Carlo: viaggiare per il mondo facendo volontariato mi ha insegnato tanto

A cura di Maricla Pannocchia

Dopo una diagnosi di cancro a 16 anni, Carlo ha capito di dover vivere la vita in una maniera che lo rendeva felice. Ma cos’era ciò che gli avrebbe permesso di esserlo davvero? La risposta è nel viaggio. Carlo ha vissuto numerose esperienze di viaggio, inclusa la “classica” esperienza da backpackers nel sud-est asiatico, usando spesso il volontariato non solo per aiutare gli altri ma anche per risparmiare su vitto e alloggio. “Bisogna avere dell’inventiva.

Adesso, per finanziare i miei viaggi, ho un’entrata fissa di 200 Euro il mese che viene dall’affitto della mia casa in Italia, insegno italiano online, scrivo articoli per altri e, quando si presenta l’opportunità, la mia compagna ed io facciamo spettacoli o vendiamo cibo e oggettini per le strade.” Fra tutte le esperienze di Carlo, è degna di nota quella che lo ha visto ricoprire il ruolo di osservatore per i diritti umani presso una comunità zapatista in Messico, per conto della ONG Frayba.

A chi sogna di viaggiare e fare volontariato, Carlo consiglia di lasciare a casa pregiudizi e comodità, perché, come ha detto un suo caro amico, il volontariato può essere scomodo e metterti davanti alla sofferenza umana, ma è “necessario”.

Carlo De Pascalis

Ciao Carlo, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…

Sono un ragazzo come tanti, un sognatore a tempo pieno.

Vengo da Cutrofiano, un piccolo paese della provincia di Lecce, nel cuore del Salento, ma ho vissuto una parte della mia vita in Spagna e in Inghilterra, regalandomi nel tempo tantissimi viaggi zaino in spalla e in sella alla mia Vespa, girovagando per la bella Europa.

Prima d’intraprendere questa mia nuova “avventura” in America Latina avevo già assaporato il piacere dei lunghi viaggi, passando un anno da backpacker tra Medio Oriente e sud -est asiatico. Il classico biglietto di sola andata, un viaggio interrotto a causa di questioni famigliari e dell’avvento del Covid-19, che mi ha “costretto” a passare 5 mesi in Laos, bloccato dalla chiusura delle frontiere.

Cosa ti ha spinto a lasciare l’Italia?

Credo che ognuno abbia una strada da seguire nella vita, io forse ho scelto d’intraprendere quella più lunga, a causa della mia curiosità e del voler essere felice.

A 16 anni mi è stato diagnosticato un tumore al sangue, che mi ha costretto a passare circa 4 mesi in ospedale tra chemioterapia, spergiuri e preghiere di mia madre. Quando mi sono ripreso, ho cercato di capire cosa mi rendesse veramente felice… il viaggio è stato la risposta.

Adoro l’Italia, sia chiaro. Per un periodo di 2 anni ho avuto una partesi di vita meravigliosa proprio nella città dove sono nato, un lavoro fantastico come educatore professionale in un centro psichiatrico a due passi da casa, gli amici di una vita sempre pronti per una passeggiata al mare e, ovviamente, la mia famiglia.

Purtroppo la felicità statica non mi appartiene e l’idea di rimanerci in qualche modo imprigionato m’impedisce di restare nello stesso luogo troppo a lungo.

Come hanno reagito amici, parenti e conoscenti davanti alla tua scelta?

Se lo aspettavano tutti che sarei ripartito ma non avevano idea di dove sarei andato o per quanto tempo sarei rimasto fuori.

Cosa ricordi della notte prima della partenza?

L’ho passata in un bus notturno per raggiungere Roma e prendere l’aereo. Ricordo che il finestrino era gelato e faceva freddo. Era il 4 Gennaio del 2022.

Hai vissuto per un po’ in Messico, entrando in contatto con una comunità preclusa ai più. Cosa ci racconti di questo progetto?

Prima di arrivare in Messico non avevo idea di cosa fosse una Comunità Zapatista, tantomeno conoscevo l’ONG Frayba, che si occupa del progetto di volontariato e, ancor meno, la realtà degli indigeni del Chiapas.

A parlarmene per prima è stata la mia attuale compagna, conosciuta proprio in Messico durante questo lungo viaggio. Di fatto è stata lei a propormi di approfondire l’argomento, fino ad arrivare alla partecipazione attiva all’interno del progetto Brico (Brigate di Osservazione Civile) del Frayba.

Le Brigate di Osservatone Civile sono composte da volontari nazionali e internazionali inviati all’interno delle comunità indigene a rischio, con la funzione di denunciare le violazioni di diritti umani a cui sono sottoposti gli abitanti, da parte di uomini appartenenti a gruppi e sottogruppi di diversa ideologia politica.

