“I vecchi sono numeri- scrive in modo provocatorio- Numeri che ci fanno paura, come quell’uno su tre che riguarda la percentuale di anziani che abiteranno il nostro Paese di qui ai prossimi anni. Numeri che, più raramente ci consolano in una notizia in cronaca regionale, ricordandoci che la vita si è allungata. I vecchi danno fastidio. E’ sempre stato così: ma adesso, è soprattutto nel nostro Paese, avviene qualcosa di diverso. C’è una sola generazione. A new kind of generation. Quella dei cinquanta- sessantenni. Le altre devono adeguarsi. O svanire”. Già, perché i vecchi puzzano di  morte e la nostra cultura rimuove, nega la morte. I vecchi, con le loro misere pensioni, non sono neanche consumatori interessanti. Per niente appassionati ai giocattoli elettronici, autentico tramite di comunicazione, spesso, se non sono ricchi e famosi,  sopravvivono, non vivono.  I vecchi non vendono, dunque, non piacciono, non hanno appeal: su quotidiani e telegiornali appaiono soltanto quando sono vittime di una truffa o di un colpo di calore. O quando, se donne, osano innamorarsi di un uomo più giovane: diventano così “amanti di Montecastrilli, coguari, mantidi.

non siamo un paese per vecchie invecchiare

Fa rabbrividire la parte del libro dedicata ai blogger che spopolano su Internet, dedicati ai vecchi. Per tanti, questa massa improduttiva di persone, che pensa, si muove, parla lentamente, che ha nostalgia dei tempi andati,  che borbotta e fa continui raffronti col passato, e che vive sulle spalle di molti giovani che in futuro non potranno godere della propria pensione, dovrebbe essere sterminata.

Tante poi le immagini che l’autrice scova, sbirciando sulla Rete o guardando in tv, di donne dai capelli argentati che diventano oggetto di umiliazioni e derisioni. L’odio per i vecchi, che rappresentano ciò che non è perfetto, potente ed eterno, si tocca con mano. Si pensi ai discorsi sulla meritocrazia. “Sono di più- scrive la giornalista- hanno più soldi  o hanno avuto buone posizioni professionali: questa è la percezione degli anziani che filtra dai discorsi, dagli articoli, da non pochi politici”.

L’Italia, fa sapere Lipperini, è un Paese di vecchi, ma non per vecchi.  Alle donne, doppiamente bollate come cittadine improduttive che sottraggono risorse alla società, non si rivolge magari l’accusa di gerontocrazia, visto che dal potere sono state tenute lontane  in giovinezza e lo sono ancora di più dopo i sessantacinque anni. In compenso sono coloro che immobilizzano l’economia, la cultura, i palinsesti televisivi, i consumi, l’etica, la politica. In poche parole, sono la causa prima del rallentamento e del declino.  Ancora Lipperini. “I vecchi sono lenti, tolgono strada, tolgono spazio. Le vecchie si fanno branco e spiano nelle vite altrui, le donne non fanno, guardano”. Dunque, considerazioni ancora più impietose per le donne, da parte di un mondo che considera la vecchiaia un tabù e la chirurgia plastica un must.

Ma come la donna rispetto all’uomo affronta la vita verso il cosiddetto viale del tramonto? “La donna vecchia- è scritto a pagina 66- ha ancora forza sufficienti per consolare la vecchiaia dell’uomo vecchio. Non sono paragonabili  le due solitudini. Chi ha avuto e perso una compagna  amata è infelice  allo stato puro. Portagli pure a casa la zuppa calda: potrebbe venire dallo chef più ispirato, non ne scalfirebbe l’infelicità neppure  per un minuto.  Finché può, la vecchia  signora allontana  la pena occupandosi  della casa e di attività  sociali; il vecchio gentleman mangia pane di ghiaccio solido. Se è colto, gli restano i libri. E’ quasi inutile sottolineare lo stereotipo: la donna è colei che cura e consola il proprio compagno che gli porta la zuppa calda e gli tiene in ordine la casa. A lui è destinata la cultura . A lei, si deduce, la televisione”.  Le donne, fa sapere, sono creature semplici, a maggior ragione quando sono anziane: basta loro poco per ridere, chiacchierare, dimenticare. Manca loro il senso del Tragico. Manca la pulsione sessuale.

“Con la fine della fertilità-si legge- il pendolo rallenta la sua oscillazione fra Puttana e Madonna e si ferma sulla seconda possibilità. Le vecchie sono sante e caste. Appena un po’ stupide. Appena un po’ invidiose delle giovani”.  Sotto questa cupola di pregiudizio, le donne mature, quelle che sono nella fascia d’età tra i 55 e i 65 anni- e sono dunque sulla soglia statistica della vecchiaia- vivono il loro periodo maggiore, almeno in maggioranza. Per loro è stata coniata la definizione  di “generazione sandwich”, schiacciate come sono tra la cura dei figli e quella dei genitori.

E nelle campagne pubblicitarie e sui giornali quanto si parla di loro? “I corpi delle donne anziane- scrive la Lipperini- non appaiono se non in cronaca nera o in casi eccezionali”. A meno che non si tratti di Rita Levi Montalcini o Margherita Hack. Riprendendo Elena Gianini Belotti, autrice di Prima le donne e i bambini (Feltrinelli), Lipperini, scrive: “La donna che porta su sè i segni della fine della fecondità non serve più, ha adempiuto al suo compito: il suo ventre sterile agita fantasmi di morte”. E a morte –mediatica, reale o letteraria- va condannata, se trasgredisce”.

Ma cosa fare subito per gli anziani e i vecchi del nostro Paese?

Secondo la scrittrice che, fra l’altro gestisce un blog http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/, collabora con le pagine culturali di “Repubblica” ed è fra i conduttori di Fahrenhit su Radio Tre, “I vecchi non “sono” e non “devono” essere come televisione, giornali, libri chiedono loro di essere. I vecchi sono persone, ognuna fiera della propria individualità. Bisogna occuparsi di più di loro. In questo senso, recuperando Simone De Beauvoir, scrive: “ La vecchiaia denuncia il fallimento di tutta la nostra società. La società non si cura dell’individuo che nella misura in cui esso renda. Quando si sia compreso qual è la condizione dei vecchi, non ci si può più accontentare di esigere una politica della vecchiaia più generosa, un aumento delle pensioni, alloggi sani, divertimenti organizzati. E’ tutto il sistema  che è in questione e l’alternativa non può che essere radicale: cambiare la vita”.  Dunque, cambiare vita. Per Lipperini farà scrollare le spalle a parecchie persone, ma è esattamente di questo che abbiamo bisogno. Ora.

A cura di Cinzia Ficco