Si tratta di Patrizia Figoli Turchetti, nata in Calabria, a Rossano in provincia di Cosenza, il 26 ottobre 1961.
“In età pre-scolare- racconta- la famiglia si e’ trasferita a Milano ed e’ lì che c’e’ stato il primo impatto con una nuova cultura. I miei genitori venivano da un piccolo centro, dove i rapporti sociali e i ruoli fra i due sessi erano ben diversi da quelli della grande città del nord. Perfino a livello culinario la differenza era molto marcata. Pensate che ho assaggiato per la prima volta il burro sul pane quando avevo vent’anni! Noi figli rappresentavamo il ponte fra le due culture e come i ponti dovevamo sopportare lo stress dello scambio in entrambe le direzioni. Queste sono le esperienze che ti formano fin dalla tenera età e ti spingono a vedere il posto in cui vivi con ‘sei occhi’. I due occhi prestati dalla cultura dei genitori, i due della cultura ospitante e i tuoi due occhi che devono mettere assieme e ricomporre la visuale in un qualcosa che abbia senso. Credo di condividere questa esperienza con tanti Italiani e credo sia alla base del successo degli Italiani ad adattarsi ovunque vadano”.
Perché e quando ha lasciato l’Italia? E come mai si trova in Texas?
Ho lasciato l’Italia per la Nigeria il 1 aprile 1992 (sembrava uno scherzo d’aprile, ma l’aereo l’ho preso per davvero) con una pupina di un mese e mezzo, per raggiungere mio marito che lavorava a Port Harcourt già da un anno e mezzo. Francesco, il principe azzurro con il cavallo bianco (che fosse un aereo e non un cavallo l’ho scoperto con un po’ di ritardo!), aveva cominciato a lavorare subito dopo l’università (dove ci eravamo conosciuti) per una società di servizi petroliferi. Prima della Nigeria aveva lavorato in Algeria, ma faceva avanti e indietro da Milano a mesi alterni. Lui andava e veniva e la mia vita altalenava fra il periodo da single e quello di vita di coppia. Sebbene fosse a tratti difficile, lo ricordo come un periodo felice, dove avevo tanto tempo da dedicare al lavoro. Avevo creato con un socio uno studio editoriale, Cartavolta, specializzato in testi scolastici che andava a gonfie vele (anzi gonfissime!). Grandi soddisfazioni professionali e personali e un “fidanzato” che appariva sulla scena ogni cinque settimane a coccolarmi e vezzeggiarmi. Che mi mancava? Nulla. A Francesco, invece, qualcosa mancava: un figlio, ed e’ per andargli incontro che mi sono poi ritrovata a girare il mondo con lui, lasciandomi alle spalle non solo Milano e la vita da single, ma anche la professione e la mia indipendenza economica. Un gran salto.
Non sarà stato facile adattarsi a cambiamenti continui con una bimba. Ma veniamo subito a Houston. E’ una bella città?
Non e’ una bella città, dal punto di vista architettonico, intendo, anche se non mancano aree che hanno un discreto fascino, come il distretto affaristico nel centro città, tutto grattacieli e sculture moderne, o il distretto storico delle Heights con le sue casette di legno dai vari stili. Davvero, e’ una questione di gusti e la grande Houston nella sua monumentale dimensione occupa un’area di 23mila kmq (Milano per fare un paragone ne occupa un decimo, circa 2300 chilometri quadrati), offre di tutto a tutti. Va detto che se nella Grande Milano si pigiano circa 7 milioni di persone, nella Grande Houston, quarta città degli Stati Uniti, ce ne vivono meno di sei, per cui spazio ce n’e’ in abbondanza.
E’ in espansione?
