“Scappo via”: la guida pratica
Hai deciso di fuggire dall’Italia? Una mano te la dà “Scappo via”, libro del sessantenne giornalista napoletano Attilio Wanderlingh, pubblicato da Intra Moenia (Napoli).
Una guida pratica e utile ai paradisi esotici, dove vivere alla grande con meno di mille euro il mese. L’autore offre consigli per organizzare la propria fuga, lavorare e investire ai tropici. Non solo, segnala itinerari turistici per tutte le tasche, case in affitto con piscina a 250 euro e in località da sogno: Capo Verde, Marocco, Egitto, Thainlandia, Tunisia, Kenya, India, Cuba, Messico, Brasile, Costa Rica, Mauritius, Santo Domingo ed altre ancora.
Un’idea, quella di Wanderlingh, sorta dal fenomeno della “fuga flessibile”, sempre più diffuso in Italia e in buona parte d’Europa. Il libro è, infatti, il risultato di viaggi ed esperienze soprattutto in Paesi tropicali.
Da circa cinque anni il giornalista, che è anche editore, ha messo in pratica questa filosofia d’esistenza lontano dallo stress delle città, scegliendo di vivere in Kenya durante i sei mesi dell’autunno/inverno e sulla costiera amalfitana durante la primavera/estate. Questa sorta di pendolarità gli ha anche confermato che per molti mestieri la presenza fisica “in ufficio” diventa sempre più marginale, mentre internet e il computer consentono una presenza “giornaliera” nella guida di un’impresa o di una società. In Kenya vive con la moglie in una villetta sulla spiaggia nei pressi della cittadina di Malindi. Perché la scelta è caduta su questo Paese africano? “Il Kenya – risponde- ha una particolarità sociale che cattura chi ci vive e poi perché volevo essere d’aiuto alla popolazione locale”.
Ma torniamo al libro. “Il turista – scrive- comincia a diventare residente. La scelta di una nuova dimensione prevale sulla superficiale curiosità. Insomma si cambia casa, nazione, luogo di vita, abitudini per sempre o per qualche mese l’anno. Spendendo molto meno che in patria e vivendo molto meglio. E’, appunto, la fuga flessibile, alla portata di tutti i portafogli. A patto naturalmente di recidere qualche ponte e armarsi del necessario coraggio”.
Chi oggi lascia il Belpaese? Scorrendo le pagine del libro, sembra siano soprattutto i pensionati, “per quattro fondamentali motivi- aggiunge lo scrittore- Perché solo la pensione ti assicura un introito, ancorché minimo, per affrontare con ragionevole stabilità il radicamento in lidi lontani. Perché il pensionato ha meno legami da recidere. Perché i figli oramai grandi tutto sommato ti assicurano una ciambella di salvataggio in caso di un pentito ritorno. E poi perché un piede qua e un piede là ti consentono persino una fuga part time, inverno ai tropici e primavera in Italia”.
Ma il trend sta interessando anche i giovani delusi dalla propria terra. Il lavoro in Italia sempre più precario, pensano i ragazzi, si può svolgere anche all’estero, vivendo in modo meno caro. Non è tutto. “Aumentano i single- si legge ancora in Scappo via– che hanno maggiore libertà psicologica e materiale nello scegliere il posto in cui vivere. Oggi, poi, non solo nell’alveo della sinistra, ma in molti altri ambienti, l’asfissia politica, l’impossibilità di partecipazione, il disgusto per il carrierismo e la corruzione finiscono per spingere molti a cercare altrove le radici di più profondi valori”.
Qualche numero?
Nel solo 2005, sottolinea Wanderlingh, sono stati circa 19 mila gli immobili residenziali acquistati dagli italiani oltre frontiera, con un incremento dell’80 per cento rispetto ai dati di un decennio prima. E negli ultimi anni, dal 2006 ad oggi, la tendenza si conferma con una media d’incremento dal 10 al 15 per cento”.
A sentire l’autore, ci sarebbero molti giovani imprenditori coinvolti dalla fuga flessibile nel campo dell’edilizia, della ristorazione, dei servizi turistici. Questi ultimi ritengono inutile la permanenza all’estero durante la “stagione morta” che, fra l’altro, spesso coincide con l’epoca delle grandi piogge o comunque del maltempo. “Molti- aggiunge- poi, acquistano la casa all’estero e per alcuni mesi l’anno la utilizzano personalmente, per altri mesi l’affittano ad altri conoscenti o la danno in gestione alle numerose agenzie locali che svolgono questo ruolo. Altri ancora non acquistano una casa, ma optano per un affitto temporaneo, che spesso costa solo 250/300 euro il mese, ritornando a trascorrere l’estate in Italia. E’ proprio questa ‘flessibilità’ che ha moltiplicato le ‘fughe’ all’estero, perché questa soluzione appare non come un’ultima spiaggia (come lo era per i nostri vecchi emigranti), ma come un’opportunità per entrare e uscire”. In linea generale è possibile ipotizzare che la metà dei nuovi residenti all’estero appartenga a questa categoria “flessibile”.
