Libri: “La Cura” di Michele Ainis
“In Italia l’ascensore sociale non funziona, è sempre fermo al piano di partenza”. La denuncia arriva da Michele Ainis, costituzionalista, docente a “Roma Tre”, che di recente ha pubblicato “La Cura” (edito da Chiarelettere), un decalogo per ricominciare da zero e rovesciare uno Stato ingessato, in cui l’obbedienza è diventata un vizio e alla cultura del conflitto, che è il sale dei sistemi liberali, si è sostituito il culto del potere, delle gerarchie, dell’ordine. Dieci regole, quelle proposte dall’autore, contro il potere degli inetti per una Repubblica degli eguali, dove per eguaglianza il saggista intende quella “proporzionale” contro quella aritmetica, secondo la distinzione che nell’ Antica Grecia fece Aristotele.
Secondo il docente, in Italia “ti passa la voglia di sbatterti e sudare, quando sai già in anticipo che la tua carriera dipende dal certificato di nascita che hai ricevuto in sorte, o nel migliore dei casi dalla benevolenza dei potenti”. E alla fine questa situazione ti toglie slancio, dinamismo, fiducia nel futuro. “Da qui un pessimismo duro e compatto- si legge- come una lastra di piombo. Il futuro non è più quello di una volta, diceva il poeta Valéry. C’è, insomma, in circolo uno scoramento collettivo, un senso di frustrazione che si è trasformato in depressione. Nessuna autorità, sia civile, sia politica, riscuote più il consenso del popolo italiano. E, dunque, si salvi chi può. Dentro la cornice delle regole, ma più spesso al di fuori”. Dunque, il nostro Paese diventa sempre più asfissiante e incapace di slancio. Perché non sa più riconoscere e premiare i capaci, e togliere lo scettro agli inetti. Troppi giovani bravi e onesti restano al palo. Troppe donne emarginate. Troppi singoli contro il concistoro delle lobby. Troppi spiriti liberi lasciati soli contro il conformismo dei partiti, dei sindacati, delle chiese. La cultura italiana sembra non si sia liberata dell’eredità medievale, quella delle corporazioni, per cui il mestiere dei padri spettava di diritto ai figli. E per cui erano ritenute abominevoli le sfide della concorrenza, del commercio, del libero mercato. L’Italia di oggi sembra quella dei Comuni. E il Sessantotto? Ainis replica: se “fu una scossa elettrica per la nostra società, prima di allora ingessata in modelli autoritari, nello stesso temo oscurò la cultura dei doveri, delle responsabilità sociali. E, soprattutto, scambiò l’eguaglianza con un egualitarismo alla cinese, attraverso il diciotto politico, il diritto alla laurea gratis sia per gli asini sia per i puledri. Un errore prospettico, benché consumato in buona fede. L’errore di confondere il traguardo con la linea di partenza.” Si obietterà che il Sessantotto è stato un fenomeno globale. E allora, perché tante storture solo nel nostro Paese? Per il saggista in Italia il lascito antimeritocratico di quel movimento è duro a morire per una nostra cultura che privilegia l’ organicismo all’individualismo, tipico dei Paesi anglosassoni. E per via di una doppia cultura, che in varie esperienze si profila come un’unica cultura. Ainis allude al cattocomunismo.
In un Paese come il nostro, in cui è al potere un’oligarchia di 17 mila personaggi, “maschile centronordista, invecchiata, con vistosi problemi di ricambio, forte in consenso e debole in competenza” (Carboni 2007), per i giovani la strada per affermarsi è in salita.
“E come mai – si chiede il costituzionalista- potrebbe funzionare la macchina sociale, quando, stando ad un’indagine condotta su tredici Paesi Europei (Ederer 2006) , l’Italia figura all’ultima casella per capacità di utilizzare il proprio capitale umano?” La scarsa volontà di riconoscere i talenti, stimolarli, di compensarne adeguatamente l’operato è la palla al piede della nostra società, schiacciata da una cultura antimeritocratica, che rigetta l’idea di una sana competizione. Vanno avanti i raccomandati. Certo, anche nei Paesi anglosassoni esiste la raccomandazione, ma è una segnalazione scritta, pubblica, trasparente. “In Italia- scrive ancora il docente- la segnalazione è in realtà un’imposizione , poggia sul potere che il mittente esercita sul destinatario. E in un secondo luogo viaggia sotto un cono d’ombra, è un sussurro che nessun altro dovrà ascoltare. E in Italia, ahimé, la cultura del favore è diventata il senso comune del Paese”. Continuando così, non si troverà più nessuno disposto a scommettere sulle proprie forze.
Dunque, stop ai sotterfugi per arrivare e imporre le proprie capacità. Laddove ci siano. E via al merito.
“Senonché la cultura del merito- scrive Ainis- non è quella di Sparta, che scaraventava da una rupe i suoi figli più deboli. C’è anche spazio per una caring meritocracy, sensibile alle esigenze individuali. E d’altronde il merito è in se stesso solidale, non foss’altro perché reca un’istanza d’emancipazione , di riscatto sociale”. Per fortuna, di fronte ad un quadro impietoso dell’Italia, il saggista offe speranze. Attraverso un decalogo. La cura, appunto. Una terapia d’urto, perché le regole consuete non valgono durante un’emergenza. E quello attuale è un momento d’emergenza. Se si vogliono buone leggi bisogna bruciare quelle che si hanno, farne di nuove. Con coraggio.
Ma ecco le dieci proposte radicali di Ainis, necessarie a mandare in pezzi la camicia di gesso che frena il nostro Paese ed estirpa ogni soffio di vitalità, la camicia del nepotismo, del maschilismo, del clientelismo, del corporativismo, del favoritismo, dell’affarismo e di tanti altri ismi.
Disamare le lobby, Rompere l’oligarchia di partiti e sindacati, Dare voce alle minoranze, Annullare i privilegi della nascita, Rifondare l’università sul merito, Garantire l’equità dei concorsi, Neutralizzare i conflitti d’interesse, Favorire il ricambio della classe dirigente, Impedire il governo degli inetti, Promuovere il controllo democratico.
Sì, ma a chi spetta rovesciare questo sistema? “Se la delega- conclude- è l’unico strumento che siamo capaci di suonare, tanto vale andarsene in vacanza”. E rivolgendosi ai trentenni: “Se vuoi ribellarti all’ingiustizia , spegni la tv, smettila di far da spettatore. E se almeno un punto di questo decalogo ti sembra convincente, datti da fare, non restartene con le mani in mano. Trasformalo in una proposta di legge popolare, referendum, in petizione collettiva. Magari aggiungici del tuo, le pagine che hai letto non pretendono di essere il Vangelo. Se ci sei batti un colpo”.
A cura di Cinzia Ficco