La storia di Dario Colombo, ex giornalista sportivo

Alessandro Luongo

Sogna di tornare in Trentino a dedicarsi ai suoi hobby: il collezionismo di reperti e i soldatini asburgici (con resine e colori acrilici e olio); e, soprattutto, scrivere libri di storia. Dario Colombo, 61 anni, nato a Sesto San Giovanni (Milano), ma di origini trentine, vanta una carriera di giornalista sportivo ormai non più replicabile nel terzo millennio. Trent’anni da inviato e di successi, sudati e meritati. La passione e la dedizione gli hanno cambiato la vita subito dopo il liceo classico a Monza.

“Avevo già fondato il giornale della scuola e collaboravo con il settimanale Luce sestese, una rivista seria e autorevole. Un giorno del 1973, però, mi chiama il direttore della ‘Bibbia’ del basket: I giganti del basket, e mi piazza a sistemare le diapositive”. La prima svolta per Colombo arriva l’anno dopo. Si viene a scoprire che un gruppo d’investitori statunitensi decide di lanciare in Europa un campionato professionistico analogo alla Nba e che anzi aveva già programmato quattro partite a Monaco di Baviera. “Scelta non casuale perché quella era la sede internazionale della federazione del Basket; insomma, significava portare il nemico in casa”. In redazione si guardano tutti attorno alla ricerca di un possibile inviato che conoscesse l’inglese e fosse in grado di scattare le foto. La scelta cade su Dario, che sale in treno entusiasta. La trasferta è un successo: il neofita torna in Italia con interviste e splendide foto. Risultato: dieci pagine di servizio strillato in copertina. “Finalmente mi promuovono redattore a tempo pieno”. Ma il secondo grande cambiamento si realizza in breve.

Dario Colombo Giornalista sportivo

Pochi mesi dopo il direttore lo spedisce a Los Angeles a caccia di buoni servizi. “Ero ospite all’Università di Long Beach e un giorno decido di fare un salto alla sede dei Los Angeles Lakers”. Pochi giorni prima la squadra in questione aveva difatti acquistato un famoso campione che si era convertito al musulmanesimo e che non rilasciava interviste da sette anni: “Jabbar”. Il giorno prima del suo rientro in Italia Dario riceve la chiamata che gli stravolge la vita. Si ritrova di colpo con colleghi del New York Times e della rete Nbc al cospetto di un gigante di 2 metri e 17 che appare da una tenda con un caffetano bianco, testa afro e occhialini. Il pranzo-intervista è un altro grande successo corredato da foto e registrazione della chiacchierata. Di qui inizia una carriera bellissima. A 28 anni Colombo diventa direttore della testata di cui sfogliava le foto ai tempi del liceo sotto il banco di scuola; inizia a scrivere libri sul basket e recensioni sul Giorno di Gianni Brera. Nel 1995 conduce in diretta ogni sera “Radio Sport” in qualità di direttore di RadioRai1, con ospiti dello spettacolo e dello sport in studio. E’ anche fra i fondatori della radio del Sole 24 ore. “Un giorno vado a una conferenza stampa e tutti mi fanno i complimenti per aver appreso la notizia sulla Gazzetta dello Sport: sei il nuovo direttore di Telepiù (attuale Sky), mi dicono. Non ne sapevo nulla, ma in breve (1996) sostituisco Aldo Biscardi.

Lancio la programmazione con nomi nuovi tuttora in auge”. Due anni dopo l’amara sorpresa. In vacanza a Mikonos Dario scopre di essere stato sostituito da un direttore con forti raccomandazioni politiche. “Il mio avvocato mi consiglia di fare causa e vinciamo. La sentenza sarà destinata a fare storia perché lo stesso Enrico Mentana se ne giova per vincere la causa contro Mediaset che l’aveva spodestato”. Una piccola grande soddisfazione personale. Dario continua a racimolare gratificazioni professionali. Per tre anni segue la Formula 1 da responsabile comunicazione della Ferrero (che lo assume a Torino nel 2005), e finalmente nel 2007 apre la sua agenzia di comunicazione a Milano, destinata a essere guidata dalla figlia fra qualche anno. Una vita di grandi sfide e cambiamenti. “Le maggiori difficoltà sono state l’affrontare mondi diversi l’uno dall’altro, passare dalla carta stampata alla televisione e avere a che fare con colleghi che si sentivano dei divi affermati. D’altra parte volare negli Usa a 20 anni è stato per me come sbarcare sulla luna”.

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