La crescita della città e’ in continua accelerazione. Infatti, non e’ un caso che Houston sia la prima città con il più alto tasso di nuovi impieghi. Per molti aspetti e’ una città dinamica e vivace, anche se la veloce crescita non le ha permesso di perdere alcuni tratti poco positivi del “paesello”. In questo caso mi riferisco ad altri aspetti della vita di città, da quello culturale alla scena gastronomica alla viabilità pubblica, alla morale da piccolo centro. Negli ultimi dieci anni, però, anche su questi fronti sono stati fatti tanti progressi. E’ la terza volta che torno a Houston, o meglio la Grande Houston intendo. Infatti le due volte precedenti vivevo in un comune satellite di Houston: Sugar Land.
Perché questo nome?
Sì, lo so, fa ridere, ma davvero producevano zucchero e facevano crescere la canna da zucchero da quelle parti tanto tempo fa. Sì e’ anche il comune da cui proviene la medaglia del mondo di pattinaggio artistico. Per fare un raffronto con Milano, e’ l’equivalente di Milano San Felice. La casa in cui vivevo, faceva parte di un condominio, dove tutto era predeterminato e uniforme. Le casette tutte uguali, i giardini esterni con le stesse piante (e da contratto condominiale doveva restare tale), nulla spiccava. Per trovare casa mia contavo le caselle di posta per sapere dove svoltare.
E gli abitanti?
Lo stesso valeva per la popolazione. Chi sceglie di vivere a Sugar Land appartiene ad una categoria ben precisa e scoprii piuttosto presto che dal canto mio avevo ben poco in comune con l’abitante medio di Sugar Land. Sembrava tutto finto. Immaginatevi che fra le spese del condominio c’era il colorante da mettere nel laghetto artificiale per farlo diventare blu. A Natale c’era l’obbligo di mettere le luci di decorazione in giardino e non vi annoio con la lista dei doveri del buon condomino, il libro aveva più di duemila pagine! All’epoca non avevo una grande dimestichezza con l’inglese ed era una buona scusa per non trovarsi impegolati in sessioni di pettegolezzo locale, lo sport quotidiano della zona. Lì, avevo la classica sensazione di essere un pesce fuor d’acqua.
Poi?
Al terzo tentativo, in parte perché le esigenze logistiche erano cambiate e non c’era l’esigenza di vivere a Sugar Land, ci siamo spostati verso il centro città e qui le persone erano più normali. Anzi, devo dire molto piacevoli. Finalmente gente la cui conoscenza si espandeva oltre i confini di Sugar Land e sapeva piazzare una o due capitali sul mappamondo, che avevano interessi, che superavano la palizzata del giardino di casa e con le quali e’ piacevole confrontarsi e scoprirsi su vari argomenti, simili e diversi a seconda dei casi. Il posto in cui vivo ora e’ decisamente piacevole, sono più vicina alla zona dei teatri e la scena gastronomica non e’ dominata solo dalle catene di ristoranti senz’anima e senza faccia. Si può piacevolmente approfittare di ristorantini a gestione familiare con tanto carattere e buon cibo. Anche la possibilità di approvvigionarsi di leccornie e prodotti freschi e’ migliorata enormemente.
In genere i texani come sono?
I texani sono gioiosi e cordiali, ma portano la pistola in macchina o addosso. I cow boys qui ci sono davvero. Durante il Rodeo in febbraio pensate che chiudono alcune strade principali della città per far passare carri, bestiame e cavalieri. Una scena davvero pazzesca vederli sulle autostrade a quattro corsie alla velocità mulo. Ecco Houston ha tanti contrasti. Una città moderna con il cuore del villaggio.
I lati negativi della vita lì?
Se non hai un lavoro, la vita e’ grama, più grama che essere poveri in Italia. I livelli di abbruttimento della vita sono tali per cui il crimine a Houston e’ elevato, alcune aree della città sono off limits e bisogna davvero fare attenzione a non agitarsi in macchina, perché si rischia di avere il pazzo davanti che tira fuori un fucile, invece di farti le corna. Il problema delle gang e’ reale e fa impressione leggere di assassinii commessi per “guadagnarsi” l’ingresso nella banda. Il tempo che si passa in automobile e’ un altro aspetto poco piacevole della vita houstoniana. Ogni giorno passo almeno due ore in macchina, e questo quando mi limito ad accompagnare mia figlia a scuola. Si superano le tre o quattro ore con una certa facilità, se si devono fare commissioni in giro per la città. La dimensione della città e la mancanza di trasporti pubblici fanno sì che siano tutti in vettura. Altro aspetto non trascurabile e’ il costo dell’assistenza sanitaria, astronomico.
