Vivere in bicicletta: la filosofia della pedalata

Innumerevoli volte, salendo in sella, le negatività di parole, pensieri e sentimenti  pretende di mettersi in sella con noi. Poi, però, nel ciclista asceta, ecco che la pratica, l’esercizio e la disciplina, l’allenamento prendono a poco a poco il sopravvento.

Gradualmente, come per magia, la radiofonia negativa si attenua e la sintonia con se stessi cresce fino a raggiungere una estrema concentrazione,  vuota di interferenze esterne e piena di un sé intimo.

Allora smettiamo, anzi siamo solo il nostro respiro e l’aria che respiriamo, il nostro cuore e lo sforzo che dominiamo, il nostro sudore e il sole che lo fa scintillare, le nostre gambe che si piegano, i muscoli che si contraggono, le mani che impugnano, le caviglie che si flettono…”

Giovanni Gurisatti

Pedalare bicicletta

La bicicletta? Pericolosa, perché sovversiva e rivoluzionaria. Medium dell’essere e del poter essere altro da se stessi. Strumento della stasi e del movimento.  Della tranquillità e della fuga. Della resistenza e della lotta. Della creatività itinerante.  Della fatica e della spensieratezza.

Se  come affermava Aristotele “l’essere si  dice in molti modi” anche la bicicletta  si può declinare in tante sfumature  diverse. Basta leggere il bel libro: “Pedalo, dunque sono – pensieri e filosofia su due ruote, edito da Ediciclo e si capirà.

Nel testo, che raccoglie l’intervento di otto ciclisti filosofi, la bici rappresenta un mezzo  per leggere le piccole cose della quotidianità, ma anche per leggerci dentro, consentendoci di recuperare  un tempo lento e naturale.

Pedalando si possono sciogliere i problemi che ci assillano. Pedalando ascoltiamo solo il battito del nostro cuore, assaporiamo la strada, il vento, la fatica. Le due ruote sarebbero piaciute ad Epicuro. E sapete perché?  Sono l’unico mezzo per raggiungere la felicità, inseguendo il proprio demone.

Non solo. La bicicletta sarebbe  addirittura strumento di iniziazione e riscoperta degli spazi.

Pedalo, dunque sono bicicletta

“Andare in bici – si legge – col suo procedere vago e rigoroso al contempo, può originare senso, significati e relazioni vitali laddove l’automobile aveva prodotto distanze fini a se stesse, con conseguente desertificazione delle relazioni, perdita di biodiversità e nichilismo.

Muoversi in bicicletta può costituire un’autentica rifondazione, un nuovo inizio. Potremmo così tornare a osare, spingerci a conoscere e a scoprire le nostre città e i nostri territori con lo stesso trasporto erotico con il quale si conosce il corpo”.

Dunque,  le due ruote per ricostruire un nuovo rapporto tra se stessi e l’ambiente circostante.  “Il ciclista – è  scritto ancora-  potrebbe così traghettarci da una concezione  della mobilità intesa come terreno di scontro tra pubblico e privato a una mobilità pensata, vissuta e praticata come bene comune.

La bicicletta, infatti, con la sua giusta velocità, il suo minimo ingombro e la sua straordinaria efficienza energetica è l’unico strumento in grado di garantire il diritto alla mobilità senza compromettere i delicati equilibri di un sistema complesso  e, al contempo, senza svilire la naturale pulsione alla deriva, al detournement e al girovagare senza meta”.

Le due ruote diventano la soluzione per ridare potere politico alle nostre gambe e disintossicare le nostre città. E ancora prima, la nostra mente.

vivere il cambio

Pertanto, la bici espressione di ciò che siamo e di ciò che potremmo diventare.  Quindi del cambiamento.

Ma parliamone con Lorenzo Parolin, giornalista, che ha curato il libro e coordinato gli otto paragrafi, stesi da Carmine Abate, Silvano Bordignon, Mirco Corato, Nicola Corato, Giovanni Gurisatti, Chiara Moscarello, Alessandro Motta.

Filosofia della pedalata bicicletta

Come è nata l’idea di raccogliere interventi sull’arte di muoversi in bici?

È nata ricordando alcune lezioni tenute dal professor  Volpi, cui il libro è dedicato, nel corso del 2004. Si parlava, allora, di filosofia come pratica di vita e ci piaceva recuperare l’idea che pensiero e movimento corporeo potessero intrecciarsi.

Il titolo è molto espressivo: “Pedalo, dunque sono”. La pedalata come strumento per raggiungere la piena padronanza di sé, la “personalità” e arrivare alla felicità, per dirla con Goethe.  E’ così?

Sì, poi c’è l’idea del viaggio, che può essere metafora di mille cose, prima tra tutte, la stessa vita. La pedalata, inoltre, vale come contatto con la natura e invita al recupero dell’idea di filosofia come pratica esistenziale, alla quale abbiamo appena fatto cenno.

Sembra, leggendo il vostro libro, che la bicicletta sia l’unico mezzo per arrivare alla riappropriazione di se stessi. Sbaglio?

La bicicletta è un mezzo che, nello specifico, accomuna delle riflessioni sulle idee di pratica e felicità. La bicicletta è stato il filo conduttore di otto “variazioni sul tema”, ma, chiaramente, i mezzi per arrivare alla riappropriazione di sé sono infiniti purché, con una battuta, si eviti la propulsione a idrocarburi.

