E’ così che si descrive Domenico Di Leo, 44 anni, pugliese, solista, camerista, docente di Musica da Camera e Pianoforte, che spiega: Amo e apprezzo soprattutto la musica composta, suonata, interpretata o improvvisata e vissuta con onestà, intelligenza, profondità e sincera passione. Ma anche con la giusta dose di ironia, eleganza e “leggerezza” (nel senso più ampio e complesso del termine). Per me generi e stili non implicano in alcun modo un giudizio di valore a priori. Il fatto che, per una serie di combinazioni, io suoni soprattutto musica comunemente definita “classica” non vuol dire che la consideri per forza, sempre e comunque migliore delle altre, per le quali ho rispetto, interesse e curiosità, così come per coloro che le praticano”. E ancora: “Molto meglio del rock suonato con passione e convinzione che della musica classica proposta da musicisti aridi o superficiali. Mi piace essere sorpreso e catturato dai suoni, senza preconcetti. Ho ben presto compreso che una ‘dieta musicale’ varia fa bene. Consiglio a tutti di sperimentare la molteplicità e la curiosità: rendono migliori le nostre vite, più aperte le menti e sono importanti per coltivare la personalità e l’umanità degli individui”.

Domenico Di Leo musicisti

Quale altro strumento, oltre al pianoforte, ama ?

In primo luogo tutti gli strumenti a tastiera del passato e del presente, che mi piace anche suonare e che suono quando è possibile. Comunque l’ascolto, la pratica musicale, l’esperienza mi hanno insegnato ad apprezzare e ad amare tutti gli strumenti musicali, anche quelli che appartengono ad altre “famiglie”, tradizioni e linguaggi. Proprio insegnando e interpretando Musica da Camera, sono stato per fortuna “costretto” a scoprire le virtù e i pregi di tanti strumenti diversi, i loro piccoli e grandi segreti.

In che senso?

Ogni strumento musicale ha caratteristiche speciali, uniche, che i bravi artisti sanno valorizzare e rendere affascinanti. Anche quello più semplice o inconsueto offre delle possibilità a chi sa comprenderlo in modo profondo. Ogni strumento, per alcuni versi, riassume in sé secoli e addirittura millenni di cultura umana, ed è in grado di raccontarci, se affidato a mani (e menti) sensibili e sapienti, storie indimenticabili.

Con gli strumenti a fiato è la tua voce che dà anima ad un oggetto arido e senza voce. Quelli a fiato sono più “potenti”?.

Io credo che nel respiro ci sia in effetti più che semplice “aria”. La voce è un fenomeno vibratorio, aria che mette in vibrazione le corde vocali e risuona nelle cavità del corpo e del cranio, fino ad assumere i suoni più vari corrispondenti ai nostri pensieri e alle nostre emozioni. In quell’aria risuona ciò che noi siamo, la nostra “anima”. In effetti il suono degli strumenti a fiato imita la voce umana e nasce con un meccanismo che è la riproduzione o l’estensione della funzione fonatoria. Però anche gli altri strumenti possono avere un’anima, non solo in senso figurato!

Cioè?

Gli strumenti ad arco, all’interno presentano un cilindretto di abete, posto tra il fondo e la tavola armonica, che ha lo scopo di trasmettere le vibrazioni delle corde alle altre parti in legno dello strumento. Questa cosa piccola, che trasmette le vibrazioni, si chiama – guarda un po’ – “anima”. C’è persino una nota violinista tedesca che in omaggio all’anima del violino (evidentemente i genitori erano amanti della musica e degli strumenti ad arco) si chiama Ulrike-Anima Mathe. Anche nelle canne dell’organo c’è qualcosa che ha lo stesso nome.Ma posso dire che tutti gli strumenti, quando prendono vita, “animati” dalle mani di chi suona, dalle vibrazioni del suono, hanno un’anima. A volte ho anzi la sensazione che certi vecchi strumenti conservino la memoria di ciò che hanno suonato. Una volta ho posato le mani su un pianoforte che pare sia stato suonato da Franz Liszt e ho provato una grande emozione. In quel pianoforte forse permaneva un po’ di quell’anima. Come penso che le musiche che suoniamo ci portino l’anima dei loro autori Ma queste possono essere suggestioni di chi alla musica, come si vede, dà particolare valore

Perché ama il pianoforte in modo particolare?