Com’è il clima?
Per tre mesi l’anno, orribile, un caldo umido da far arrossire la Nigeria nella stagione delle piogge. Tifoni e uragani fanno parte del pane quotidiano nel periodo da giugno a settembre come da noi la nebbia e i temporali estivi. Per il resto dell’anno si sta bene. L’inverno e’ mite, ma con improvvise ghiacciate che durano al massimo due, tre giorni. Quello che non scompare mai sono gli insetti e, come dice il detto locale “Tutto in Texas e’ più grande”, e’ vero anche per zanzare, scarafaggi e ogni bestiola che si muove su più di quattro zampe.
E i servizi pubblici funzionano?
Come accennato, in parte è dovuto alla dimensione della zona urbana, in parte alla miopia dell’amministrazione, i trasporti pubblici sono perlopiù latitanti. Qualcosa si sta muovendo e qualche anno fa con grande fanfara hanno inaugurato il primo tram a Houston, che collega il centro medico al centro città per un totale di circa una ventina di chilometri. Dalle città’ satelliti ci sono grandi aree di parcheggio, dove si può’ lasciare la macchina e salire a bordo di autobus, che vanno nel centro città. Per il resto la copertura e’ davvero minima, anche se, date le alte temperature estive, gli orari pubblicati sono in genere attendibili, per cui non si passano ore in attesa di un mezzo che dovrebbe essere passato, ma non si vede.La più grande differenza con l’Italia?
La maniera in cui ci si frequenta, in cui si fa conoscenza, amicizia. Tanto, troppo diverso. Per chiarire meglio il concetto, riprendo un fatto che mi e’ capitato. La figlia di un collega e vicino di casa faceva il compleanno lo stesso giorno di mia figlia e i genitori ci propongono di celebrarlo assieme a loro. Quindi lo scenario, la classica festa di compleanno per bambini con giochi in giardino, torta decorata, genitori che ciondolano con birre in mano e costolette del barbecue. Ci siamo presentati alla festa, dove non conoscevamo nessuno e fatte le dovute presentazioni, la conversazione iniziava con le domande di rito: Dove abitate? (Premessa: a Sugar Land l’indirizzo identifica immediatamente e inequivocabilmente la fascia di reddito)? Che macchina guidi? Di quale chiesa fate parte? Altra premessa, le denominazioni religiose, da queste parti, sono numerosissime e alcune davvero originali. Si creano circoli religiosi così come si costituisce una società.
La chiesa, diceva, e’ il punto di contatto principale. E’ così?
Se fate parte del gruppo religioso sbagliato, la conversazione e’ condannata. Finito, non fate parte del circolo, arrivederci e grazie. Una volta, eravamo a Houston da poche settimane, non avevo ancora capito il meccanismo per cui ho cercato invece di fare conversazione all’italiana. Quindi facevo domande un po’ più personali e meno generiche o superficiali. Insomma, mostravo un interesse che non era la norma. Vi lascio immaginare il mio stupore quando da risposte monosillabiche e distratte, improvvisamente, la signora che avevo di fronte, ha cominciato a parlarmi delle cose più intime. Dalla conversazione fatua al confessionale o al lettino dello psicoterapeuta senza posizioni intermedie. E tutto perché cercavo di fare un po’ di conversazione all’italiana.
Altri aspetti negativi?
L’altra cosa difficile da digerire e’ che non coltivano affatto il sarcasmo e dell’autoironia, anzi. Una vera tragedia.
Ho letto che si definisce nomade globale. Cosa vuoi dire?
