Società che cambia: la rabbia

Rabbia: si potrebbe definire il male del secolo e non si esagererebbe. Guardiamoci intorno. Sembra che l’aggressività connoti ogni gesto quotidiano. Stalking, mobbing, bullismo, ospiti televisivi che urlano in tv, conduttori che costruiscono a tavolino conflitti, reality show realizzati con lo scopo di far arrabbiare i partecipanti. È diventato difficile anche sopportare i rumori dei vicini. Tanto che spesso si prende la pistola e si spara contro di loro. E i media? Per attirare l’attenzione dei lettori amplificano certi particolari inquietanti. Ma cosa sta succedendo e, soprattutto, andrà sempre peggio? Forse sì, se non riusciremo a ridimensionare i problemi quotidiani e rivedere la scala dei nostri valori e se continueremo a vivere isolati. Ne parliamo con Cinzia Tani, scrittrice e giornalista, autrice del libro Rabbial’emozione che non sappiamo controllare (Mondadori), uscito di recente e scritto con Rosario Sorrentino, neurologo e componente della American Academy of Neurology e Post doctoral Research Fellow alla Columbia University di New York.

Società che cambia: la rabbia

Intanto, cos’è la rabbia?

E’ un’emozione primaria come la gioia e il dolore, che fa parte delle emozioni fondanti dell’essere umano e ci accompagna, in modo più o meno costante, nell’intero corso dell’esistenza. Può essere anche un segnale di allarme che ci avverte di una minaccia dall’esterno, ma anche che qualcosa in quel momento sta prendendo il sopravvento dentro di noi, nel nostro cervello. E’ un’emozione che non ha una connotazione negativa. Può essere, infatti, un forte stimolo verso il raggiungimento di un traguardo. Può essere la spinta per agire e reagire nei confronti di circostanze per noi spiacevoli. Altre volte può essere la sensazione insopportabile di avere subito un’ingiustizia e in quel caso ci dà la carica per cercare di ottenere il rispetto degli altri e di noi stessi”.

Va smaltita, comunque?

Sì. E ci sono vari modi. Se la usiamo per conquistare un traguardo, rafforzare una decisone, combattere un’ingiustizia, non ci nuocerà. Se è invece è solo un modo di reagire alla frustrazione, causando ripetute ferite mentali, agli altri e a noi stessi, sarà ovviamente dannosa.

Si può dire che siamo più arrabbiati rispetto a venti anni fa, perché siamo incapaci di sopportare anche piccole delusioni e insuccessi?

Sono problemi diversi. Prendiamo i giovani e la nuova violenza che li riguarda. Nella società del passato era inimmaginabile che un giovane di quattordici anni se ne andasse di sera in giro per la città con un coltello in tasca, che facesse uso di alcol e droghe. Non c’erano i rave party, non c’erano discoteche che aprivano a mezzanotte. I quattordicenni erano bambini e stavano a scuola. A proposito della scuola: c’erano disciplina, meritocrazia, punizioni, regole, tutte cose sparite ed ecco che fiorisce il bullismo, la trasgressione. Non c’era Internet e quindi i ragazzi non potevano mettere le loro “bravate” filmate in rete, non potevano rendersi visibili come eroi negativi.
La televisione aveva bei programmi, edificanti, non esistevano veline e tronisti, non si proponevano ai giovani modelli irraggiungibili.

Siamo passati alla società globale e consumista e non si può tornare indietro.

Prima non c’era la possibilità di ambire a tanti status symbol, a rapinare un compagno per avere il telefonino all’ultima moda.
Il traffico era minore e quindi minore la “rabbia” da traffico.
Le donne non abbandonavano i loro mariti  (non c’era il divorzio) e non c’era quindi la furia omicida di certi uomini frustrati che ricorrono sempre più spesso allo stalking e alla furia omicida.
E così via. Sì, è questa società che genera questa nuova rabbia.

Scorrendo le pagine del libro, si legge che le donne,  almeno in fatto di rabbia, hanno raggiunto la parità. Meglio?   