Potrei rispondere per molte pagine! Le ragioni sono davvero molte: la più immediata è che, oggi, dopo una vita trascorsa con lui, sento ormai il pianoforte come una parte di me, la continuazione del mio corpo e della mia mente, non più uno “strumento”. Ho avuto verso il pianoforte sentimenti di amore, odio, rabbia, tenerezza, rispetto, confidenza. Ora prevalgono amore e gratitudine: è grazie a lui che posso comunicare con la parte più profonda di me stesso e con quella di tante persone.

I pianisti contemporanei che apprezza di più?

Tra i pianisti viventi ce ne sono tanti, per alcuni versi, eccellenti, anche se non moltissimi si mostrano ricchi di personalità come alcuni grandi del passato. Apprezzo molto l’ebbrezza e lo sprezzo del pericolo di un’artista come Martha Argerich, la sua statura di solista, accompagnata dal grande amore per la musica da camera, dal gusto per la scoperta di talenti e per la condivisione della musica con altri artisti e col pubblico. Più in generale mi piacciono gli interpreti che non cedono alla routine e sanno assumersi dei rischi. Tra cui anche quello di non piacere e di avviarsi su strade non battute da altri. Darei però qualsiasi cosa per viaggiare nel tempo e ascoltare i grandi pianisti di un passato di cui non esistono che narrazioni ma non tracce audio: Chopin e Liszt, Thalberg, Alkan, Clara Wieck e Felix Mendelssohn, indietro fino a Beethoven e Mozart. In tanti casi non solo virtuosi straordinari, ma grandi improvvisatori.

Quando e come è iniziata la sua passione per la musica?

Da bambino. Credo di dovere molto a mio fratello, maggiore di pochi anni. In casa il vero patito della musica era lui: sin da piccolo passava ore ad ascoltare musica con i nostri giradischi e fonovaligie, alla radio e in televisione e si costruiva rudimentali batterie con fustini di detersivo, pentole e altri “oggetti sonori”; a sei anni formò un gruppo con altri due giovanissimi musicisti di poco più grandi. Sicuramente mi ha influenzato positivamente e ha contribuito significativamente alla nascita e all’evoluzione della mia passione per l’ascolto e per la pratica musicale.

Chi ha scoperto le sue doti artistiche?

Proprio mio fratello: lungimirante, molto più di un’insegnante di pianoforte alla quale i miei genitori si rivolsero. Secondo lei, a sette anni, ero troppo piccolo e consigliò di aspettare.

Quando finalmente ebbi la possibilità di cominciare gli studi (ormai avevo quasi dieci anni) fu necessario pochissimo tempo per convincere il mio insegnante e, poco dopo, il mio docente di Conservatorio, della mia passione e delle mie qualità musicali.

Quali studi hai fatto?

Dopo poco più di un anno di lezioni ricevute da un giovane pianista, allievo del Conservatorio “Niccolò Piccinni” di Bari, ho superato l’esame di ammissione e sono entrato nello stesso Conservatorio. A Bari ho seguito tutto il corso di studi. Negli anni di frequenza non ho perso occasione per fare musica con i miei amici e compagni di studi: pianisti, strumentisti, cantanti, di qualunque età e preparazione. Mi piaceva seguire anche le lezioni degli altri allievi, e ascoltare non solo i pianisti. Sono stato felice quando ho scoperto che avrei potuto seguire le lezioni di Musica da Camera, disciplina per la quale ho poi vinto il Concorso Nazionale a Cattedre. Un concorso davvero duro, tra esami teorici e pratici. Tra l’altro è stata una delle poche volte, se non l’unica, in cui in Italia si è fatta una selezione dei docenti mettendoli alla prova.

Dopo il Conservatorio?

Ho conosciuto tanti bravi musicisti italiani e stranieri, ho compreso l’importanza di questo confronto umano e artistico e ho cercato di imparare da tutti.

