’altro c’è? Dove potrei andare adesso?”. Questa è una mia necessità personale, anche se a volte mi è capitato di rimanere in un posto per più di 3 mesi, e non è che mi sia trovata male o sia successo qualcosa di brutto, però penso che avrei fatto meglio ad ascoltare la mia voce interiore e ad andarmene quando sentivo di doverlo fare.
La mia, quindi, non è una fuga, ma tutto si basa sul fatto che a un certo punto capisco che il tempo in un determinato luogo si è esaurito, quel ciclo è terminato ed è arrivato il momento di andare avanti. Tutti mi chiedono, “Ma non hai trovato un posto dove vorresti vivere?” e rispondo sempre che non l’ho mai davvero cercato. Non ho la necessità di stabilirmi e quindi sono irrequieta perché voglio stare nei posti in modo temporaneo. Questo fa sì che io viva in una sorta di limbo perché tale situazione mi fa vivere in un modo particolare, diverso da quello del turista che magari si ferma qualche giorno o al massimo una settimana ma anche da quello di chi decide di stabilirsi in un certo posto per sempre o comunque per anni.
Cosa significa essere una nomade digitale?
In giro c’è molta confusione al riguardo e ci sono messaggi che non sempre corrispondono alla realtà. Per quanto mi riguarda, il nomade digitale è colui o colei che lavora da remoto e quindi la parola “nomade”, in questo caso, a volte mi sembra quasi di troppo. Il nomadismo, per me, è potenziale e concettuale e la parola che reputo giusta è: location indipendente. Il nomade digitale lavora dal computer, senza dover andare in ufficio e ne è quindi svincolato. In questo modo, egli può scegliere di viaggiare e di risiedere dove desidera per l’arco di tempo che vuole. In questi anni in cui ho viaggiato ho conosciuto anche altri nomadi digitali e questa è l’unica cosa che mi accomuna a loro perché, poi, ci sono tanti modi diversi di essere nomadi digitali. Alcuni viaggiano sempre, altri molto, altri praticamente mai e poi ci sono quelli che viaggiano da soli, chi lo fa in famiglia o in coppia… insomma, non c’è un unico modo per essere nomade digitale. Tuttavia, la cosa che ci accomuna è proprio quella di lavorare online. Per il resto, come accennavo, ci possono essere tante sfumature del nomadismo digitale. C’è chi si ferma nelle città un anno, chi ama i posti più remoti, sperduti nella natura, e usa Internet solo per lavorare, c’è chi si muove ogni 2 settimane e chi lo fa una volta l’anno per 3 mesi. È un mondo variegato e, dopo la pandemia, lo sta diventando sempre di più. In molti danno l’immagine del nomade digitale che lavora da una spiaggia caraibica e tante persone pensano che quella vita sia utopica, impossibile. Beh, a me è capitata un’esperienza simile quando mi trovavo in Thailandia e ho lavorato da un co-working ubicato sulla spiaggia. C’era una tettoia, c’erano delle sale con l’aria condizionata da usare per fare videochiamate e la spiaggia era proprio lì davanti, tanto che potevi tuffarti in acqua e tornare al lavoro con i capelli ancora bagnati. C’erano diversi tipi di postazione con vari modelli di sedie, sdraio eccetera. Ho lavorato 2 settimane sulla spiaggia anche se, al contrario di quanto fanno vedere in molti, non ero sulla sabbia perché è rischioso per il computer, stai scomoda, non vedi niente per via del riflesso sullo schermo… lavoravo al tavolo e mi portavano da bere il cocco. C’erano anche altre persone che lavoravano lì quindi sì, è possibile lavorare a due passi dalla spiaggia. Il messaggio che viene spesso mandato, quello appunto del nomade digitale che lavora da una meravigliosa spiaggia caraibica, non presenta dei problemi per la location in sé ma perché quelle immagini spesso rimandano al concetto di una persona che fa la bella vita e se ne sta in panciolle. Credo che la cosa importante da far capire è che, anche se la location è meravigliosa, il nomade digitale lavora.
Cosa ti ha spinto a lasciare l’Italia?