La maggiore funzione dei volontari, oltre alla pura osservazione e denuncia per mano del Frayba, è quella presenziale: la sola presenza di persone estranee alla comunità rende queste ultime più “sicure” e gli invasori (nome con cui di solito vengono etichettati gli antagonisti della comunità) meno violenti.

Il fine degli “invasori” è cacciare via le famiglie indigene che qui vivono da anni per poter vendere liberamente questo enorme pezzo di terra. Si parla di oltre 180 ettari.

Quali lezioni hai imparato, vivendo con questa comunità?

Ho imparato che non tutto può essere compreso in questo mondo, ma per il bene comune, alle volte, può essere comunque perdonato.

Ho rivalutato il concetto di resistenza e quello di libertà, sentendo come le due cose siano legate in modo indissolubile in determinate realtà.

Ho scoperto che la pazienza può essere infinita, se giustamente alimentata.

Ho imparato che gli antichi rituali Maya ancora vivono tra queste terre.

La lista sarebbe troppo lunga per continuare.

Come sei stato accolto dalle persone della comunità?

Gli abitanti della piccola comunità sono abituati a ricevere volontari internazionali, visto che la situazione di pericolo va avanti da anni ormai e le Brigate di Osservazione, fino ad oggi, non si erano mai fermate inviando costantemente un gruppo di osservatori ogni 15 giorni, dando il cambio a quello precedente, in modo tale da non lasciare mai sola la comunità.

Cosa puoi raccontarci della loro vita quotidiana?

Sono grandi lavoratori, tutti, dal primo all’ultimo, dal ragazzino fino all’anziana del villaggio.

Principalmente sono contadini, la loro vita si basa sull’agricoltura ma, a causa della situazione attuale, hanno perso gran parte della loro terra, dovendosi di fatto reinventare per sopravvivere.

Al momento nella comunità si lavora il legno in una piccola falegnameria oppure ci si dedica al pascolo del bestiame rimasto nei territori ancora “liberi” dal filo spinato montato dagli invasori.

Le giornate scorrono in maniera lenta.

La situazione di pericolo è tangibile, come le minacce e le azioni degli invasori che giornalmente allargano il loro territorio a suon di filo spinato montato a ridosso delle piccole abitazioni di legno delle famiglie zapatiste.

Com’era, invece, la vita quotidiana tua e degli altri volontari?

Eravamo in 5 in totale, un ragazzo e una ragazza tedeschi, un franco-argentino, la mia attuale compagna portoghese ed io.

La giornata iniziava presto, alle 6 del mattino cominciava il primo turno di osservazione: con il binocolo si osservano le azioni degli invasori annotando tutti i dettagli per il report finale da consegnare al Frayba.

Essendo in 5 ci siamo divisi in turni per poter mandare avanti il lavoro in maniera semplice e produttiva.

Oltre all’osservazione bisognava organizzarsi per vivere in modo del tutto differente da come si è abituati. Ad esempio bollire pentole d’acqua tutto il giorno era la norma, per renderla potabile e non rischiare di ammalarsi fin dal primo giorno.

Nonostante tutto, avevamo molto tempo a nostra disposizione per interagire con gli abitanti del villaggio, giocare con i pochi bambini presenti e trascorrere le giornate in un modo nuovo, difficile da spiegare ma facile da vivere.

Che consigli daresti a chi vorrebbe fare la tua stessa esperienza (o una simile)?

Consiglierei di lasciare a casa i propri giudizi insieme a ogni forma di comodità, arrivare come un secchio vuoto in modo di tornare a casa pieno di nuove e differenti energie.

Hai dei suggerimenti, anche pratici, per chi sogna di viaggiare low-cost?

Il mio blog, come tanti altri, ne è pieno!

Nonostante tutto mi sento di suggerire di non pensare troppo al futuro e di pianificare il viaggio giorno per giorno in modo tale da non avere una prospettiva di spesa economica troppo grande, che spesso alla fin fine ne limita il pensiero.

Come ti mantieni?

Ho provato un po’ di tutto e continuo a farlo.

Di fondo ho una piccola entrata di 200 euro al mese dovuta all’affitto di casa ma non mi fermo solo a questo.

Usando spesso il volontariato, oltre all’arricchimento personale, risparmio su vitto e alloggio, direi che non è poco.

Attualmente insegno italiano su una piattaforma online, scrivo articoli per terzi e li rivendo su una piattaforma web e partecipo a programmi di affiliazione attraverso il mio blog personale.

Se ho bisogno di maggiori entrate e il posto lo concede, non mi faccio problemi a montare piccoli business per strada: spettacoli di giocoleria con il Diablo, vendita di origami ai passanti oppure la vendita di cibo.

In Messico, insieme alla mia compagna, vendevamo arancini siciliani sulla strada principale di San Cristobal de Las Casas, con una cesta colorata e un sorriso a 360 gradi.