Uno degli incontri più importanti è stato quello con la grande tradizione tecnica e interpretativa russa, tramite Konstantin Bogino, pianista moscovita che vive a Parigi, spesso ospite anche del nostro Paese. Lo considero un artista molto speciale e un didatta non comune.

Perché?

Con Bogino ho anche avuto e ho il piacere di collaborare. Ma se dovessi davvero citare i nomi di tutte le musiciste e di tutti i musicisti dai quali ho appreso qualcosa di buono e di importante dovrei fare un lunghissimo elenco.

Lo studio non è mai finito e credo – anzi spero – che non finisca mai, se non con la vita stessa.

Più suono, più insegno, più cerco e trovo nuove strade, nuovi personali obiettivi artistici.

Quale musica ama in particolare?

Potrei dire: l’ultimo che ho suonato o che ascoltato, o il prossimo che ascolterò o suonerò.

Non ho un amore musicale esclusivo: in musica sono un “bulimico compulsivo”, un “music addicted” come una specie di Don Giovanni dei suoni, e dovrei rispondere “Madamina; il catalogo è questo!”, dopodiché sciorinare un lungo elenco di nomi, del quale poi mi pentirei subito, perché mancante di tutta una serie di altri nomi per me ugualmente importanti. Lo stesso accade con linguaggi, generi: penso davvero che ci sia una musica adatta per ogni momento della giornata e per ogni stagione della vita.

Quale musicista fa da sottofondo alla sua vita?

Il mio sottofondo è vario, può comprendere davvero tutto. Mi interessano musiche e culture diverse di epoche differenti e apprezzo moltissimi musicisti (compositori, interpreti, direttori, solisti, formazioni, gruppi): da Monteverdi, Bach, Haendel (ma appena detti questi, comincio a pensare agli Scarlatti, Leonin e Perotin, , Frescobaldi, e Biber, Froberger e Buxtehude, a Gesualdo…) a Shostakovic, Bartók, Prokofiev e Stravinskij, Messiaen e volutamente ometto ora tutti i compositori del XIX secolo, non finirei più, E poi i compositori viventi, e ce ne sono tanti di valore anche in Italia. Ma naturalmente anche il blues e il soul, il jazz, il rock “storicizzati” e quelli dei nostri giorni. Ora, alla rinfusa mi vengono in mente Keith Jarrett, Joni Mitchell, Janis Joplin, Jimi Hendrix, solo per citarne alcuni, fino a Frank Zappa o a Steve Reich, con il quale ho anche avuto il piacere e l’onore di collaborare, eseguendo in concerto il bellissimo Sextet. E poi la musica sudamericana e caraibica in tutte le sue declinazioni. Il Brasile è già di per sé una miniera inesauribile di grande musica. L’Africa ci regala grandi sorprese con Geoffrey Oryema, Angelique Kidjo e tanti altri, e poi l’India da Shankar a Zakir Hussein. Il mondo è talmente ricco di meravigliosi suoni che mi domando come facciamo a sprecare il nostro tempo in conflitti, guerre, cattiverie, invece che godere del bello che il genere umano ha saputo creare e continua a produrre nonostante tutto! La musica è un infinito, eterno viaggio. Non a caso in molti miei concerti il tema del “viaggio” torna spesso e volentieri.

Il musicista che sente più lontano?

Quelli che fanno musica, ma non la amano realmente. A volte i grandi interpreti sanno renderci più vicini persino compositori ritenuti, a torto o a ragione, non eccelsi. Viceversa, potrebbero esserci interpreti che riescono a rendere “inascoltabili”, indigesti e lontani gli autori più grandi, geniali e interessanti. Quindi, il ruolo degli interpreti è davvero fondamentale: meglio un autore forse “meno grande”, ma ben suonato che uno molto più importante, sulla carta, interpretato in modo sciatto o non adeguato !

Musica e amore: cosa mi dice?