Ho lasciato l’Italia per trasferirmi in Argentina. È stata una cosa poco programmata e sono stata spinta dall’irrequietezza. Non stavo più bene in Italia. L’anno prima del trasferimento avevo fatto il passaporto per la prima volta e sono andata a Dubai, in Francia, a Budapest… avevo bisogno di lasciarmi alle spalle la classica vita d’ufficio e l’Italia mi stava stretta in ogni senso. Tuttavia, non sapevo cosa volevo o cosa potessi trovare visto che non avevo mai viaggiato tanto. Vivevo a Roma, lavoravo con un orario 9-18, avevo i fine settimana liberi e 4 settimane di vacanza all’anno (che passavo viaggiando). Roma mi piaceva però non stavo bene. Mi è difficile spiegarlo perché quella vita è così lontana rispetto a quella che vivo ora, ed io stessa sono molto diversa dalla Lucia di quei tempi.
A Natale feci una vacanza a Buenos Aires e rimasi folgorata tanto che quando sono tornata in Italia mi sono chiesta, “Ma perché devo vivere qui?”. A Buenos Aires avevo vissuto delle esperienze meravigliose mentre in Italia ero di nuovo intrappolata in un Paese e in una routine che non sentivo mie e così, se prima avevo un bisogno che però non mi era chiaro, l’Argentina mi ha dato la spinta per passare all’azione. Ho lasciato il lavoro e, avendo dei risparmi, mi ero data un periodo di 3 mesi per fare chiarezza dentro di me e decidere che cosa fare. Sono partita per l’Argentina con la consapevolezza che sarei potuta rimanere lì. Per questo ho lasciato le cose in Italia in un modo che sarebbe potuto andare bene sia se avessi deciso di tornare sia, al contrario, se fossi rimasta in Argentina o comunque se avessi deciso di viaggiare a lungo. Non ho preso la classica decisione “scelgo un Paese e vado via”.
Come hanno reagito amici, parenti e conoscenti davanti a questa tua decisione?
Essendo stata una cosa graduale si sono adattati alla situazione, senza rendersene conto. Non avevo tanti amici mentre i miei genitori guardavano la mia situazione e si chiedevano cosa stessi facendo. Dopo un anno e mezzo dalla mia partenza sono venuti a trovarmi perché hanno capito che non sarei tornata. Credo che essere venuti lì li abbia aiutati a capire meglio la mia vita. All’inizio, loro non sapevano niente di quei posti o del lavoro da remoto e poi c’è da tenere a mente che eravamo negli anni compresi fra il 2010 e il 2017. Non era poi tanto tempo fa, eppure non c’era WhatsApp e la tecnologia non veniva usata come adesso. Mio padre è venuto a mancare 2 anni fa ma sia lui sia mia madre hanno avuto modo di abituarsi al mio stile di vita, avendolo toccato con mano e compreso meglio.
Hai mai pensato di aver fatto la scelta sbagliata?
No, non mi sono mai pentita. Sono molto felice. A 35 anni finalmente ho cominciato a vivere come volevo, ovvero viaggiando. Ho cominciato nel 2006, in un certo senso “tardi”, e non so perché non abbia viaggiato prima. L’esperienza in Argentina mi ha trasformata in un’altra persona, mi sento come rinata. Come nomade digitale, poi, mi sono divertita da morire e continuo a stare bene quindi, no, nessun ripensamento.
Dove ti trovi al momento?
Ora sono a Isla Mujeres, che è un’isola che si trova a mezz’ora di traghetto da Cancun, in Messico. È la terza volta che vengo qui, l’ultima volta ci sono stata 4 mesi, ora dovrei rimanere per 1 mese e mezzo ma forse prolungherò la mia permanenza.
Quali Paesi hai visitato e quali, fra questi, ti hanno lasciato qualcosa di particolare?
Ho viaggiato principalmente in America Latina. L’Argentina per me è la seconda patria e il Messico la terza e infatti ci sono già stata varie volte. Sono stata a Panama, in Costa Rica, in Nicaragua e poi ho visto un po’ del Guatemala, dell’Honduras, della Bolivia, del Perù, dell’Ecuador e, in due momenti diversi, della Colombia. Sono stata anche in Thailandia, a Bali e in Europa. Ho fatto la nomade digitale in Spagna e in Bulgaria e poi ho toccato Marsiglia, in Francia. I Paesi che mi hanno lasciato qualcosa di particolare sono, prima di tutto, l’Argentina e poi il Messico. In Argentina mi sono dovuta formare da sola, ho vissuto come un’expat, ho dovuto cercare lavoro e badare a me stessa senza nessun riferimento (anche se avevo degli amici). È stata una bella scuola e il fatto di vivere in una città come Buenos Aires, molto stimolante, mi ha portata ad aprire sempre di più la mente. Ho vissuto in Messico da nomade digitale, parlo spagnolo quindi m’integro con la gente locale ed è positivo anche se ciò fa sì che a volte mi sia interfacciata con situazioni non proprio “turistiche”. Questo mi permette anche di avere facilmente delle relazioni di amicizia e di amore. A me non è mai accaduto niente di brutto però sono entrata in contatto con delle realtà davvero dure che mi hanno aiutata a capire come niente sia scontato o perfetto e come la vita che conduciamo in Italia, e di cui spesso ci lamentiamo, in realtà sia da privilegiati.