Le donne una volta tenevano dentro tutta la propria rabbia con l’effetto di soffrire di diversi disturbi (colite, dermatiti ecc.) e di sentirsi di continuo frustrate e depresse. Oggi la donna riesce ad essere aggressiva, ma la sua diventa una scelta, visto che: la sua biologia non lo prevede, le manca la grande quantità di testosterone dell’uomo, l’ormone che porta all’aggressività. La scelta avviene purtroppo quando la donna deve farsi largo nel mondo del lavoro, quando ottiene il potere. Questa aggressività femminile è un peccato, non le si addice, spaventa. Sarebbe meglio che trovasse altri canali per sfogare la propria rabbia.

Si può dire che prima la Chiesa cattolica funzionava più da freno inibitore?

Non so dire se una volta la Chiesa funzionasse da freno inibitore. Non credo proprio pensando ai secoli passati. Può fare molto di più un bravo sacerdote con i suoi ragazzi, organizzando per loro attività sportive e attività di volontariato.

Si possono quantificare i costi sociali della rabbia?

Non credo.. Impossibile.

Nel libro è scritto che la rabbia è nell’amigdala, l’odio in una zona molto più nascosta. Una riserva di emozioni. Oltre alla cultura, dunque, c’è una fonte più recondita. Che potrebbe essere un particolare tipo di rapporto con i genitori passato?

Tutto quello che si vive in famiglia nei primi anni di età ha un’influenza sull’individuo. Soprattutto se vive in una famiglia, in cui si pratica la violenza, anche quella verbale. Il bambino può diventare aggressivo da grande per difendersi da un mondo che lo spaventa o diventare passivo e quindi vittima della rabbia altrui perché è stato spaventato da piccolo.

Quanto uno stato d’infelicità e mancanza di benessere in gravidanza può incidere sulla serenità di un bambino? E si può recuperare un rapporto “corrotto” da liti, esplosioni di rabbia nei nove mesi di gestazione? 

Secondo gli esperti può incidere sicuramente, ma non in modo esagerato. Contano di più i geni e le esperienze che si fanno nei primi anni di vita. Quindi se dopo la gestazione il bimbo trova un ambiente amorevole e rassicurante, è facile che riesca a crescere sereno.

Quanto incidono sui bambini i conflitti e le esplosioni di rabbia tra genitori?

Incidono moltissimo. Sono le prime cose che il bambino apprende e si farà un’idea spaventevole del mondo. E’ sempre meglio spiegare al figlio cosa porta a un litigio e prima si fa meglio è, anche se lui non è in grado di capire. Ma almeno penserà che quell’esplosione di rabbia non lo riguarda, deriva dal mondo adulto e che è qualcosa di cui si può parlare. Così non elaborerà fantasie malate, che poi saranno dannose per la sua crescita.

A proposito di bimbi, come far scaricare loro la rabbia?

E’ sempre utile che scarichino la loro aggressività in qualche modo. Per questo serve l’attività fisica, lo sport anche agonistico, qualsiasi attività manuale. Devono usare il corpo, muoverlo, scatenarlo, competere, soffrire per una sconfitta, gioire per una vittoria. Tutto pur di non passare ore davanti alla tv o davanti a pericolosissimi videogiochi.

Per combattere la rabbia lei consiglia di praticare sport, di rivedere il proprio metro di valutazione dei valori, recuperare la tolleranza. La pazienza forse. Ma se uno non riesce a superare un torto subito deve considerarsi una persona fragile, incapace di ricostruire?

Lo sport è fondamentale. La tolleranza anche, ma non come regalo all’altro, bensì come regalo a se stessi. Cercare di allontanare i desideri di vendetta e il rancore elimineranno il veleno che ci può intossicare giorno dopo giorno. Qualsiasi metodo va bene. Distrarsi, occuparsi d’altro, ragionare, meditare…

I farmaci, la psicoterapia, la psicanalisi sono imprescindibili vero?

I farmaci servono a chi è totalmente vittima della propria rabbia e non riesce a uscirne da solo. Lo stesso vale per la psicoterapia che aiuta a comprendere i nostri stati d’animo per poterli poi superare.