Tutta la musica che esprime grande intensità emotiva lo ha fatto o può farlo: Haendel, Purcell, Mozart, Schubert, Schumann, Chopin, Brahms, Bellini; Donizetti, Wagner, Mahler, Rachmaninov; Piazzolla, Ravel, Poulenc, ma anche tanti bravi autori di canzoni. In questo momento, per esempio, anche sulla scia del grande anniversario, duecento anni, della nascita di due grandi geni come Fryderyk Chopin e Robert Schumann, sono molto preso dalla loro musica. In particolare, trovo che in Schumann ci siano tutte le sfumature del sentimento amoroso: tanto nella musica strumentale che in quella vocale, sempre su testi poetici di prim’ordine, Schumann parla sempre, e sempre ci dice qualcosa di particolarmente emozionante, esprimendo come forse nessuno il senso di un’infinita tenerezza.

Il musicista che le mette più allegria?

Haydn, (un vero “mattacchione”!), Mozart, Rossini (altri due che sapevano divertirsi). Ma anche alcune cose di Beethoven e Mendelssohn e poi Francis Poulenc, Louis Armstrong, Duke Ellington, Count Basie, Leonard Bernstein, Frank Zappa, Stefano Bollani, Elio e le Storie Tese. Permettimi però di assegnare un posto tutto speciale a una figura di artista spesso non abbastanza compresa in tutto il suo valore di anticipatore e sano provocatore: Erik Satie. Ho anche il piacere di condividere con lui lo stesso segno zodiacale. Il suo essere fuori dagli schemi e dalle ristrettezze mentali di tipo accademico, mi ha colpito sin da quando ero un ragazzino e pochi si avvicinavano alle sue musiche. Anche oggi che Satie è un po’ più di moda, ma mi piace sempre ricordarlo ed esplorare la sua musica. Dall’anno scorso, tra l’altro collaboro alla direzione artistica di “Bon Anniversaire, Monsieur Satie!”, un evento che si tiene annualmente ad Arcueil, il sobborgo parigino dove egli visse fino alla morte. E per l’edizione ho scritto, insieme a una brava coreografa e musicista, Elisabetta Fiorini, uno spettacolo per grandi e piccini, tutto basato sulle musiche e sul mondo di Satie. La cosa mi sta piacendo moltissimo: speriamo di poterlo proporre anche in Italia.

Quale musica preferisce interpretare o ascoltare ?

Tutta la musica che trovo significativa. Può essere un celebre capolavoro come un’opera dimenticata, ma da riscoprire oppure ancora il lavoro di un giovane artista ancora sconosciuto. Penso che noi musicisti / interpreti dobbiamo essere, oggi più che mai, un po’ militanti, agenti, “agitatori”, “ provocatori di cultura”. Offrire possibilità di conoscenza ed esperienza a chi ci ascolta. Metterci a disposizione di chi fa ricerca e farla noi stessi.

Ci spieghi!

Occorre collaborare con i compositori affermati o emergenti per far circolare la loro musica. Mi piace comporre programmi concertistici non ortodossi, accostando opere antiche e suoni di oggi, pagine molto note e altre del tutto ignote. Suono Bach, Chopin o Liszt o Rachmaninov ma, come ho detto, adoro Satie. Collaboro volentieri con chi promuove la musica di oggi. Di recente ho eseguito per la prima volta in Italia delle pagine di una meravigliosa artista finlandese Kaija Saariaho: lei è considerata in tutto il mondo, ma sono lieto di averla fatta scoprire e apprezzare da tanti che la ignoravano del tutto.

Un lato interessante del suo lavoro!

Certo. Sto lavorando ad un programma che presenterà al pubblico l’attuale produzione della musica pianistica italiana (da Nicola Campogrande, del quale tra l’altro ho eseguito per la prima volta in Francia gli esilaranti “Sette pezzi nani”, a Ivan Fedele, Carlo Boccadoro, Silvia Colasanti, Roberta Vacca, il giovane ma bravissimo pugliese Vito Palumbo ed altri ancora…).

