Scontri Lotta

Io non credo più, da tempo, alla lotta collettiva. Non ci credo perché un gruppo di persone che si uniscono per incidere su un processo democratico, dovrebbero prima aver compiuto il loro percorso individuale. Solo in quel caso mi unirei a loro. Vedrei gente solida, che sa dove sta, che ha già compiuto scelte importanti, che ha trovato un equilibrio, unirsi per essere ancora più forti, ancora più d’impatto. Gente solida che si unisce per contare maggiormente.

Quel che osservo spesso, invece, è l’azione di movimenti organizzati composti da gente fragile, che va ad unirsi ad altra gente per essere più forte, per cercare casa, famiglia, gruppo, per sentirsi meno sola. Un insieme di gente debole non fa un movimento forte. Non ho alcun interesse a questo genere di movimenti, e non vedo alcuna forza in un gregge di persone che cerca ausilio invece che portare aiuto.

E siamo, dunque, come sempre, al solito vecchio canto. Nessuno, o almeno assai pochi, assume su di sé la responsabilità della propria vita. Le scelte, il benessere, l’equilibrio, l’armonia con se stessi e con questo mondo, buono o cattivo che sia, non sono un’opzione, non sono un’ipotesi, sono un dovere. Almeno per chi si sia fatto una domanda tanto banale quanto essenziale: io voglio tentare la via del mio personale benessere? Se chiedete per strada a cento persone “Tu vuoi essere felice?” riceverete cento “sì”, ma poca consapevolezza, poca esperienza di questa domanda (e della relativa risposta).

Farsi questa domanda apre un mondo di sotto domande, a cui occorre dare risposta. Perché mi sento male in certe circostanze? Perché mi sento bene in altre? So stare da solo? So stare in silenzio serenamente mentre gli altri parlano (senza né sentirmi un somaro se taccio né parlare sempre io impedendo la parola altrui)? So divertirmi con poco? Mi lamento spesso ma non faccio nulla per modificare la mia condizione? So vivere bene oltre il denaro, o è lui la chiave del mio benessere? Ho provato a fare le cose che dico impossibili? Oppure dico che non si può per sola paura? Ho un progetto? So cosa mi piace? Le mie passioni le so gerarchizzare? Ho mai combattuto per anni per realizzarne una? Ho forza d’animo? No? Perché?

Eccole le domande per cui passa il nostro senso di responsabilità. Ecco le domande che, una volta fatte e tentate, ci consentono di lamentarci o di agire.

Uomini che si sono rivolti queste domande rendono la loro vita un cantiere pieno di iniziativa, pieno d’azione. Sono presi dalla costruzione della loro vita, costruiscono muri di sostegno, puntellano le travi, aggiungono putrelle al solaio del loro coraggio. La costruzione che ne scaturisce è solida, quanto basta per poter ospitare altra gente, altre idee, la diversità, il progetto. Da umile stamberga fatiscente, la loro casa è diventata un castello. E un castello protegge ed è in grado di attaccare, perché è solido. Tanti castelli fanno una città. Tante città fanno un Paese.

Ecco una buona direzione su cui operare. Ecco quel che occorre fare prima (e invece) di provare rabbia e spaccare le vetrine durante una manifestazione. Ecco cosa dovremmo cercare di essere per poter affrontare i problemi quotidiani del lavoro, del cambiamento, con la consapevolezza almeno un poco cresciuta di avere qualche forza dentro, di averla curata, fatta crescere, consolidata. Ogni cambiamento di vita, altrimenti, sarà impossibile.

Simone Perotti

www.simoneperotti.com