Durante il mio attuale viaggio ho provato addirittura a noleggiare online il mio vecchio camper (un mansardato dell’84 completamente ristrutturato da me), che funge da casa mobile durante i miei rientri in Italia… purtroppo, dopo appena mezz’ora, il noleggiatore è andato a finire contro un muro. Sfiga a parte, l’idea era buona.

Bisogna avere inventiva e provarle un po’ tutte!

Hai già vissuto altre esperienze di volontariato, ti va di parlarcene?

In questo viaggio, oltre all’esperienza nella comunità indigena, ho partecipato a vari progetti legati al mondo della migrazione, dagli stati più poveri del Centro/Sud America fino agli USA.

Ho lavorato un mese in un albergo per migranti in Messico, 1 mese in Guatemala e 2 mesi a Panama. Ho scoperto realtà spesso strazianti che mi fanno rivalutare giorno per giorno la fortuna che molta gente non si rende conto nemmeno di avere.

Prima di questo viaggio conoscevo già il mondo del volontariato, per molto tempo ho collaborato con la Croce Rossa Spagnola attraverso programmi legati al mio percorso universitario, senza contare un anno di Servizio Civile Internazionale passato nel centro gitano nella città di Siviglia.

Quelli sopracitati sono stati volontariati molto sentiti, che mi hanno fatto crescere come persona, portandomi a una consapevolezza maggiore.

Non nascondo che alle volte ho partecipato a programmi di volontariato con il solo obiettivo di risparmiare sui viaggi a lungo termine. Ho lavorato in ostello a Gerusalemme, in un centro sociale ad Amman e in un Safari Tour a Jaisalmer.

Suggeriresti ad altre persone di fare volontariato? Perché?

Rimarco le parole di un vecchio educatore conosciuto a Siviglia: “Fare volontariato non è sempre piacevole, il più delle volte si andrà incontro a situazioni difficili da sopportare, le condizioni saranno estreme e ci si chiederà se ne vale veramente la pena”.

Il mio vecchio amico diceva sempre che bisogna fare volontariato perché è necessario, mai bello, mai facile, mai ripagante, semplicemente necessario.

Oltretutto fare volontariato internazionale ti apre al mondo in una maniera differente, ti offre una totale immersione nella cultura ospitante, difficilmente reperibile altrove.

Dove ti trovi adesso e che cosa stai facendo?

Adesso sono in Colombia, mi sto prendendo del tempo per esplorare un po’ questo Paese, senza fretta e senza troppi piani.

Hai scritto un libro “Diario di un gringo zapatista”, cosa puoi raccontarci al riguardo?

Il libro nasce dalla voglia di far conoscere questa realtà in un modo semplice, sotto forma di diario, appunto.

Racconto la quotidianità di questa comunità indigena, con i suoi usi e costumi, messi a dura prova dalla situazione attuale in cui si trova.

Riporto le parole degli abitanti per filo e per segno, in modo tale da far vivere al lettore questa storia in prima persona, come se potesse in qualche modo trovarsi lì per davvero.

La mia storia personale s’intreccia con quelle degli abitanti della comunità e dei miei compagni di avventura in modo del tutto naturale.

Le loro paure diventano le mie e viceversa in un mondo al contrario, dove nessuno vince ma tutti hanno l’obbligo di resistere.

All’interno delle pagine i rituali Maya diventano concreti e le pratiche zapatiste vengono spiegate in maniera diretta, senza veli, cercando di entrare nel dettaglio della storia dei suoi protagonisti.

Il concetto di “zapatismo”, così come quello di “gringo”, diventano chiari sin dall’inizio, portando alla luce contraddizioni e problemi costanti di una comunità a rischio di sfratto.

Parte del mio compito, come osservatore dei diritti umani durante tutto il progetto di volontariato, era quello di denunciare cosa stesse accadendo in questo angolo di mondo, nascosto tra le verdi montagne del Chiapas, e questo diario altro non è che la continuazione di questa denuncia, affinché questa storia non venga ignorata.

Pensi che, un giorno, ti fermerai o vorresti continuare a viaggiare “per sempre”?

Viaggerò fino a quando questo mi renderà felice, non mi pongo mai dei limiti. Mi fermerò quando ne sentirò il bisogno.

Progetti per il futuro?

Non ne ho idea, prendo quello che capita vivendo appieno il presente, ma dopo più di un anno in viaggio tra qualche mese tornerò a casa per un po’.

Vivere sempre in viaggio ha i suoi pro e i suoi contro, ho perso tappe importanti della mia famiglia, le mie nipotine in primis. Ognuno sceglie il suo percorso di vita e in qualche modo ne è responsabile.

Ci sono nuovi arrivi in famiglia e vorrei essere presente.

Per seguire e contattare Carlo:

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