L’Italia non è un paese per giovani

L’Italia non coccola i suoi giovani, anche perché le nuove generazioni sono diventate un “esercito immobile”, incapace di fare massa critica e strappare risultati concreti al Governo.

Il disegno di legge costituzionale, che abbassa l’età per essere eletti in Parlamento? Una riforma importante, che deve essere accompagnata dalla revisione della legge elettorale.

La vede così Alessandro Rosina, professore di Demografia all’Università Cattolica di Milano, autore di “Non è un Paese per giovani”- Marsilio, pubblicato due anni fa, che di recente ha partecipato ad un incontro, dal titolo: “Antidoti alla fuga: i giovani italiani e la scelta di restare”, organizzato a Perugia dal Forum nazionale dei  giovani

 Non è un paese per giovani

L’abbiamo intervistato.

Intanto, partiamo dall’attualità. Giorgia Meloni, ministro della Gioventù, ha ottenuto dal Consiglio dei ministri il via libera a un disegno di legge costituzionale, che prevede l’abbassamento a 18 e 25 anni dell’età per la eleggibilità rispettivamente a Camera e Senato.  Si farà davvero largo ai giovani? Cosa ne pensa? O senza una nuova legge elettorale sarà inutile?

Si tratta di una riforma importante e non si capisce perché si è tardato tanto a proporla. Non ha solo valore simbolico, è oggettivamente utile per agevolare l’approvazione di leggi più attente alle nuove generazioni. Gli attuali vincoli di età per l’accesso alla camera (25 anni) e al Senato (40) risultano anomali e assurdi per almeno due ragioni.

La prima ragione deriva dal fatto che barriere anagrafiche così elevate sono in contraddizione con il principio del merito,  il quale stabilisce che ciascuno sia valutato in base alle proprie competenze e capacità, non in funzione dell’età. Il secondo motivo è di tipo demografico.

I giovani italiani hanno visto il loro peso demografico, e quindi anche elettorale, ridursi negli ultimi decenni. Il rischio che risultino sottorappresentati gli interessi delle nuove generazioni è concreto. Certo, è importante anche avere una legge elettorale, dove contano di più le scelte dal basso e meno la cooptazione dall’alto.

In sintesi, perché l’Italia non è un Paese per giovani? Ed è così anche negli altri Paesi?

Non è un Paese per giovani, perché la nostra spesa per istruzione terziaria sul prodotto interno lordo è una delle più basse tra le nazioni sviluppate.

Più modesta è anche la spesa in «Ricerca e sviluppo». Rispetto agli altri Paesi le nuove generazioni trovano anche meno spazio nella gerarchia universitaria e in tutto il comparto della ricerca.  Ma la presenza dei giovani è ridotta anche nelle élite professionali e nella pubblica amministrazione. Sono in generale gli spazi di partecipazione attiva alla società che risultano nel nostro Paese generalmente più ridotti.  I tassi di occupazione degli under 30 sono i più bassi in Europa.

Il fatto che i giovani siano una risorsa scarsamente valorizzata viene confermato anche dal dato sul divario nelle remunerazioni tra giovani e vecchi lavoratori, cresciuto negli ultimi decenni.

C’è altro?

Oltre che con un minor investimento nella loro formazione e minori opportunità occupazionali, i giovani italiani si trovano anche con un sistema di welfare pubblico meno generoso nei loro confronti.

Carenti sono soprattutto le politiche di sostegno al reddito nei casi di disoccupazione e per le politiche attive finalizzate alla formazione o per il reinserimento nel mercato del lavoro. Per non parlare del debito pubblico, che ben testimonia quanto in passato si siano messe in campo scelte attente a difendere le prerogative e il benessere del presente senza preoccuparsi troppo di scaricarne i costi sulle generazioni future e vincolandone quindi al ribasso le opportunità. Sono sufficienti come motivi?

Sono penalizzati nello stesso modo i giovani e le giovani del Sud e del Nord in Italia?

Molti degli squilibri generazionali sono presenti in tutto il Paese, ma alcuni si fanno sentire in modo più pesante nel Sud del paese.

Ad esempio, se l’occupazione dei giovani è più bassa in tutte le regioni italiane rispetto alle media europea, la situazione del Sud è notevolmente peggiore rispetto a quella del Nord.

Cosa dovrebbe fare nell’immediato l’Esecutivo italiano?

Il Governo italiano dovrebbe considerare l’aumento delle opportunità dei giovani come una priorità, perché solo la valorizzazione del capitale umano delle nuove generazioni può far ripartire la crescita del Paese. Serve un nuovo modello di sviluppo, che rimetta al centro i giovani. Gli assi principali per innescare un nuovo percorso virtuoso sono quelli dell’investimento in ricerca e sviluppo, che consenta due cose.

Quali?

Di aumentare l’occupazione dei giovani e  rendere il Paese più competitivo. Serve  la costruzione di un nuovo sistema di welfare pubblico, che permetta ai giovani di non dipendere dai genitori e di non lasciar scadere la flessibilità in precarietà.

L’Italia non fa niente per arrestare la fuga, ma è immobile anche di fronte a ragazzi che intendono tornare?

Sempre più giovani vengono allontanati dal loro Paese, che non offre loro le giuste opportunità. Gran parte di loro dice di non essere interessata a tornare, perché all’estero trova miglior riconoscimento del proprio  valore,  maggiori stimoli e un ambiente più meritocratico.

Finora l’Italia ha fatto poco per riconquistarli. Un passo interessante nella direzione giusta è la legge bipartisan “controesodo”, che prevede incentivi fiscali ai giovani, intenzionati a tornare. Ovviamente da sola tale legge non può bastare.