Com’è la vita quotidiana di una nomade digitale sempre in movimento?
La vita di un nomade digitale è molto strutturata e organizzata, altrimenti si rischia di perdere la bussola. Per quanto mi riguarda, preparo ogni spostamento con almeno 2 mesi di anticipo. Non mi chiedo più di tanto se il posto mi piacerà ma cerco un alloggio e faccio il possibile per capire se fa al caso mio. Va da sé che un nomade digitale ha delle esigenze che, generalmente, i turisti non hanno. Per esempio, la connessione Internet dev’essere buona, dev’esserci una scrivania o comunque uno spazio idoneo per poter lavorare… nel caso in cui l’alloggio non soddisfi i miei requisiti lavorativi, posso comunque optare per un co-working e quindi devo capire se ce ne sono in zona, come sono organizzati e via dicendo. Penso, poi, all’ambiente ovvero posso aspettarmi d’incontrare altri nomadi digitali? È un luogo turistico? È nel cuore della natura ma comunque frequentato?
Partire a casaccio e ritrovarsi in una situazione in cui mancano le condizioni di base per lavorare serenamente non è una bella esperienza. La pianificazione serve proprio per evitare di ritrovarsi in tali frangenti. Un nomade digitale, infatti, deve garantire un’ottima qualità del proprio lavoro. È vero che non si ha l’obbligo di andare in ufficio, ma dobbiamo comunque svolgere dei compiti per conto dei datori di lavoro. Personalmente, non me la sento di giustificarmi per eventuali problemi o mancanze in ambito lavorativo perché la connessione Internet è scarsa, perché fuori ci sono troppi rumori e via dicendo. Preferisco fare le ricerche per tempo anche se, ovviamente, a distanza ci sono certi aspetti che non puoi comprendere del tutto. È comunque responsabilità di un nomade digitale, almeno per come la vedo io, cercare di limitare i danni.
Come ti organizzi nello strutturare i tuoi spostamenti?
Dal momento in cui arrivo in un posto comincio già a organizzare il viaggio successivo proprio perché so che non rimarrò in quel luogo più di uno o due mesi. Se viaggi in bassa stagione puoi avere maggiori possibilità di trovare degli alloggi all’ultimo minuto o direttamente sul posto, anche se non è comunque una garanzia ma, in generale, se non ti organizzi e non sai dove andare può essere un problema. Come ho scritto prima, ci sono tanti modi diversi di essere nomadi digitali e quindi la vita può essere molto diversa per vari tipi di persone che fanno parte di questa categoria. Uno dei primi motivi di differenziazione è il tipo di lavoro che il nomade digitale svolge. Io ho degli orari fissi e lavoro dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 18 (tenendo conto dei fusi orari). Non devo andare in ufficio ma durante la settimana dedico gran parte del mio tempo al lavoro e non faccio molto turismo. Il fine-settimana, invece, lo dedico a me stessa e all’esplorazione dei luoghi che non ho potuto visitare nel corso della settimana. Dal lunedì al venerdì mi concedo esperienze come una colazione fuori, una visita a un museo, una passeggiata lungo la spiaggia eccetera ma, per il resto, passo molte ore al computer. Questo è uno dei motivi per cui mi piace andare in un co-working, così posso mescolarmi ad altra gente, altrimenti dovrei passare gran parte della settimana lavorativa chiusa in casa, sola con il mio computer.
Uno degli aspetti positivi del trascorrere diverso tempo in uno stesso posto è quello di poterlo conoscere in maniera più approfondita rispetto a quanto non possa fare un turista e così puoi riuscire a fare dei tour a un prezzo ridotto o a visitare in autonomia dei luoghi che, ai turisti, vengono venduti a prezzi non proprio economici.
Come si riesce a conciliare questo stile di vita con l’amore e le amicizie?