I nomadi tradizionalmente avevano rotte precise e ritmi che si ripetevano nello spazio e nel tempo, non e’ il caso della nostra famiglia. Per la natura del lavoro di mio marito non sappiamo ne’ quando ne’ dove ci potranno trasferire. Mi e’ capitato più volte in passato di aver un anticipo di ben sette giorni prima di sbaraccare con figlie e masserizie e partire per un altro stato o addirittura alla volta di un nuovo continente. Più nomade di così!
Gestisce un sito. Come le è venuta l’idea? E poi perché il nome Paguro?
Il nome Paguro viene dalla somiglianza fra il Paguro Bernardo e gli espatriati, tutti e due sono distribuiti in giro per il mondo, tutti e due crescono e devono cambiare “casa” di tanto in tanto e sono entrambi vulnerabili durante la transizione. E poi era un nome italiano e io cercavo per il sito un nome che non fosse inglese, perché il mondo dell’espatrio orbita un po’ attorno all’inglese (con le dovute eccezioni di spagnoli e francesi, che hanno sufficiente massa critica – i francesi hanno in più un forte supporto del governo – per avere comunque un network presente un po’ ovunque nel mondo). Il mio lavoro ruota intorno all’obiettivo di rendere ogni espatrio un successo, perché sono talmente tanti i benefici che si ricavano da un’esperienza simile, che e’ un peccato farli offuscare da problematiche che, se affrontate con il piede giusto, hanno sempre una soluzione. Con Paguro voglio offrire soluzioni ad aziende che intendono far partire all’estero i loro impiegati con la famiglia. La felicità della famiglia e’, nella gran parte dei casi, la chiave del successo di un espatrio.
Perché l’idea di un libro come VADO A VIVERE ALL’ESTERO? Ha registrato un aumento delle persone che decidono di mollare l’Italia? Quali sono i motivi più diffusi?
Ho cercato di pubblicare il libro nel 2001. Sembrava ci fosse l’interesse di una grossa casa editrice italiana, ma gli anni passavano e il progetto rimbalzava da una scrivania all’altra. Mai un no definitivo, ma nemmeno un si. Ho incontrato Mauro Morellini e mi ha subito detto si. Così, finalmente, il libro ha visto la luce del giorno. Ammetto che nel frattempo tante cose sono cambiate e l’Italia ha scoperto non solo l’estero, ma anche gli espatriati. Le stime più moderate parlano di quattro milioni, in realtà credo siano molti di più. Il successo del libro mi ha felicemente stupita. Fino a qualche anno fa l’idea che avevo degli Italiani era di una popolazione sedentaria, felice di essere dov’era. Negli ultimi cinque anni il cambiamento e’ stato drammatico, soprattutto fra giovani e giovanissimi. Adesso l’ansia e’ di non restare. La percezione quando torno in Italia e’ anche di un popolo meno allegro di quello che ricordavo, e consideri che parlo di Milano e non di città di mare con sole e spiagge.
Lo Stivale le fa una brutta impressione?
Quando arrivo in Italia ho la sensazione che i giovani stiano soffocando e si sentano spinti fuori confine come un nuotatore deve tornare in superficie per respirare. Triste, anche se l’Italia può solo guadagnarci dall’avere tante risorse sparse per il mondo, sempre che si renda conto di questo importante capitale umano. Per ora resiste la mentalità di “noi che restiamo” e “loro che vanno via” come se partire togliesse il valore e l’importanza di essere comunque cittadini italiani e di un atteggiamento conflittuale più che collaborativo. Spero cambi.
Chi viene a Houston?
La mia esperienza diretta non e’ sufficientemente vasta per permettermi di identificare una tendenza, ma nel caso di Houston sono la medicina e la ricerca il motore che spinge gli Italiani a partire, ma riguarda tanto i Torinesi che i Napoletani. Per altre destinazioni e’ più l’ingegneria (nelle zone portuali) o la finanza (Hong Kong, Londra, New York).
Cosa cercano i visitatori del suo sito? Le domande più frequenti?
