La fuga dei talenti
“L’Italia è probabilmente la società più diseguale e ingiusta del mondo occidentale. Una società dalla bassa mobilità sociale, la più bassa del mondo tra le economie avanzate. Si differenzia dalle altre nazioni, soprattutto nella capacità dimostrata – dai gruppi occupazionali superiori – di proteggere i propri eredi da destini occupazionali svantaggiosi”. E’ l’impietosa analisi che fa Roger Abravanel nel suo libro Meritocrazia (Garzanti) e che Sergio Nava, giornalista milanese di 34 anni, raccoglie nel suo recente lavoro La fuga dei talenti, edito da San Paolo. Quasi quattrocento pagine, in cui sono riunite le esperienze di ventisette professionisti che l’Italia si è lasciata scappare, a causa del suo sistema “relazionale” e immeritocratico. L’unico esistente per cercare e trovare lavoro.
“L’Italia – spiega Nava, riprendendo un Comunicato stampa Eurispes sul Rapporto Italia 2008- è un Paese ostaggio. Un Paese oramai prigioniero della propria classe politica, che ha steso sulla società una rete a trame sempre più fitte, impedendone ogni movimento, ogni possibilità di azione, ogni desiderio di cambiamento e di modernità, riducendo progressivamente gli spazi di democrazia e mortificando le vocazioni , i talenti, i meriti, le attese, le aspettative di milioni di cittadini”. Nel nostro Paese comandano tre tipologie di persone. I vecchi con i loro piccoli orticelli da difendere, i politici o chi è da loro appoggiato, infine chi ha i contatti giusti. Il sistema è talmente marcio che tutto funziona con lo scambio di favori, il do ut des. Nessuno investe più su di te solamente perché ti stima o perché crede in ciò che sei. E come dice Oscar Bianchi, musicista e compositore, 34 anni, oggi a New York, nel libro di Nava: “Il nostro è un sistema interamente basato sullo scambio di potere. Un sistema dal quale i giovani sono tagliati fuori, perché non hanno nulla da offrire, al di fuori del proprio talento”. Che, appunto, viene ignorato, o ostacolato, come avviene nelle Università. In questo senso, Nava, che da dieci anni lavora a Radio 24 (Il sole 24 ore), ricorre a Rita Levi Montalcini. Il premio Nobel, di fronte all’ennesimo scandalo a luci rosse avente per oggetto il concorso di accesso all’istituto di Medicina Legale di Torino, sbotta: “ Da troppo tempo, purtroppo i concorsi nelle nostre università hanno un difetto fondamentale: il merito del candidato non è tenuto in debito conto e altre caratteristiche, invece, entrano in gioco”.
L’Italia, dunque, non è un mercato del lavoro aperto e trasparente, ma un insieme di reti di conoscenze, dove, chi non può vantare amici, è ghettizzato e mortificato. Nel Paese dei baroni, delle caste, conta la raccomandazione, diversa dall’anglosassone segnalazione di ragazzi meritevoli. La raccomandazione come modus vivendi della Prima e Seconda Repubblica , alla faccia del merito.
“Una pratica talmente diffusa- scrive Nava- da non venire più nemmeno considerata per quello che è: un reato, o un peccato, a seconda del punto di vista. Questo nonostante il raccomandato sia sempre qualcuno che toglie spazio a un altro certamente più bravo di lui. Anche chi crede nel merito finisce spesso col cedere alla tentazione dell’aiutino”. Quando la fiducia nel proprio talento viene meno, il salvagente lanciato dal fratello, dal cognato, dall’amico, risulta ben accetto. Se tutti barano, perché non posso farlo anch’io? È il ragionamento diffuso. Prezioso, a questo punto, il contributo di Ilvo Diamanti, presente nel libro di Nava, che dice: “Siamo una società familista e vecchia. Vecchia e familista. E, inoltre corporativa e localista. Immobile e chiusa”. Per questo Irene Tinagli nel suo libro Talento da svendere (Einaudi), ripreso da Nava, chiarisce : “La nostra riserva di creatività garantita, eterna, quasi genetica, non funziona più da paracadute nell’economia del ventunesimo secolo. Offriamo solo il 9 per cento dei posti di lavoro a personale altamente qualificato in eterna attesa che tanti geni alla Leonardo ci piovano addosso già fatti e finiti, mentre Paesi più seri e competitivi del nostro li producono in serie, incanalandoli in staff di qualità. Il cosiddetto processo di valorizzazione dei talenti in Italia è al collasso”.
Tinagli addossa le colpe all’università, alle imprese, alla geografia, che ci porta a essere chiusi e diffidenti, in un sistema di paesini e campanili che diventano tante piccole gabbie.
In un Paese in declino, per il fatto che non sfrutta i talenti, che fine fanno i giovani di belle speranze? Emigrano. Secondo il Rapporto Italiani nel Mondo 2006 “La situazione attuale è equivalente al fatto che tre delle nostre maggiori università lavorano solo per formare competenze che vengono poi utilizzate esclusivamente da Paesi stranieri”. Un dato inquietante. I nostri talenti così preferiscono gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia, la Spagna. A sentire il giornalista milanese, si lascia spesso l’Italia non solo per trovare lavoro, ma anche per fare carriera prima e spesso meglio di chi resta in patria.
Ma non c’è davvero alcuna speranza?
“Qualcuno- scrive Nava- prima che il mio libro venisse dato alle stampe, ha lanciato un allarme. Il 16 dicembre 2008 Enrico Letta del Pd e Maurizio Lupi del Pdl hanno varato insieme con altri onorevoli, tra cui l’ideatore Guglielmo Vaccaro, un progetto di legge per istituire uno scudo fiscale, mirato a promuovere il rientro in Italia dei giovani talenti, tutti, non solo i ricercatori. Il progetto prevede crediti di imposta per almeno 25 mila euro l’anno per tre anni, destinati a chi torna in Italia come dipendente o imprenditore. A tre condizioni. Avere meno di 40 anni, aver lavorato all’estero per 24 mesi e spostare la propria residenza in Italia. Per informazioni si può dare una scorsa al sito www.controesodo.it. Funzionerà? Potrebbe essere l’inizio di una virata.
In ogni caso il giornalista ha tre proposte per avviare un cambiamento. “Rendere obbligatorio per tutti gli studenti di quarta e quinta superiore un periodo da sei mesi fino ad un anno all’estero, possibilmente in Paesi meritocratici. Rendere la raccomandazione un reato punibile per chi la concede o la riceve con una detenzione fino a 10 anni, a seconda della gravità. In questo si dovrebbero utilizzare le intercettazioni telefoniche. Premi economici a quelle aziende, di piccole e grandi dimensioni, che introducono criteri di selezione e reclutamento come unico canale di ingresso nel mondo del lavoro, affidando l’assunzione ad un pool di esperti scelti tra i migliori del settore, interni ed esterni all’azienda. Per il settore pubblico e le università, occorre eliminare i concorsi cosi come sono organizzati oggi, prevedendo di subappaltarli in toto a team di esperti stranieri con un unico membro interno italiano”.
Cinzia Ficco