Per essere felici sul lavoro bisogna “fregarsene”

Il segreto per stare bene sul lavoro? Non è lavorare di meno, ma pensarci di meno. A dirlo è il filosofo Andrew Taggart sulla rivista statunitense Quartz. Secondo lo studioso, infatti, viviamo in un’epoca ossessionata dal “total work”, in cui il lavoro non solo occupa gran parte delle nostre giornate, ma influenza tutte le nostre attività.

E lo fa in maniera negativa. Per invertire questa rotta, Taggart ritiene che la soluzione migliore sia quella di attribuire al lavoro meno importanza. Attenzione però, non si tratta di disinteresse, «semplicemente – sostiene – in questo modo apriamo noi stessi ad altri aspetti della vita più importanti».

Il termine “total work” fu coniato per la prima volta dal filosofo tedesco Josef Pieper subito dopo la seconda guerra mondiale per descrivere il processo attraverso il quale gli esseri umani si trasformano in lavoratori e la totalità della vita è poi trasformata in opera. Il lavoro diventa totale quando tutta la vita umana, compreso il tempo libero, la festa e il gioco diventano subordinati ad esso. «Ma la cura del lavoro ci sta causando sofferenze inutili», continua il filosofo. Ecco perché propone di distaccarci dalla nostra concezione del lavoro. Ma soprattutto dall’idea del successo la cui lotta per la realizzazione a volte genera solitudine e sofferenza. «Una volta separati i concetti di felicità e successo, bisogna cercare altrove l’appagamento e la soddisfazione».

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Per diventare meno attratti e quindi meno ossessionati alle nozioni di successo bisogna, dunque, prestare molta attenzione a come le persone che occupano le posizioni di potere siano spesso sovraccaricate, scoraggiate da richieste infinite e ambizioni enormi. Di solito portano a una vita ben definita o ben ordinata, ma il costo del loro unico tentativo di successo – avverte Taggart – è la sofferenza insopportabile, la solitudine e la perdita di altre cose che meritano il loro interesse.

Una volta staccata la nozione di successo a quella di felicità, è necessario «trovare un altro soddisfacimento, anche senza necessariamente realizzare nulla. Ad esempio, potremmo scrivere un haiku (componimento poetico giapponese), camminare attraverso i boschi nello spirito di “shinrin-yoku” per trarre giovamento dell’atmosfera della foresta , o rimanere in una barca a remi in movimento. Potremmo immergerci in vasche sensoriali, o praticare la calligrafia. Per Taggart esercizi come questi «ci aiutano a ricordare perché siamo qui permettendoci di controllare le nostre preoccupazioni, le ansie, le irritazioni. «Preoccupandoci un po’ meno del lavoro, possiamo permetterci di vivere ciò che è veramente significativo», conclude.