Tutti lasciano a malincuore l’Italia, ma devono emigrare per avere sfogo a livello professionale. Cercano tutti indistintamente di crearsi una professione che sia ricca di prospettive e dove la possibilità di crescere e imparare sia presente. Quelli che semplicemente scelgono l’avventura sono rari, in genere c’e’ un bisogno insoddisfatto alla base della scelta di andarsene.
Quali servizi offre il sito?
Paguro offre informazioni e aiuta a creare contatti fra espatriati per ovviare a quella fase iniziale di isolamento e solitudine che succede di sperimentare quando ci si trasferisce all’estero. Facciamo anche luce sugli aspetti meno clamorosi e eccitanti dell’espatrio. Importante, sempre, è essere preparati ad ogni evenienza.
Cioè?
Fare bene i propri conti su quello a cui si va incontro e pianificare di conseguenza. Offriamo workshop per famiglie “Going Global?” alle aziende che trasferiscono impiegati e le loro famiglie all’estero. E le prepariamo ad affrontare il grande passo. A seconda della destinazione, offriamo anche servizi sul posto per dare assistenza con le prassi burocratiche post- relocation, per risolvere aspetti pratici, come per esempio iscrivere i figli ad attività sportive o culturali, che all’inizio, soprattutto per la lingua, possono sembrare difficoltà insormontabili. E poi organizziamo eventi sociali per facilitare l’integrazione.
Esiste un’equipe di professionisti, esperti in materia giuridiche, tra voi?
No, gli aspetti giuridici su scala mondiale sono troppo complessi e dipendono da tante variabili: il Paese di destinazione, la nazionalità di provenienza dei coniugi (se non sono entrambi dello stesso Paese), dei figli (che possono essere nati a loro volta in Paesi diversi da quelli dei genitori), il tipo di visto che si richiede e che a sua volta dipende dalle competenze professionali dei richiedenti, etc. In compenso abbiamo contatti con professionisti locali e a seconda dei bisogni cerchiamo di offrire delle indicazioni di massima. Personalmente cerco sempre di avere più di una referenza, in modo da poter fare un confronto di tariffe e servizi. Non e’ mai conveniente affidarsi al primo nome che viene fornito, fidarsi e’ bene, ma non fidarsi e’ meglio.
Quali sono le mete più ambite?
Dipende da che cosa ci si aspetta, in quale settore professionale ci si trova e dalle scelte personali che sono guidate da troppe variabili (scolarità per i figli, accessibilità alle cure mediche, possibilità di lavorare per il coniuge al seguito etc.). Ricordo la reazione della mia amica Milagros, quando le dissi che ci saremmo trasferiti a Parigi. A me sembrava di toccare il cielo con un dito. Mi disse “povera te!”. Infatti lei non ci sarebbe andata neanche morta. Lì, non avrebbe avuto la comodità del personale di servizio che aveva in Nigeria e non intendeva rinunciarci.
Qual e’ il Paese che le risulta meno accogliente?
Posso parlare solo di esperienze personali, perché non credo esista un Paese che risponda alle esigenze di tutti. Quello in cui dove mi sono sentita più distante e scollegata dalle persone che mi stavano attorno, e’ stato uno: gli Stati Uniti, perché sotto la scorza della similitudine della cultura occidentale c’e’ più di un oceano che ci separa. Ero innamorata della Norvegia, ma fra tutti i posti dove ho vissuto, quello che ho nel cuore è Parigi. Ma chissà che cosa succederà in futuro.
Consigli a chi voglia spostarsi con bambini, quindi con la famiglia?
Di consigli ce ne sono tanti, tantissimi, la maggior parte li ho scritti nel libro “Vado a vivere all’estero” e molti di più sono disponibili sul sito di Paguro nella sezione How to Expat (link http://paguro.net/expat-life/global/howToExpat). Purtroppo i testi per ora sono soprattutto in inglese. Spero che un’illuminata azienda italiana decida di finanziare la traduzione del sito in Italiano (sono più di tremila pagine di testi), perché dal punto di vista tecnico il sito nasce per sostenere il multi-lingua (più di novanta lingue).
