Paola Pedrini e il suo viaggio in India

La mia India, di Paola Pedrini edizioni Polaris è un libro che, fin dal titolo, rende evidente qualcosa di inevitabile quando si viaggia all’interno di quell’enorme paese: come non si possa non ricavarne un’impressione assolutamente personale, diversa per ciascun viaggiatore. Certo ogni viaggio viene ricostruito con gli occhi di ciascuno, ma l’India, in modo particolare, può essere raccontata solo per sensazioni e sentimenti singoli e singolari. Paese dalle infinite sfumature e dalle ancor più infinite contraddizioni: povertà disperata ed estrema e sacche di straordinario progresso tecnologico convivono facendo di questo paese un caleidoscopio di immagini e relative considerazioni, culturali e sociologiche. Paola ci racconta le sue emozioni al cospetto di un luogo che diventa subito una geografia dell’anima oltre che fisica: colori, sapori, rumori, sguardi, incontri ci vengono restituiti con un’evidente rispetto per questo paese, oltre che con un altrettanto evidente amore. Non deve essere semplicissimo scrivere un diario di viaggio, in modo particolare quando questo, come nel caso dell’India, diviene un viaggio anche all’interno dei propri più profondi sentimenti, delle più radicate convinzioni. Eppure Paola da l’impressione di avere vissuto questi viaggi con leale curiosità intellettuale e assoluta mancanza di pregiudizio: leggerezza che è totale differenza dalla noncuranza. È interessante leggere tra le sue pagine come le contraddizioni indiane divengano, per un viaggiatore sensibile e critico, specchio delle proprie contraddizioni. Ne parliamo con la stessa Paola, viaggiatrice e scrittrice, erede di quella tradizione di viaggiatori con carta e penna che tanto di questo mondo ci hanno stimolato a conoscere.

viaggio in INDIA

India: un paese dalla spiritualità esasperata. È vero che è impossibile rimanerne immuni e che da lì si torna sempre in qualche modo diversi?

Per molte persone lo scopo di un viaggio in India è proprio quello di ritornare diversi, altri si lasciano naturalmente trasportare da tutto ciò che di nuovo e inconsueto può offrire l’India, e in generale i paesi asiatici, rispetto all’Occidente. Qualcuno scappa, qualcuno cerca, c’è chi la ama e chi la odia. Ma rimanere immuni è impossibile.

Nel tuo diario sottolinei, con molta onestà e umiltà, che ti colpivano di più gli animali agonizzanti piuttosto che gli esseri umani sdraiati per terra con gli occhi vuoti; ha a che fare con quella sorta di serena rassegnazione al destino che sembrano avere gli indiani?

Durante il mio primo viaggio io guardavo, senza vedere veramente. Viaggiatrice e poco turista ma comunque distaccata, scrutavo da lontano e spesso dall’alto. Dopo aver scritto il libro sono ritornata in India ancora due volte e la mia opinione è cambiata. È stato un passaggio naturale che mi ha portato ad osservare con cura tutto ciò che mi circondava, è cambiato il mio modo di interagire e comunicare con le persone del posto e di conseguenza ho imparato a capire certi atteggiamenti che erano per me incomprensibili. Gli indiani non sono rassegnati, sono sempre più convinta che questo sia ormai diventato un luogo comune perché una realtà così terribile, come sa essere spesso quella indiana, ci scivoli meglio addosso.

Odori, sapori, suoni, colori; un caleidoscopio di immagini quasi da ubriacarsi. Hai fatto fatica a scegliere cosa raccontare nel tuo diario e cosa, inevitabilmente, lasciare fuori?

Ho cercato di essere obiettiva e di dare una descrizione dell’India tralasciando il più possibile i miei giudizi personali. Più che lasciare fuori, credo di aver lasciato in sospeso.

Un altro viaggiatore mi ha detto che dopo il viaggio in India, per riuscire a scriverne, ha dovuto lasciare sedimentare per qualche mese i ricordi per poterne parlare. Per te come è stato raccontare questa esperienza?

Ho scritto ogni giorno e in diversi momenti della giornata durante tutto il viaggio per non rischiare di perdere nulla, nemmeno un pensiero. Poi, arrivata a casa, ho aggiustato, rielaborato, tagliato. Non sarei stata in grado di tenermi dentro per mesi tutte le sensazioni che ho provato.

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Come hai elaborato, dentro di te, le infinite contraddizioni di questo immenso paese?

Le contraddizione che caratterizzano l’India si incastrano perfettamente con le mie, che al contrario, si scontrano con le altrettante infinite contraddizioni occidentali.

Quale ritieni sia stato l’insegnamento più profondo che hai ricavato da questo viaggio?

Sicuramente ho sviluppato un forte spirito di adattamento, una più alta considerazione verso l’essere umano e la comprensione di quante cose inutili mi circondino. Ma questo è solo l’inizio.

Hai mai avuto paura?

Paura direi di no, nel senso che non mi sono mai trovata in situazioni rischiose. Ci sono stati alcuni momenti di difficoltà e disagio, altri in cui ho dovuto sfoderare un’infinita pazienza, ma non mi sono mai sentita in pericolo. Anzi, sono sempre molto affascinata da tutto ciò che è diverso, da quello che non capisco e dalla mente umana.

Immagino che l’India sia un paese che rischia, nel senso buono del termine, di prendere i nostri valori e metterli in una centrifuga rimettendoli tutti in discussione: come sei rientrata, da occidentale, nella vita di tutti i giorni?

Quando rientro da un viaggio, e in particolare dall’India, sono come sotto shock, completamente distaccata dalla realtà per parecchio tempo. Tutto quello che ho assorbito si scontra con una quotidianità così rigida che non lascia spazio a niente. Eppure, di vuoti da colmare in Occidente ce ne sarebbero parecchi.

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Avevi dei pregiudizi prima di visitare l’India per la prima volta?

Assolutamente no, sono sempre stata molto attratta dall’India e l’istinto non mi ha tradita. Prima di partire leggo molto e cerco di documentarmi il più possibile, ma negli ultimi viaggi ho “dimenticato” a casa la guida.

C’è qualcosa che proprio hai avuto difficoltà a tradurre in parole?

Sì, tante cose che anche adesso non riesco ancora a dirti.

In quanto occidentale hai avuto momenti in cui hai avvertito un senso di colpa?

Senso di colpa no, di impotenza sì. Di fronte a certe situazioni di sofferenza e povertà rimango come paralizzata e mi rendo conto che a volte la cosa migliore è dare semplicemente aiuto senza pretendere di cambiare realtà e meccanismi così distanti dalla nostra realtà.

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Geraldine Meyer