Nel libro c’è un paragrafo, intitolato Bicicletta rivoluzionaria. Lì si parla di ciclofficine popolari, dell’operazione Velib a Parigi e del Bicing a Barcellona, degli abbonamenti gratuiti di noleggio a Zurigo e Copenhaghen. Ma in Italia quanta sensibilità c’è nei confronti delle attività legate alle bici? Cosa potrebbe fare subito il Governo per farla crescere?

Non c’è molta sensibilità, ma sta crescendo. Facciamo un esempio: in sei anni, sul percorso tra Padova e Bassano del Grappa (circa 50 chilometri) siamo passati da nessun chilometro di pista ciclabile a oltre 25. È già qualcosa. Il Governo potrebbe lavorare sul piano culturale, promuovendo l’uso della bicicletta anche per la mobilità quotidiana.

L’aspetto interessante è che la mobilità dolce presenta costi relativamente contenuti e che spesso basta l’esempio per cambiare una mentalità troppo sbilanciata sull’automobile.

A proposito di ciclofficine, bicing, eccetera, che mercato c’è intorno alle due ruote?   E’ un settore redditizio? Ci vogliono competenze particolari?

Anche qui dobbiamo distinguere il mercato agonistico e la cara e vecchia officina ripara-tutto. Non girano grandi cifre, ma, ovviamente, non sono neppure necessari investimenti inverosimili. Considerate che mediamente una buona bicicletta da città costa sui 400-500 euro, un ventesimo di un’auto di media categoria. Per potenziare questo mercato basta incentivare l’uso della bicicletta.

Poi forature, tali da richiedere l’intervento di un meccanico, arriveranno da sé. Ovviamente, è sempre bene non improvvisarsi riparatori: non sembra, ma la bicicletta è un mezzo complesso.

Chi sta messo peggio dell’Italia quanto a cultura su due ruote?

Tra i Paesi ricchi europei, diciamo la Grecia, quelli dell’area balcanica, l’Est in generale. La situazione non è poi così tragica, anche se per ora Olanda, Danimarca e Germania restano su un altro pianeta. Sembra strano, ma parte dei miglioramenti sono dovuti alla crisi economica, che ha spinto un buon numero di cittadini a cercare hobby meno inquinanti ed economicamente più sostenibili. Su questo argomento, però, dovremmo risentirci tra cinque – sei anni.

Filosofia della pedalata bicicletta

Quale la regione in Italia in cui si va più a bici?

Per quanto ne sappiamo, anche per ragioni climatiche, si va meno in bicicletta nel Meridione, mentre le regioni più ciclistiche sono: Emilia-Romagna, Veneto e Toscana. Attenzione, però, a distinguere l’uso agonistico della bicicletta dall’uso quotidiano e dalla vera e propria mobilità ciclistica.

Quanto piace la bici al gentil sesso?

Piace ancora molto di più agli uomini, con una proporzione di 6 a 1. Era 10 a 1 fino a 15 anni fa. So, comunque, che gli utenti in genere, sono triplicati dal Duemila ad oggi. Si parla di due milioni di persone e, specie tra i giovani, c’è oggi anche chi sceglie la bicicletta come proprio mezzo di trasporto principale.

Forse si ignora il fatto che in passato le donne in bici erano considerate emancipate. In genere la bici è stata nella storia lo strumento del progresso, della liberta, dell’emancipazione. Leggi Resistenza.  E’ così?

In parte, nel senso che oggi è più il mezzo della Decrescita che del progresso tecnologico. In realtà a costi contenuti, la bicicletta consente di percorrere grandi distanze e, in città, di muoversi più velocemente che in automobile. Per questo – crediamo –la bici sa così tanto di libertà.

Mi traccia un bel percorso da fare in bici, in Italia e magari anche all’estero?

Parto dall’estero: direi la ciclopista del Danubio (rigorosamente con “Danubio” di Claudio Magris nello zaino), che è una specie di sintesi della cultura mitteleuropea. In Italia c’è solo l’imbarazzo della scelta, ma direi che le strade bianche e ricche di storia del Senese o i piccoli centri dell’Umbria sono difficilmente superabili. Poi, per i garretti più tonici, ci sono le Dolomiti. Uniche, nel tardo pomeriggio, verso il tramonto.

La bicicletta, un medium rivoluzionario: di se stessi, della propria vita, a partire dall’ambiente circostante.  La bici come sistema che spezza il pensiero ossessivo, ma che nello stesso tempo  regala sicurezza, grazie al suo andare ritmato, cadenzato. Giusto?

Sì: la novità della strada e del paesaggio, le certezze del movimento circolare. Probabilmente non sarebbe dispiaciuta a Nietzsche.

Si legge nel libro che oggi Epicuro amerebbe andare in bici. Perché?

Crediamo che il filosofo, in quanto tale, ami tutti i mezzi naturali e non troppo tecnologici. Tra i moderni, sappiamo che Bergson amava muoversi in bicicletta e tra i classici, crediamo, che la bicicletta non sarebbe dispiaciuta a Kant, se non altro per le sue implicazioni etiche. Poi, molto probabilmente, avrebbe incuriosito Hegel e Nietzsche per la circolarità dei suoi movimenti.

Personaggi famosi che amano andare in bici?

Tra i filosofi Massimo Cacciari e lo scomparso Franco Volpi. In politica c’era Romano Prodi, tra i cantanti Jovanotti, tra gli scienziati Margherita Hack e tra gli scrittori  tutti quelli di Ediciclo Editore. La compagnia per una buona biciclettata, insomma, non manca.

A cura di Cinzia Ficco