In assoluto la cosa più importante e’ partire con il desiderio e la serenità di volerlo fare, per tutto il resto si trova sempre un rimedio. Se partite con i figli, soprattutto, e se questi sono grandi, coinvolgeteli nella decisione, ascoltate e rispondete con sincerità alle domande che vi porranno, fate sì che abbiano dei punti concreti di riferimento (vedere le foto dei posti dove andranno, se sapete già qual e’ la scuola mostrategliela, oggi con google earth sembra di essere già in giro per le strade). A volte partire non e’ una scelta, ma una necessità. Cercate di mantenere un atteggiamento positivo. Non fate l’errore di subire una trasferta all’estero, perché rischiate di non riuscire a godere affatto dei numerosi vantaggi che spesso ci sono. Per chi voglia un brevissimo riepilogo, c’è il decalogo dell’expat felice su twitter PaguroBuzz (link http://twitter.com/PaguroBuZz). Chiedo perdono, anche questo testo e’ in inglese. Un altro consiglio, lasciatevi guidare dall’istinto non dalla paura. Spesso e’ la paura che parla, purtroppo raramente da’ buoni consigli.
Il Paese in cui oggi ci sono più chances di lavoro?
In questo momento, se proprio devo fare un nome, direi il Brasile per gli italiani, perché esistono diverse similitudini fra i due popoli, che facilita enormemente l’adattamento. Inoltre e’ un Paese giovanissimo, in grande crescita e in numerosi settori. Ovviamente non e’ così limitata la scelta, ma tutto dipende dalle competenze e dalle professionalità delle persone. Credo che gli italiani abbiano ancora molto da offrire al mondo.
Per spostarsi servono soldi. Dunque, non tutti possono cambiare vita. Giusto?
Mi permetto di dissentire, il passato e’ lastricato di storie di emigranti intraprendenti, che hanno trovato all’estero quello che a casa non riuscivano ad ottenere, il successo. L’equazione rimane sempre la stessa: il valore di quello a cui si rinuncia rispetto a quello che si potrebbe guadagnare. Se i conti tornano, la decisione di partire e’ una possibilità per tutti. Certo, per cercare di limitare il rischio il più possibile, meglio fare buona parte del lavoro di ricerca e di verifica da casa propria, sfruttando contatti e cercando di costruirsi un quadro realistico della situazione. Una cosa che non cessa mai di stupirmi e’ quanto il made in italy sia tenuto in alto riguardo ovunque all’estero e per ovunque intendo davvero dappertutto, est ovest nord e sud. A Pechino non si contano le iniziative di italiani nella ristorazione, nel design, nella moda, nelle costruzioni.
Le prime tre cose che consiglia a chi stia per fare il grande balzo?
Primo: valutare a fondo le proprie motivazioni Secondo: avere sempre un piano B, se il primo dovesse andare male. A volte e’ addirittura meglio decidere di partire per un periodo limitato e “fare una prova”. In questa maniera, se proprio la vita all’estero non fa per voi non dovete fare i conti con la sensazione di essere stati sconfitti. Chi non risica non rosica, e il semplice fatto di aver provato a fare qualcosa di diverso posiziona fra i vincitori non fra i perdenti. Terzo: Una volta presa la decisione, proseguite senza indugi. Sbagliato continuare a guardarsi indietro. Avrete bisogno di TUTTE le vostre energie per amministrare e guidare questo cambiamento epocale, date tutto quello che avete e non trastullatevi in faticose malinconie.
Cosa dire agli indecisi?
Forse non e’ ancora arrivato il momento giusto. Mettete nero su bianco che cosa dovrebbe succedere nel vostro quotidiano per convincervi a fare il grande passo. Nel frattempo informatevi, curiosate e tenetevi al passo su che cosa vada fatto nel caso decidiate per il si. Fate vacanze nei luoghi in cui vi piacerebbe andare, in modo da sciogliere l’aura del mistero, che tutti i posti sconosciuti finiscono per avere nella vostra testa.
Il sito di Patrizia:
Intervista a cura di Cinzia Ficco