Ma secondo lei i giovani fanno bene ad emigrare o dovrebbero essere più combattivi?

I giovani italiani che emigrano si comportano in modo razionale. In un mondo sempre più dinamico e globalizzato, è normale che ciascuno cerchi la propria collocazione ottimale anche fuori dai confini nazionali. La conseguenza, è, però, una perdita di energie ed intelligenze, che potrebbero essere utili per migliorare e cambiare l’Italia.

Se il Paese risulta socialmente immobile, economicamente anemico, incapace di innovare e rinnovarsi, è anche perché i giovani sono diventati una forza debole e timida. Non appaiono più il motore del cambiamento. Sono una specie di “esercito immobile”. Al di là del peso demografico, ciò che ha frenato i giovani è stata la loro reazione individuale, che li ha portati ad andarsene all’estero o a chiedere maggiore aiuto ai genitori.

Da soli si può anche trovare una propria via di salvezza, ma solo assieme si cambia e si migliora strutturalmente la società, in cui si vive. E questo le nuove generazioni italiane stanno iniziando a capirlo.

L’Italia è tutta da buttare? Ha qualche speranza per il futuro?

L’Italia è un Paese con grandi risorse. Il problema è che l’Italia non sa valorizzarle adeguatamente. La risorsa più importante è il capitale umano delle nuove generazioni, considerato da tutte le economie avanzate del XXI secolo come l’elemento chiave per lo sviluppo e il benessere futuro.

Cosa possono fare subito i giovani?

I giovani non devono smettere di sognare e credere in se stessi. Non devono rassegnarsi o fuggire. La Storia dimostra che nessun ostacolo può fermare le giovani generazioni quando si muovono con ambizione e determinazione verso il cambiamento. Quest’anno celebriamo i 150 anni di Unità d’Italia. Ricordiamoci che quell’impresa, considerata impossibile, l’hanno fatta i giovani.

Allo stesso incontro ha partecipato anche Eleonora Voltolina, direttore della testa giornalistica on line, www.repubblicadeglistagisti.it,  che non si è discostata molto dalle posizioni del professore Rosina.  Per la giornalista,  se l’Italia è un Paese di stagisti, la colpa è anche dei giovani, che non hanno consapevolezza piena dei propri diritti.

Repubblica degli stagisti giovani

“Certo afferma- l’’Italia non è l’unico Paese, in cui i ragazzi faticano ad entrare nel mondo del lavoro,  realizzarsi professionalmente e  rendersi indipendenti dalla propria famiglia, con uno stipendio adeguato:  passaggi importanti per crescere.

Ma da noi questi step sono inceppati in modo quasi totale. Colpa anche di una mentalità, praticamente assente nel Nord Europa o in America”. Cosa vuole dire? Replica Voltolina: “Il nostro Paese è organizzato in modo che siano i vecchi a comandare, nelle università con i baroni, negli ospedali con i primari.

In politica, si pensi all’età del nostro Presidente del Consiglio dei ministri e a quella del suo ex sfidante. I parlamentari sotto i 40 anni sono pochissimi. E a proposito di questo, il disegno di legge costituzionale che ha ottenuto il via libera dal Consiglio dei ministri non è male, ha una valenza simbolica.

E non solo. Certo, il candidato diciannovenne potrebbe solo essere uno specchietto per le allodole. Si deve cambiare la legge elettorale.  Ma è un buon inizio”.

Per l’autrice del libro, pubblicato da  Laterza l’anno scorso, intitolato: “La Repubblica degli stagisti”, il problema è uno: l’impegno politico tra i ragazzi è molto basso. “Secondo Antonio de Napoli, a capo del Forum nazionale dei giovani-  dice la giornalista- il 2 per cento dei giovani ha un impegno politico. L’altro 98 per cento no. Perché é stanco, sfiduciato, non ha interiorizzato una propria cultura politica dai genitori. C’è poca conoscenza dei propri diritti, delle norme. E l’ignoranza crea il terreno fertile, perché crescano abusi e problemi”.

Allora meglio fuggire all’estero?

Per Voltolina lasciare l’Italia non deve essere l’unico modo per realizzarsi. “Se i migliori fuggono – si chiede- chi resta a fare le battaglie giuste per cambiate il Paese? Per farlo diventare meno gerontocratico e più meritocratico? E per attivare il ricambio generazionale?”. Andare via dall’Italia deve essere una libera scelta. E si deve poter tornare.

Ma come sono i giovani e quanto sanno combattere per i propri diritti? “E’ difficile, fa intendere Voltolina, portare in piazza questa generazione, convincerla a fare una battaglia culturale in questo senso”. Ma per lei i ragazzi non devono essere lasciati soli.

È importante che tutti gli attori collaborino. Il sindacato, la politica, le imprese, devono essere coinvolti. La politica deve fare le leggi migliori per tutelare i giovani. Non si possono tollerare più gli abusi attuali. Oggi ci sono quasi 500 mila stagisti, 300 mila praticanti. Lo stage e il praticantato devono essere portati su binari più dignitosi.

Noi siamo a favore di una revisione  del diritto del lavoro. Bisogna eliminare il divario tra chi ha contratti buoni e chi ha solo gli atipici.  Nello stesso tempo non si può aspettare che arrivi la legge. Devono mobilitarsi tutti: il mondo del lavoro, dei media,  dei giovani. A questi ultimi, però, dico: dovete essere più informati sui vostri diritti”.

A cura di Cinzia Ficco