Girare il mondo aiutando gli altri

Di Enza Petruzziello

Provare a fare la differenza aiutando gli altri e riscoprendo se stesse. In viaggio, o meglio “in volo” . E già, perché Jessica e Claudia amano definirsi InVOLOntarie. Viaggiano, infatti, facendo volontariato in giro per il mondo. Entrambe romane, non ancora trentenni, pochi mesi fa hanno deciso di intraprendere un lungo viaggio di un anno per provare a fare la differenza in alcune comunità locali nel mondo. Il loro simbolo è un aereo di carta: eco-sostenibile, leggero, colorabile e direzionato dal vento, il caso e gli imprevisti.

Il loro progetto, che nel frattempo è diventato un blog e una pagina Facebook, nasce da una delusione. La delusione di una società in cui ogni decisione è dettata dal denaro e dal tornaconto personale, di un mondo in cui l’importante è arrivare prima degli altri e non con gli altri, dove aiutare il prossimo è visto come una perdita di tempo. Jessica dopo 3 anni in una multinazionale italiana chiede un anno di aspettativa per provare a fare la differenza. Mentre Claudia, grazie soprattutto agli studi in Cooperazione e Sviluppo e a un viaggio in Asia, apre i suoi orizzonti e capisce di volere altro. Insieme decidono quindi di investire i loro risparmi e partire per un viaggio dedicato completamente all’altro, un viaggio per conoscere fuori e dentro di loro. Le inVOLOntarie si servono di un sito web, Workaway, per contattare le ong locali che si trovano dal lato opposto della Terra. Grazie a Workaway infatti possono usufruire di vitto e alloggio da parte di Ong locali e famiglie in cambio del loro aiuto.

Ora sono in India da 3 mesi e durante questo periodo hanno vissuto esperienze davvero incredibili, a volte divertenti e altre davvero toccanti. «Il nostro progetto non è sponsorizzato da nessuno – raccontano Jessica e Claudia -. Ci spesiamo tutto di nostra tasca perché crediamo in quello che abbiamo sempre sognato».

Jessica e Claudia amano definirsi InVOLOntarie

Jessica, Claudia, ma perché avete scelto di definirvi InVOLOntarie?

«InVOLOntarie è un gioco di parole che nasconde tanti significati. È innanzitutto un termine composto da due parole fondamentali per il nostro viaggio: volo e volontarie. E fin qui, è tutto abbastanza intuitivo. Involontarie è poi una provocazione per rispondere a tutti quelli che ci chiedono: perché lo fate? E volevamo giocare sulla parola “involontario”, come a far intendere che il nostro viaggio sia un’azione compiuta senza volontà. E infine, il significato più controverso della storia dei nomi: un parallelismo con i muscoli involontari del nostro corpo. Il nostro sogno, che poi è diventato realtà, è infatti quello di riuscire a portare un piccolo contributo presso le realtà locali di alcuni Paesi, come fanno i muscoli involontari del nostro corpo all’interno degli organi».

Quando e come nasce il progetto InVOLOntarie?

«Tutto nasce alla fine del 2016 durante un viaggio di un mese fatto in Asia. Decisivo è stato, in particolare, il passaggio per il Laos, un paese incredibile, estremamente povero ma allo stesso tempo pieno di vitalità e con una soluzione a ogni problema. Un giorno mentre camminavamo tra le vie di un piccolo villaggio nei dintorni di Vang Vieng, siamo rimaste esterrefatte della povertà disarmante del posto. Così, abbiamo deciso di comprare fogli bianchi e penne colorate per distribuirli ai bambini del villaggio. Il risultato è stato impressionante: bambini con le facce piene di gioia che correvano orgogliosi dai loro compagni per mostrare il nostro regalo e disegnare insieme. In quel momento abbiamo realizzato quanto sia potente un semplice gesto. Un gesto con cui avevamo cambiato la giornata a una cinquantina di bambini».

Determinante, dunque, il soggiorno in Laos. Che cosa vi ha colpito di questo Paese al punto da stravolgere le vostre vite e decidere di viaggiare aiutando gli altri?

«Siamo state colpite principalmente dalla sua semplicità e determinazione nell’affrontare la vita di tutti i giorni. Abbiamo realizzato come in Italia siamo soliti complicarci la vita, anche nelle semplici scelte quotidiane (che facciamo stasera? Pub o ristorante? Ristorante cinese o pizza?), e troppo spesso ci lamentiamo di ciò che non abbiamo e che potremmo avere. E siamo arrivate a un punto in cui eravamo sature. Così ci siamo rimboccate le maniche per dar vita a questo progetto».