Ma come individuare i posti giusti?
Intanto come sostengono numerosi psicologi un felice cambiamento non è la distruzione della propria vita precedente, ma un’evoluzione che salva il salvabile e migliora il migliorabile.
Quindi cambiare fa sempre bene!
Sì. E poi la preparazione alla scelta di una fuga felice presuppone alcune condizioni. Innanzitutto la conoscenza del luogo, dove andare. Poi si deve pensare alle proprie possibilità economiche, ai propri gusti climatici, alla capacità di adattarsi alla gastronomia locale, persino al proprio stato di salute. E a proposito di salute sfato alcuni miti. E cioè che in Africa o in America latina l’assistenza sanitaria sia da terzo mondo. Mancheranno le attrezzature tecnico scientifiche, ma nella rete di ospedali pubblici e cliniche private lavorano medici di provata esperienza e capacità.
Ma gli italiani fuggono con animo diverso da altri?
Gli italiani di ceto medio non hanno molta esperienza di fuga all’estero. Per un motivo molto semplice: non hanno grande tradizione coloniale alle spalle e gli unici a partire nel passato erano i ceti meno abbienti “costretti” alla scelta dell’emigrazione. Gli inglesi, i francesi, gli statunitensi hanno nel loro DNA la consuetudine di una mobilità verso le colonie anche da parte dei ceti medio – alti. Molti ex possedimenti esotici di queste nazioni sono ancora molto frequentati da questi nostri amici europei che – diciamocelo – non hanno mai smesso di considerare alcuni territori come loro terre d’oltremare.
E poi?
Gli italiani sono nuovi a questi fenomeni e solo dagli anni ’80 stanno creando delle “enclave” di loro esclusiva presenza. Nella cittadina di Malindi in Kenya gli italiani “dominano” con cinquemila presenze che corrispondono al 15 per cento della popolazione totale e al 60 per cento delle attività produttive. In Repubblica Dominicana gli italiani hanno colonizzato molte località della costa e dominano nel campo immobiliare. In Tunisia negli anni ’30 gli italiani erano oltre centomila. Poi si sono ridotti a solo tremila nel 1970. Da pochi anni lungo la costa c’è un “ritorno” massiccio di residenti o semiresidenti. Il fenomeno è destinato a crescere e ad investire non solo i pensionati, ma sempre di più anche i giovani. La filosofia che muove alla fuga? ‘”Tra trovare un lavoro precario in patria e cercare un lavoro precario all’estero, scelgo la seconda ipotesi e almeno mi godo il sole dei tropici”.
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E quindi?
E’ facile prevedere non solo un aumento del fenomeno, ma anche una sua “giovanilizzazione”, man mano che aumenteranno le difficoltà di inserimento economico in patria.
Ci sono lati oscuri in questo fenomeno?
C’è in questo fenomeno un aspetto positivo, dato dalla nuova consapevolezza che la vita va vissuta con pienezza e creatività. E questo lo pensano sia i giovani sia i sessantenni, che fino a pochi anni fa sembravano relegati in Italia ad un destino di “ospizio dei poveri”. Ma c’è anche qualche lato negativo.
Quale?
Molte coste dei Paesi esotici stanno conoscendo un destino di cementificazione uguale a quello che si è registrato negli anni ’60 e ’70 sui nostri litorali. Imprenditori senza gusto e scrupoli competono tra loro ad “offrire” a basso costo appartamentini e villette ad un mercato europeo, senza curarsi dei danni ambientali che producono. L’altro problema è rappresentato dal fatto che spesso all’estero la comunità italiana tende a fare vita chiusa in se stessa, nei suoi circoli e nelle sue frequentazioni da “comitiva”. Il significato della “fuga” va invece ricercato nella scelta opposta: intrecciare un rapporto con la popolazione del nuovo luogo che si sceglie e, soprattutto, cercare di rendersi utile con tante possibili forme di aiuto e solidarietà.
Intervista a cura di Cinzia Ficco
Attilio Wanderlingh, napoletano, sessantenne, giornalista professionista, da molti anni si è dedicato all’editoria. Ha fondato il “Caffè letterario Intra Moenia” e la casa editrice che porta lo stesso nome. La sigla Intra Moenia, e cioè “dentro le mura” deriva dal fatto che le due realtà – il caffè letterario e la casa editrice – sono ubicate nel cuore del centro antico di Napoli, a ridosso di una murazione greco-romana che segnava l’ingresso della città. Il Caffè letterario è da anni un importante centro di aggregazione per le iniziative di valorizzazione del centro storico; le “edizioni Intra Moenia” hanno all’attivo numerose pubblicazioni di prestigio tra le quali la “Storia fotografica d’Italia” in 5 grandi volumi e la “Storia fotografica di Roma” in 8 volumi. Wanderlingh è anche autore di numerose pubblicazioni tra cui quest’ultimo “Scappo via”,una pubblicazione apparentemente commerciale e provocatoria, ma in realtà densa di ragionamenti e utili indicazioni. Il libro è frutto di numerosi viaggi e esperienze in paesi prevalentemente tropicali.