Anche in questo caso molto dipende da tante varianti ma, in generale, penso di poter dire che sia l’amore sia l’amicizia si conciliano molto bene con la vita del nomade digitale. Questo stile di vita, infatti, dà tanta flessibilità e ti permette di spostarti quando vuoi. Esso, inoltre, ti permette di conoscere tanta gente e di essere più aperto della media verso le altre persone. Io sono in contatto con una ragazza che, come me, è nomade digitale e sta facendo la sua prima esperienza alle Canarie. Essendo alla sua prima volta, si lamentava di come i ragazzi siano aperti e non perdano tanto tempo a proporre un invito a cena o una serata a casa loro. Questo succede perché il nomade digitale è abituato all’apertura, al conoscere gente e spesso non va tanto per il sottile. Il problema principale nelle relazioni d’amore è collegato, di solito, ai Paesi di provenienza. Per esempio, conosco una coppia composta da una ragazza europea e un ragazzo canadese che ha avuto dei problemi nel soggiornare in Europa perché lui non poteva rimanervi più di 3 mesi. Ecco che i due hanno vissuto in Europa per qualche mese e poi sono dovuti ripartire, lasciando il continente. Alla fine, si sono sposati e hanno tagliato la testa al toro.
Possiamo dire che, in un certo senso, anche se ovviamente deve lavorare, un nomade digitale è “sempre in vacanza” e quindi di solito le coppie non sono appesantite dalla quotidianità di una convivenza “classica”, del dover pagare le bollette e via dicendo. Io non ho mai avuto relazioni fisse ma sempre estemporanee e spesso con i locali. Forse questo è dato dal fatto che parlo spagnolo e che cerco questo tipo di relazioni perché mi permettono di entrare ancora meglio all’interno della cultura del posto.
Come ho scritto, sono molto irrequieta e questa vale anche a livello emotivo. Come non riesco a fermarmi in un posto per più di 3 mesi, allo stesso modo non riesco a rimanere con una persona a lungo. I miei rapporti d’amore sono, quindi, destinati a finire entro un arco di tempo piuttosto breve, anche se di solito rimaniamo amici.
Parlando delle amicizie, funziona più o meno allo stesso modo. Ho conosciuto tante persone con cui sono ancora in contatto e che spero di rivedere dove ci siamo incontrati o altrove. Io non ho mai avuto grossi problemi a fare amicizia, mi sono sempre trovata nel “posto giusto con le persone giuste”. Devo dire, comunque, che non cerco la quantità ma la qualità e preferisco avere poche persone come amiche piuttosto che tante giusto per far numero, anche perché non cerco feste o gente con cui visitare i luoghi, visto che mi piace esplorarli da sola.
Quali sono le esperienze più belle che hai vissuto?
Sono state tante, fra tutte direi forse il mio primo vero viaggio da nomade digitale, nel 2015, qui a Cancun. Ricordo che sono arrivata di sera e la mattina successiva ho preso l’autobus diretto alle spiagge e, una volta là, sono rimasta a bocca aperta dalla sabbia bianca e dall’acqua cristallina, tanto che ho pensato, “Wow, bastava salire su un aereo per venire in Paradiso e vivere un sogno”. Ancora oggi penso che Cancun sia un posto bellissimo che trasmette un grande senso di libertà e permette di esplorare i posti che si è sempre sognato.
Hai mai dovuto affrontare delle difficoltà? Come le hai superate?
La mia prima difficoltà è stata all’inizio, quando ero freelance e mi chiedevo se avrei avuto abbastanza lavoro per mantenermi. L’ho affrontata lavorando bene, concentrata e di più perché la ricompensa sarebbe stata alta ovvero stare in un posto bellissimo, con spiagge tropicali, come la Riviera Maya. Al principio ho avuto difficoltà anche a livello lavorativo perché il processo di adattamento non è immediato. Il mio lavoro di programmatrice è sempre stato dal computer però dal lavorare in ufficio al venire qui c’è stato un cambio. Dico sempre che prima, quando lavoravo in ufficio, se c’era qualcosa che non sapevo fare chiedevo al collega, adesso, invece, anche se sono in contatto con i colleghi grazie agli strumenti di lavoro virtuale, tendo a cercare da sola la soluzione e poi magari chiamo il collega o gli scrivo per condividere quanto accaduto, non più per chiedere aiuto, e lo stesso fa lui. Per raggiungere questo livello ci sono voluti degli sforzi, perché in ufficio sei abituato alla “pappa pronta”, ti senti quasi come un meccanico che dice “dimmi cosa devo fare e lo faccio” mentre questo cambiamento mi ha portato una crescita personale. L’opzione era “o cambi, o non funziona” e quindi mi sono adattata. Tutto ciò ha aumentato la mia autostima, la consapevolezza delle mie capacità, dell’essere in grado di cavarmela da sola, anche se mi piace collaborare con gli altri.