Così, dopo questa esperienza avete mollato tutto e vi siete messe in viaggio. Un viaggio che durerà esattamente 351 giorni. La prima tappa è stata la Romania dove siete arrivate a settembre. Parlateci di questa esperienza.

«La Romania ci sembra già una vita fa! Siamo state a Bod, una piccola cittadina della Transilvania, dove Cristo e Petra con la piccola Zamfira hanno deciso di costruire la loro casa tutta eco-sostenibile. La casa si trova in una vallata verde, invisibile dalla strada principale ed è fatta di paglia, legno, sabbia e argilla. Molti penseranno alla fine dei tre porcellini, in realtà è stata disegnata e strutturata per essere una casa accogliente e resistente alle temperature fredde degli inverni romeni. Qui abbiamo imparato a usare la paglia per tirare su i muri interni, ma il nostro punto forte (parole di Cristo, l’esperto sul campo!) è stato passare l’intonaco, fatto di sabbia, calce, argilla, paglia e un po’ d’acqua. È stata un’esperienza che difficilmente dimenticheremo: abbiamo degli amici in Romania disposti ad aiutarci per i nostri progetti futuri».

La Romania è spesso vittima di pregiudizi. Che situazione avete trovato nel Paese? Penso ad esempio alla qualità della vita.

«In Italia purtroppo tiriamo su dei muri nei confronti delle persone provenienti da Paesi e religioni differenti. I muri portano alla distanza e la distanza porta a chiudersi dentro se stessi e i propri limiti. E questo atteggiamento preclude la possibilità di fare grandi scoperte, di scoprire ad esempio che un paese come la Romania è pieno di persone gentili e sempre disponibili ad aiutarti nella loro terra, dove sei tu lo straniero. Pieno di persone con idee rivoluzionarie, come la scelta di vivere fuori città in una casa tutta eco-sostenibile senza le facilità basilari come la corrente elettrica. Da ciò che abbiamo potuto vedere, e quindi dal nostro personale punto di vista, sembra un paese in cui si vive bene: bassi costi per costruire la propria casa e per fare la spesa, mezzi di trasporto perfettamente funzionanti, strade pulite, tanto verde per rilassarsi e godersi la propria vecchiaia. C’è poi l’altra faccia della medaglia che affligge tutte le grandi città: la forte spaccatura tra ricchi e poveri. A Bucarest ad esempio vedi macchine lussuosissime in alcuni quartieri e poi alle stazioni ti ritrovi di fronte a ragazzini che sniffano la colla e che vivono nelle fogne della città».

 inVOLOntarie

Adesso state affrontando la seconda destinazione, l’India dove siete ormai da 3 mesi. Quali sono i posti che finora avete visitato e che cosa avete fatto in questo periodo?

«Siamo state un mese in Tamil Nadu, lo Stato del sud che ci ha rubato il cuore. Qui siamo state volontarie, o inVOLOntarie, in una comunità rurale di ragazzi disabili, gestita dalla fondazione Sristi Village. Il villaggio ospita una scuola speciale per i più piccolini e una formazione sul campo agricolo per i più grandi. Siamo state principalmente coinvolte nel lavoro agricolo insieme ai ragazzi, con cui abbiamo piantato centinaia di banani, papaye, peperoncini, curcuma, e tanto altro. Sempre nel Tamil Nadu, siamo state ospiti della Global Watche Trust che gestisce un orfanotrofio di bambini dai 10 anni in su, dove ci siamo principalmente occupate di fare i compiti in inglese e passare un po’ di tempo libero. L’ultimo progetto, che è terminato da poco, è stato in Himachal Pradesh. Qui abbiamo collaborato con la Garden of Love, un’organizzazione che ha adottato una delle scuole pubbliche più povere della zona di Dharamsala. La scuola infatti non riesce ad assicurare ai bambini una toilet adeguata né acqua potabile sufficiente per tutti. In questa scuola abbiamo insegnato calcio, attraverso giochi e divertimento, a bambini dai 5 ai 10 anni che ci hanno regalo grandi soddisfazioni. Tra un progetto e un altro ci siamo concesse brevi pause per esplorare questo millenario subcontinente. Siamo passate dal caldo torrido delle palme del Kerala, al caos di Mumbai, fino ad arrivare al freddo delle montagne dell’Himalaya».

Dopo l’India quali saranno le altre tappe del vostro viaggio?

«Bella domanda! In realtà ci piace non avere una risposta. Scherzi a parte, ci lasciamo un po’ trascinare dagli incontri, casuali o causali, dalle impressioni a prima vista e dagli spunti del momento. Per ora saremo in India fino a febbraio e stiamo pensando di muoverci verso lo Srilanka».

 inVOLOntarie

Per quanto riguarda l’aspetto economico, come riuscite a mantenervi e pagare gli spostamenti?