Trovo stimolante e salutare, anche per dar vita alla tradizione, non rintanarsi nell’accademismo e sperimentare modi e contesti diversi per produrre, proporre, divulgare musica.Nel giugno scorso è stato molto bello collaborare, con l’Ensemble Sentieri Selvaggi di Milano e tanti bravissimi musicisti alla riproposta di “In C” geniale composizione di Terry Riley, negli spazi della Triennale di Milano. Credo che molti del pubblico non avessero mai visto un modo così diverso di fare musica, abbattendo anche le tradizionali barriere tra chi suona e chi ascolta.

Insegna in Puglia?

Sono nato a Bisceglie – a Nord di Bari – nota, tra l’altro, per le sue vestigia preistoriche e per un dolce tipico molto buono, il sospiro, dolce dal nome musicale. Franz Liszt ha scritto un famoso Studio che ha questo titolo e i francesi chiamano “le soupir”, la pausa di croma.

Cosa consiglia agli studenti di musica?

Ama davvero ciò che fai. Sii “dentro” la musica, cerca una tua strada personale, coltiva con passione il tuo “prodotto” artistico, sii curioso e non stancarti di conoscere. Sii umile ma determinato e consapevole del tuo valore, intraprendente. Cerca di collaborare con partner artistici stimolanti. Studia con maestri in grado di aiutarti a esprimere il massimo del tuo potenziale e che moltiplichino il tuo entusiasmo. Guardati molto intorno e cerca di capire come proporre al pubblico i frutti del tuo lavoro.

Ascolta, ascolta, ascolta: musica riprodotta e musica dal vivo. Ricorda che puoi imparare da tutti, anche da musicisti che suonano musiche e strumenti molto lontani da ciò che tu fai. Comunque, soprattutto se sei un aspirante esecutore/interprete di musica classica, non limitarti solo a macinare tonnellate di note.

Faccia un esempio.

Coltivare la tecnica strumentale o vocale è importante, ma la cultura, la sensibilità artistica, l’immaginazione devono andare di pari passo. Quindi leggi più che puoi, vai al cinema e a teatro, contempla la natura, sogna, vivi!

Meglio studiare all’estero?

Andare all’estero, anche approfittando, per chi è iscritto ai nostri Conservatori, dei canali Erasmus è certo una possibilità da non escludere.

Conoscere altri contesti e sprovincializzarsi fa bene. Devo anche dire, con un certo rammarico, che in molti Paesi europei ed extraeuropei, la musica e il mestiere di musicista godono di ben altra considerazione e incentivazione rispetto all’Italia. Conservatori e Accademie hanno standard organizzativi spesso più elevati dei nostri.

Quali sono le scuole migliori in Italia?

Non ce n’è solo una. Intanto, se solo ci limitiamo ad un ambito più classico e “accademico”. Anche qui, però finalmente negli anni qualcosa si è mosso, con il rafforzamento dei dipartimenti di jazz e nuovi linguaggi, nuove tecnologi) i Conservatori italiani sono una realtà complessa nella quale eccellenze artistiche e avanzamento convivono con idee, metodi, didattiche non sempre adeguati per qualità e aggiornamento. Però, li difendo: spesso si parla male con troppa faciloneria di un mondo che continua a produrre grandi talenti, malgrado alcuni problemi che qui sarebbe troppo lungo discutere. Il mio Conservatorio, il “Nino Rota” di Monopoli, negli ultimi dieci anni si è fatto conoscere per l’alto livello di tanti suoi studenti e lo dico con molto orgoglio, competendo ad armi pari con le più prestigiose istituzioni musicali nazionali. Poi ci sono le Accademie private di perfezionamento, alcune delle quali ormai gloriose e notissime.

Quali sono i lati piacevoli della sua attività?

La musica è un grande, meraviglioso gioco, che il musicista fa con se stesso, con gli strumenti, con i suoni, siano questi improvvisati, composti da lui o da altri musicisti. E’ un’esperienza profonda, che riassume tutti gli aspetti della vita. E’ un mestiere che richiede dedizione e cura artigianale. Ma non è “solo” un mestiere: ha sempre qualcosa di inafferrabile e misterioso, la chimera che sempre inseguiamo, il “quid” difficilmente definibile che lo fa diventare arte, incanto, magia e che permette al pubblico, a chi ascolta e vede, di entrare in quel vertiginoso scambio di energie.