Quali sono, secondo te, le caratteristiche per farcela come nomade digitale?
Direi, in primis, l’intraprendenza e il credere nelle proprie capacità ma anche l’autodisciplina. In Italia, secondo me, il lavoro di ufficio è concepito come “sei pagato per stare qui a fare quello che ti viene ordinato” ma lavorando online c’è più libertà. Io ho trovato delle ditte che mi hanno sempre lasciato fare quello che volevo e che hanno sempre dato molto spazio all’iniziativa personale. In alcuni Paesi, come l’Inghilterra, non è raro che questo modo di pensare sia presente anche in ufficio, m penso che, in Italia, invece, manchi in generale. È un po’ come se ti dicessero, “Non importa per cosa sei portato, cosa ti piace di più fare, devi solo fare quello che ti viene chiesto”. Anche il nomade digitale, naturalmente, deve lavorare perché, anche se non ha qualcuno che lo controlla, se non combina niente alla fine la cosa viene a galla, sia che tu sia dipendente sia che tu sia freelance. Una delle cose più difficili forse è organizzarsi e avere auto-disciplina anche quando le altre persone, per esempio in ostello, vanno a divertirsi o a esplorare e tu, invece, devi metterti al lavoro sapendo di avere solo 3-4 ore libere il pomeriggio.
Un’altra caratteristica fondamentale è la capacità di adattamento che va di pari passo con l’essere flessibile. In molti, per esempio, chiedono informazioni davvero dettagliate sugli alloggi come se stessero per andare in vacanza e, quindi, volessero trovare la “pappa pronta”. Il mio consiglio è quello di prenotare un alloggio per una settimana, per quando arriverai in un posto nuovo, e poi cercare in loco un’altra sistemazione. Non solo potrai risparmiare, ma potrai andare a vederla di persona, conoscerai meglio la zona e via dicendo. Per essere nomadi digitali bisogna poter contare sulle proprie capacità ed essere in grado di affrontare di tutto. È importante essere aperti ai cambiamenti perché magari arrivi in un posto che t’ispirava tanto e invece non ti trovi bene, o viceversa. Nel primo caso, puoi semplicemente decidere di rimanere molto meno di quanto avevi programmato, il tutto senza rammarico, semplicemente riadattandoti mentre, nel secondo caso, puoi decidere di rimanervi più a lungo.
Le cose, tuttavia, sono cambiate molto da quando ho cominciato io perché ci sono sempre più nomadi digitali ed esistono opportunità come i gruppi Facebook dove è facile reperire, già da prima della partenza, delle informazioni che, un tempo, era possibile reperire solo una volta in loco. Allo stesso modo, ci sono alcune zone considerate “le preferite” dei nomadi digitali che si sono adattate per ricevere persone che hanno questo stile di vita e offrono ottime connessioni Internet, un’ampia scelta di co-living e l’opportunità di conoscere altra gente simile a te.
Che consigli daresti a chi vuole cambiare vita?
Probabilmente chi vuole cambiare vita ha questo desiderio ma la situazione in cui si trova non gli è ancora tanto chiara. Quando mi succede qualcosa del genere, io prendo un periodo di pausa da tutto per permettermi di schiarirmi le idee e di pensare. Se non sto bene in una città, me ne vado per un po’, il che non vuol dire che mi trasferisco altrove ma semplicemente che faccio un viaggio da qualche altra parte per respirare una boccata di aria fresca. Se lavoro per gran parte della settimana e arrivo alla sera e al week-end esausta, è ovvio che non ho né il tempo né la lucidità per pensare come si deve alla mia situazione perché ho la testa piena di altri pensieri e già stanca. Per questo, quando ho deciso di lasciare l’ultimo lavoro di ufficio in Argentina, non mi sono messa subito a cercare un altro impiego (per la prima volta nella mia vita ed ero davvero spaventata!) eppure sentivo di aver bisogno di staccare da tutto per avere del tempo da dedicare alla conoscenza e comprensione di me stessa. Sapevo di voler cambiare lavoro ma non avevo ancora le idee sufficientemente chiare sulla strada da prendere. Il mio consiglio, dunque, è quello di ritagliarti del tempo per pensare e per entrare in contatto con il vero te. Come dicono tutti, davanti a una domanda come “perché voglio cambiare vita?” la risposta, che ti guiderà anche ai passi necessari da compiere per trasformare il desiderio in realtà, è dentro di te. Per fare chiarezza e trovarla, però, spesso è necessario allontanarsi dalla frenesia della vita quotidiana dedicandosi alle proprie passioni o semplicemente al “far niente”.