«Il nostro è un progetto “self-made”, non siamo agganciate a nessuna organizzazione e ci spesiamo tutto di tasca nostra, grazie al gruzzolo risparmiato nei mesi precedenti alla partenza. Prima di partire abbiamo stabilito un budget giornaliero di 3 euro per i giorni in cui siamo occupate nei progetti di volontariato. In questo periodo, infatti, ci facciamo bastare il letto e il cibo che ci forniscono. Nei giorni in cui ci “vestiamo” da viaggiatrici, invece, il budget è di 16 euro. Fino ad ora abbiamo speso la metà di quanto ci eravamo prefissate. Per darti un’idea abbiamo speso meno di 100 euro al mese a testa».

Nel frattempo avete anche aperto un blog e una pagina Facebook, in cui raccontate dei vostri viaggi e del vostro progetto. A chi vi rivolgete e che informazioni date?

«L’idea di metterci sui social nasce dal desiderio di destare l’attenzione delle persone, spesso prese dai mille impegni quotidiani, per sensibilizzarle rispetto alle condizioni di povertà che ci sono nel mondo. Nei nostri racconti vogliamo infatti mettere in luce le realtà locali e i loro progetti, e non tanto i luoghi stupendi che abbiamo la fortuna di vedere».

In che modo le persone possono partecipare e sostenere il vostro progetto?

«Il blog intende suscitare l’interesse di persone lontane mille miglia l’una dall’altra. E quando le persone saranno abbastanza coinvolte, allora sentiranno automaticamente il bisogno di fare qualcosa di concreto insieme a noi e di contribuire anche con una piccola somma di denaro. L’intenzione è di utilizzare questi soldi per acquistare giocattoli, libri, pennarelli, quaderni, materiale da costruzione, dolci, e tanto altro destinato ai progetti a cui partecipiamo. Ti raccontiamo una stravagante raccolta fondi che abbiamo testato ad Amritsar. Dopo innumerevoli richieste di selfie ricevute in ogni stato dell’India, abbiamo deciso di trasformare questa “richiesta” in qualcosa di buono e così, un giorno, ci siamo sedute su una panchina con un cartello con scritto “Selfie 10 Rs” e dopo 5 minuti eravamo circondate da una calca di gente disposta a pagare per un selfie e a contribuire al nostro progetto. Con tutti i soldi raccolti abbiamo poi comprato due palle da calcio per la scuola in Himachal Pradesh. A parte la forma di partecipazione economica, per noi è importante soprattutto che le persone ci aiutino a diffondere le realtà locali e i loro progetti».

volontariato nel mondo

Avete vissuto esperienze incredibili, a volte divertenti altre emozionanti, come voi stesse raccontate. Quali sono state quelle che vi hanno colpito maggiormente?

«Un’esperienza sicuramente divertente è stata quella dei selfie, ma ce ne sono state tante altre come: la caduta di Claudia scendendo al volo da uno dei treni di Mumbai, oppure le pulci attaccate a Jessica per 20 giorni in Romania. Una delle più grandi emozioni, e anche una delle più recenti, ce l’hanno regalata i bambini ogni volta che varcavamo il cancello della scuola per iniziare l’attività sportiva».

Siete amiche fin dal 2014, quando vi siete conosciute su un campo di calcio. Avreste mai intrapreso questa esperienza da sole? Insieme è più facile?

«Sicuramente era il sogno di entrambe ed è stato più facile realizzarlo insieme».

Come è cambiata la vostra vita da quando siete diventate inVOLOntarie?

«La nostra vita è stata sicuramente stravolta, non abbiamo una fissa dimora, la mattina non dobbiamo perdere tempo a scegliere i vestiti e ogni giorno possiamo decidere cosa fare. E abbiamo tutta un’altra concezione del denaro, fatichiamo a spendere più di 1,50 euro per pranzare. Sarà dura tornare alle origini».

Una volta terminato il progetto dei 351 giorni, quali sono i vostri programmi per il futuro?

«Il nostro sogno è creare una comunità di persone che vivono insieme in modo eco-sostenibile e che sia anche un punto di riferimento per persone che hanno difficoltà a integrarsi nella società. Stiamo ancora decidendo il campo sociale in cui vorremmo impegnarci, perché sono veramente tante le cose buone che si potrebbero fare, ma siamo molte propense per il campo della disabilità».

Per contattare Jessica e Claudia questo il loro indirizzo e-mail:

involontarie@gmail.com.

Potete seguirle sul loro blog InVOLOntarie, www.involontarie.it, o sulla pagina Facebook https://www.facebook.com/inVOLOntarie.