E, invece, i sacrifici?

Se quantifichiamo il puro dispendio di energie e lo stress fisico, la disciplina mentale e la pratica professionale della musica richiedono molto impegno e sacrificio: un po’ come avviene per sportivi e danzatori.

Ma credo che tutto questo sia ripagato dagli aspetti che ho descritto prima. Per chi lo pratica, anche lo studio quotidiano è uno stress piacevole e appassionante: anche suonare le noiose scale diventa appassionante ricerca, disciplina mentale, un modo per conoscere sé stessi.

Continui!

Gli aspetti più duri sono legati alla considerazione troppo bassa che la musica ha oggi nel nostro Paese, malgrado la grandissima tradizione di cui siamo portatori. C’è un universo ignorato o poco considerato dai principali media. Questo influisce non poco sulle condizioni in cui spesso ci troviamo a lavorare. In ambito didattico il lato d’ombra è legato al prevalere a volte di logiche burocratiche e poco artistiche, che a volte rischiano di farci perdere di vista la nostra “ragione sociale”: la musica è arte!

Dove le piacerebbe insegnare?

Sono tuttora molto felice di insegnare in un Conservatorio italiano, al Sud, e di aver dato un contributo al suo sviluppo, offrendo delle possibilità ai nostri giovani di talento. C’è ancora tanto da fare e da rimboccarsi le maniche! Impegnato a fondo in questo lavoro, finora non avevo molto preso in considerazione la possibilità di collaborare con Scuole di Musica estere. Ora l’idea mi stimola: mi piacerebbe mettermi alla prova in realtà come, ad esempio, il Nord Europa o gli USA.

Ho in stand-by un contatto con un’importante Accademia finlandese. Ma sono affascinato anche da opzioni diverse e meno “comode”, come collaborare alla formazione musicale in Paesi in via di sviluppo.

Con chi vorrebbe suonare?

Mi piace collaborare con molti musicisti e formazioni, anche in ambiti diversi. Preferisco musicisti creativi, sensibili, umani.

Per me quello che conta è lo spirito “giusto”, il feeling, l’amore per la musica. Sono felice di suonare sia con musicisti affermati che con giovani di talento. Non sempre e non solo il grado di notorietà dice tutto sul valore di un artista: ce ne sono tantissimi tanto interessanti e meritevoli quanto poco conosciuti. Mi piace “rubare” a chi ha esperienze diverse dalle mie. Mi piace trasmettere a chi ha meno esperienza di me.

Sarei a dir poco felice se mi capitasse l’occasione di suonare una volta con Martha Argerich. E’ un mio “mito” da quando ero uno sbarbatello. Toccherei il cielo con un dito se fossi diretto da Claudio Abbado o dal più giovane ma intensissimo Gustavo Dudamel. Amo molto il violoncello e trovo che l’Italia possa vantare solisti d’eccezione: Mario Brunello, Giovanni Sollima, Enrico Dindo, e altri ancora. In particolare del primo apprezzo l’apertura e la volontà di osare nuove strade. Del secondo l’incredibile energia che esprime in pubblico. Ancora archi: Yurij Bashmet, Gidon Kremer, Leonidas Kavakos, Christian Tetzlaff, Thomas Zehetmair, i fratelli Capuçon, Julia Fischer, Isabelle Faust, Danilo Rossi, il Quartetto Auryn, ma l’elenco dei desideri e dei sogni sarebbe infinito.

Mi piacerebbe fare un concerto di lieder con Waltraud Meier o con Thomas Quasthoff, ma quale pianista non lo vorrebbe?

Quali gli errori che un musicista non dovrebbe mai commettere? Suonare ” per mestiere”, diventare un “routinier”. Pensare che musica e vita non abbiano alcuna relazione: invece si suona “come si è” o si suona “ciò che si è”! Un vero musicista deve ricordarsi sempre che la musica non è solo una “prestazione”, ma un’esperienza totale, un discorso senza parole, un campo in cui confluisce tutto ciò che abbiamo vissuto, visto, sentito, letto, pensato, sognato.

