Incontro al quale sono intervenuti Stefano Caselli, prorettore all’internazionalizzazione, e Francesco Saita, direttore Graduate School, entrambi della stessa università milanese.

Enzo Riboni opportunità Lavorare all'estero

“Per un ateneo internazionale come il nostro favorire un percorso all’estero per i giovani o attirare gli stranieri in Italia è fondamentale” ha esordito Francesco Saita. Il prorettore, alla vigilia di un volo in Cina per stringere accordi di collaborazione con diverse università, ha commentato che “storie di giovani che fuggono all’estero vent’anni fa sarebbero suonate come scandalose o provocatorie. Invece oggi sono la normalità”.

Il luogo più adatto per parlare del lavoro oltre confine come fuga o opportunità sembra proprio la Bocconi. “Ottantuno delle cento storie che ho raccolto in questo volume sono difatti tratte da laureati in questa università nel periodo che attraversa la grande crisi: dal 2008 al settembre 2013” spiega Riboni. Che mostra alcuni dati interessanti, anche se non del tutto inediti. Ad esempio, l’emigrazione giovanile oltralpe nel 2012 segna un +30,2% rispetto al 2011 (dati Aire, anagrafe residenti all’estero). Cresce in particolare la fascia più giovane e più qualificata. E, spicca un dato rilevante sulle retribuzioni medie mensili (fonte Almalaurea). Un neolaureato in Italia guadagna circa 1054 euro; all’estero 1568 euro. Dopo cinque anni il divario è ancora maggiore. Lo stipendio vola a 2324 euro, in Italia sale solo fino a 1378 euro. E, soprattutto, la percentuale di lavoro stabile a un anno dalla laurea è maggiore all’estero: 48 per cento rispetto al 34 per cento dell’Italia. “Insomma”, commenta Riboni, “ magari in Europa fanno anche meno fatica a licenziare ma hanno anche politiche del lavoro più flessibili”. Esaminando invece dati aggregati Unesco e Ocse, si scopre che la percentuale di studenti stranieri è solo il 3,3 per cento del totale, mentre l’Ue spinge perché il totale salga almeno al 5-10 per cento.

Addio per sempre? Storie di giovani all'estero opportunità Lavorare all'estero

La maggior parte delle storie citate nel libro di Riboni riguarda le donne (55%), che arrivano alla laurea in numero maggiore dei maschi da un po’ di tempo a questa parte. E la maggior parte di loro sono del Nord Italia (52%). “Il messaggio che lanciamo da tempo sulle nostre pagine del Corriere è di essere intraprendenti e ottimisti”. Qualità che premiano. E’ il caso di un laureato in economia, ad esempio, che ha poi seguito un master e trovato lavoro in Italia. “Ma non era soddisfatto; ha così seguito un corso di sommelier e subito dopo è stato contattato da una grossa azienda; ora vende vini a New York ed è molto gratificato”. Riboni ha così elencato le motivazioni che spingono i nostri giovani connazionali fuori dal paese. Sono nell’ordine: facilità nel trovare occupazione; retribuzione; possibilità di stabilizzarsi e passare da un lavoro all’altro; meritocrazia e opportunità di carriera. Sulla retribuzione cita un altro esempio significativo. Un neolaureato alquanto brillante in ingegneria al Politecnico di Milano trova uno stage di sei mesi con stipendio di 1200 euro, possibilità di assunzione a tempo determinato l’anno successivo e a contratto indeterminato l’anno dopo. “Ma, essendo nativo digitale va immediatamente sul sito della multinazionale e scopre che a Parigi è aperta la stessa posizione al doppio di stipendio e con assunzione immediata”.

Retribuzioni più alte, dunque, che però hanno un risvolto della medaglia, come fa notare Stefano Caselli. “Stiamo parlando di paesi che hanno un Welfare diverso dal nostro, dove sei tutelato molto meno. Con quel salario più alto, cioè, ti devi pagare anche l’assistenza sanitaria e non solo”. Insomma, rileva il prorettore, “la meritocrazia è accentuata ma c’è qualche rischio in più da questo punto di vista”. Non tutto è perduto, comunque. Ci sono isole di eccellenza anche in Italia. “Da un lato” conclude Caselli, “ci sono imprese straordinarie che sanno stare sul mercato, e dall’altro un sistema educativo- formativo di tutto riguardo. Anzi, ci sono giovani che vanno a studiare all’estero in posti che sono molto meno ambiti dai top recruiter di tante università italiane”.

Di Alessandro Luongo