Viaggiare per te è…
Nel corso degli ultimi anni la mia risposta a questa domanda è cambiata perché l’essere diventata una nomade digitale mi ha permesso di evolvere più in fretta di quanto non avrei potuto fare conducendo una vita più “tradizionale”. Viaggiare, per me, è sempre stata una necessità perché, come ho spiegato, sento il bisogno di spostarmi ogni 3 mesi, altrimenti mi annoio. Viaggiare significa conoscere cose diverse, aprire la mente e in più è divertente, stimolante e curioso. Quando lo fai con una certa regolarità ti rendi conto che il modo di vivere che c’è in Italia non è l’unico presente nel mondo e che non c’è un modo “migliore” degli altri di vivere. Quando si è in Italia, però, ci sembra che tutto il mondo viva così. Viaggiare ti apre a livello mentale, di esplorazione dei posti e delle architetture… potrei dire che, per me, viaggiare è sinonimo di conoscenza.
C’è un Paese o anche solo una città che chiami “casa”? Per te “casa” è?
In generale, no. Dato che mi sposto continuamente, il viaggio è parte integrante della mia vita. Il fatto che tu ti trovi bene o meno in un certo posto può non dipendere dalla località stessa ma dal tuo stato d’animo in quel momento nonché da cosa sta succedendo nella tua vita. Tutto, quindi, dipende dalla realtà che ognuno crea per sé. In centro America ci sono piccoli villaggi di pescatori che attirano tante persone che vengono per far festa eppure sia io sia altri viaggiatori abbiamo trovato in questi luoghi, che per la maggior parte della gente che ci viene sono sinonimo di baldoria e sesso facile, lo yoga, l’introspezione e delle persone “illuminate”.
Nonostante questo, ci sono dei posti che, anche se non sento proprio come “casa”, rappresentano, per me, dei punti fermi. Al primo posto c’è l’Argentina e poi il Messico. Ogni tanto, sento il bisogno di tornare in questi luoghi perché lì mi sento bene. Magari non sarà sempre tutto positivo, però quei posti rappresentano i miei punti fermi.
Progetti per il futuro?
Non è facile rispondere a questa domanda perché la pandemia da Covid-19 mi ha insegnato a non fare programmi che vadano oltre le 2 settimane. Durante la prima fase della pandemia, quella più tosta, ero a Bali e sono stata bene, mentre ho trascorso la seconda fase in Italia. Io ero abituata a muovermi liberamente e quella situazione mi ha fatta sentire con le ali tarpate e con la consapevolezza che non ci sarebbero state certezze per il futuro. Se penso al futuro prossimo… adesso sono in Messico, Paese che ti dà il Visto per 6 mesi (molto più della media), quindi probabilmente rimarrò qui in giro fino a marzo. Penso che mi sposterò dalla Riviera Maya perché, con l’arrivo dell’alta stagione e del Natale, i prezzi aumenteranno ma potrei andare in altre aree e poi credo che tornerò in Italia per riabbracciare mia madre, perché non la vedo da molto tempo. Dopo quello? Mah, non saprei, forse tornerò in Thailandia perché per me il sud-est asiatico è un angolo di mondo sicuro e tranquillo, specialmente se comparato al centro America. In generale, sento che qualcosa sta cambiando, o che devo cambiare qualcosa. Penso che continuerò a lavorare da remoto per la stessa ditta e, a livello di viaggi, dovrò vedere cosa succederà fra quest’anno e il 2023 per quanto riguarda i cambiamenti a livello personale e lavorativo. Tuttavia, penso di poter dire che non mi stabilirò mai. Vorrei continuare a fare la nomade digitale. Ho 48 anni e ancora tanti posti che voglio vedere. Forse rallenterò il ritmo di viaggio però vedo ancora la possibilità, per me, di muovermi in giro per il mondo e di non avere una casa.
Copyright foto: Lucia Ricciuti
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