Tre doti per comporre?

Curiosità: passione per il suono (per i suoni) in tutte le forme, curiosità per la vita, vivacità intellettuale e apertura mentale. Talento e creatività. Desiderio di esprimersi, comunicare, ricercare e sperimentare.

Come scegliere uno strumento?

Scegliendolo da sé, senza farsi consigliare da altri!

Credo che, solitamente, i bambini abbiano un istinto quasi infallibile per gli strumenti musicali. Quando sono loro a fare la scelta, colpiti dal suono, dalla forma, dal modo di suonare di qualche musicista ascoltato o visto, difficilmente se ne pentiranno.

Ben diverso è quando sono i genitori o comunque gli adulti a scegliere per i piccoli, pensando erroneamente che questi non abbiano le cognizioni necessarie.

La scelta di uno strumento è un fatto emozionale, istintivo, un innamoramento.

E quindi?

Lasciare che un bambino o un ragazzo ascoltino, vedano, tocchino, magari provino. Senza ansia: incontreranno quello che fa al caso loro. Certo, ci sono dei casi limite: se un bambino dovesse innamorarsi del basso tuba, ad esempio, forse dovrebbe iniziare da qualche strumento a fiato più maneggevole e meno faticoso…Nel caso la scelta sia fatta da un adulto, credo sia ancora più facile: gli anni di ascolto musicale e i gusti musicali formati, le informazioni tecniche acquisite possono ulteriormente supportare la scelta spontanea.

Quanto tempo impiega per individuare doti da genio?

Più che di genio preferisco parlare di talento e musicalità. I talenti non sono così rari. I geni veri e propri sono invece individui e personalità molto speciali, eccezionali, figure forse davvero rare. Il genio ha qualità talmente evidenti che non dovrebbe essere difficile riconoscerlo, anche se la storia della musica, ma anche della Scienza o dell’Arte ci dicono che a volte anche la genialità può essere non compresa..Riconoscere il talento nella varietà delle sue forme richiede attenzione, sensibilità ed esperienza.

Peccando di immodestia, mi ritengo un buon talent-scout e credo che, in genere, mi basti poco per scoprire interessanti qualità musicali e artistiche. Ci sono, comunque, casi particolari di talenti più nascosti, che hanno bisogno di maggior tempo per manifestarsi.

Non bisogna mai fermarsi alla superficie, non lasciarsi impressionare solo da alcune qualità evidenti che potrebbero nascondere alcuni pregi o, al contrario, molti limiti ma osservare, mettere alla prova, dare ai talenti l’opportunità di manifestarsi e di confrontarsi con la materia, l’elemento a loro più congeniale, siano suoni, numeri, forme, colori o altro ancora.

Per chiudere?

Suonare è un grande atto di comunicazione con se stessi, con altre menti, con la storia, il presente e il futuro.

Per me l’insegnamento è molto importante e trovo in particolare che l’insegnamento della musica sia fondamentale per l’educazione degli individui. Insegnare non è solo trasmettere, tramandare una tradizione, una cultura accumulata nel tempo, ma farla progredire, ricercare, rendere attuale il patrimonio tramandato; fare in modo che sia disponibile per le nuove generazioni. Significa accompagnare con attenzione e rispetto delle giovani persone alla ricerca di una strada e di una dimensione personale, aiutandole a rimuovere gli ostacoli alla completa espressione del loro potenziale artistico, qualunque esso sia. Un grande processo “maieutico”, lungo il quale anche il “maestro” è costretto a interrogarsi, a mettersi in discussione, continuando ad imparare. Anche se buona parte del mio insegnamento si rivolge ad aspiranti professionisti o addirittura a giovani professionisti, cerco di ricordare sempre che ho davanti delle persone, con le loro vite e la loro complessità. Persone: non solo mani, muscoli, tendini e articolazioni più o meno efficienti!

Domenico Di Leo musicisti

Domenico di Leo in basso al centro

Intervista a cura di Cinzia Ficco