Si può dire che gli italiani siano più arrabbiati di altri?

No, credo che i cittadini del mondo occidentale siano più arrabbiati degli altri. I figli della società del benessere, abituati a veder esauditi i propri desideri subito, abituati a modelli vincenti, a perseguire il successo, il potere, il denaro a ogni costo. Costretti a una vita di corsa, stressati dalle frustrazioni, dalle perdite, dagli abbandoni, perché non si da più valore alla sofferenza, alla rinuncia, al sacrificio.

Uomini e donne reagiscono in modo diverso all’abbandono del proprio partner? In caso di tradimento forse gli uomini uccidono, le donne evirano.  

Ci sono quelle che uccidono i loro mariti.

Lei sfata un mito: la madre depressa non uccide il suo bambino. Il depresso non uccide mai nessuno..

Di solito il depresso, se deve uccidere qualcuno, uccide se stesso. La madre che uccide il proprio figlio ha dei problemi psichici o è spinta da un desiderio di vendetta verso il marito o ancora è “arrabbiata” con un bambino che piange troppo, o pensa che quel bambino abbia dei problemi e decide di sopprimerlo o ancora volendo uccidere se stessa, perché depressa, può portare con sé anche il figlio. In questo caso la depressione ha fatto due vittime.

Un tempo Hitler ha fatto presa con i suoi discorsi sui neuroni di molte persone depresse e umiliate. Ha fatto produrre dopamina. 

Sì, si è trattato di una specie di ipnosi collettiva, incantamento che porta le persone con una personalità fragile o non adeguatamente sviluppata a fare ciò che il capo desidera o ordina. E’ la stessa tipologia che troviamo oggi nelle Bestie di Satana o in quei delitti del branco, in cui si uccide solo perché il capo lo vuole. Gli amici di Maso, che lo aiutarono ad ammazzare a sprangate i genitori, poi dissero di aver vissuto un’avventura esaltante.

Pensa che noi oggi non saremmo pronti ad accogliere un personaggio che faccia scaricare dopamina, e quindi ci faccia sentire onnipotenti, ma di bene?

Be’, il papa precedente ha avuto un po’ questo effetto. Credo che se ci fosse un capo buono e carismatico, molta gente lo seguirebbe. Ma oggi dovrebbe avere a supporto anche i media che ne esaltino le virtù e lo facciano conoscere alla massa.

Un consiglio ai media a caccia di sensazionalismo e non di verità?

I media dovrebbero fare dieci passi indietro. Tornare a un’informazione obiettiva, asettica e provvista di approfondimenti fatti da veri esperti. Basta con il giornalismo da citofono, con i processi ricostruiti in studio, mentre sono ancora in atto quelli veri, con il desiderio di far piangere o incutere terrore solo per aumentare l’audience. Io spero che la gente si stia finalmente stancando di tutto questo e adesso che c’ è più scelta in televisione con l’arrivo del digitale preferisca canali in cui non si litiga, non si inquadra la scarpetta insanguinata di un bambino, non si chiede a una madre se perdonerà l’assassino della figlia.

Quale l’episodio su cui i media si sono “divertiti” di più a raccontare particolari agghiaccianti e inutili?

Sono tanti gli episodi. Dal caso Cogne alla presunta pedofilia degli insegnanti di Rignano Flaminio. Tutti gli omicidi, ma anche i disastri naturali in cui si andava a cercare l’episodio più spettacolare come nel caso del terremoto dell’Aquila. Tutto è cominciato con la morbosa ripresa a reti unificate del caso di Vermicino che tenne incollati alla televisione per giorni la quasi totalità dei telespettatori italiani.

Ultima curiosità: ma è vero che consumare tanta carne rende più aggressivi?

Si dice così, ma io penso che una dieta equilibrata sia la cosa migliore. Ben vengano anche la carne bianca e il pesce che servono al nostro organismo. Eliminare droghe e uso eccessivo di alcolici. E andrebbe bene per alzare la serotonina anche un pezzetto di cioccolato la sera.

Cinzia Ficco