Isoke (Nigeria) e la sua storia

In tutta l’Africa, è la donna che tira avanti la famiglia e sopporta le difficoltà e i problemi più gravi. Gli uomini, anche i cristiani, sono spesso poligami…ma se un tempo si prendevano le mogli che potevano mantenere, oggi se ne prendono quante ne vogliono…così le famiglie si sfasciano e i problemi per le donne sono anche più gravi”.

A parlare della sua terra, la Nigeria, è Isoke Aikpitanyi , 32 anni, giunta in Italia nel 2000 con l’illusione di trovare il bengodi che ti fa vedere la tv. Nel nostro Paese, invece, ad accoglierla, sono stati, trafficanti di merce umana che l’hanno costretta a vendersi per anni.

Oggi è libera. Vive ad Aosta, si batte con coraggio contro la tratta e la prostituzione coatta. Alcuni anni fa con la giornalista Laura Maragnani ha scritto un libro, a cui è stato attribuito il premio letterario Città di Bari”: “Le ragazze di Benin City” , edito da Melampo, un atto pubblico di denuncia dei trafficanti.

Tratta delle ragazze nigeria

Allora, mi racconta la sua storia?

La mia storia è uguale a quella di tantissime altre. Lasciamo l’Africa dove non c’è possibilità di migliorare le qualità della nostra vita, dove chi è ricco è sempre più ricco e chi è povero è sempre più povero. Una promessa di lavoro in Europa e il mio sogno sembra realizzarsi. Poi all’arrivo in Europa scopro come tutte che lavoro non ce n’è, siamo clandestine e che per pagare il viaggio abbiamo un debito di 80 mila euro, 100 mila euro. Si finisce per strada, anche perché chi si ribella può essere uccisa. Ma andiamo con ordine…

Da quale famiglia viene  e che tipo di rapporto ha con loro?

La mia era una famiglia semplice. Mio padre lavorava in Tribunale, mia madre accudiva i figli…troppi… otto in tutto. Non si moriva di fame, ma la vita era dura ugualmente e quando mio padre ci ha abbandonati è stato anche peggio. E’ stato allora che ho pensato di lasciare il mio Paese per cercare lavoro e fortuna, per me, mia madre e  i miei fratelli. Mia madre è morta da pochi anni, tutti i miei familiari vivono ancora in Nigeria. E’ mio padre, tornato a casa, ad occuparsi di loro. A scuola ci andavo poco, aiutavo mia madre a vendere frutta e verdura al mercato e quello avrei voluto fare in Europa.

Quali studi ha fatto?

Non ho fatto studi regolari. Aiutavo mia madre e la scuola pubblica funziona poco. Quando non arrivano gli stipendi gli insegnanti non lavorano e poi per andare a scuola bisogna portarsi la sedia e le penne. Chi non le aveva, tornava a casa. Ho studiato fino all’età di 17 anni, ma in modo irregolare.

Qual e’ la condizione della donna in Nigeria?

Nel mio Paese, come in tutta l’Africa, è la donna che tira avanti la famiglia e sopporta le difficoltà,  i problemi più gravi. Gli uomini, anche i cristiani, sono spesso poligami, ma se un tempo si prendevano le mogli che potevano mantenere, oggi se ne prendono quante ne vogliono. Così le famiglie si sfasciano e i problemi per le donne sono anche più gravi.

Pensa che negli ultimi dieci anni la vita per le donne non sia cambiata?

I cambiamenti sono sicuramente in atto, ma il processo è lungo, non bastano i decenni

Ricorda un episodio poco piacevole di quando era in Nigeria?

Una amica si ammalò e la nostra medicina tradizionale non riusciva a farla guarire. La famiglia portò la mia amica in ospedale, ma se non hai soldi non ti prendono e non ti curano.. Morì per una infezione che quando sono arrivata in Europa ho scoperto si cura con quattro pastigliette. Non si muore di AIDS, ma di povertà e chi riesce a trovare i soldi per le medicine è fregato da trafficanti che vendono pastiglie false. Così si muore lo stesso.

Quando e come ha deciso di venire in Italia?

Non c’è stato un momento preciso. Ero una ragazzina e sognavo. Sognavo la vita che vedevo nella tv dei vicini, gli unici ad avere la tv in casa. Ed in tv vedevo l’Europa come un paradiso, l’esatto contrario di tutto ciò che vivevo in Nigeria.

Chi le ha  proposto di venire in Europa?

Nessuno me lo ha proposto in modo concreto. Io ho cercato informazioni in una specie di agenzia viaggi, dove mi hanno detto che potevano farmi viaggiare anche se non avevo un soldo. Loro avrebbero anticipato le spese, io avrei pagato con il mio lavoro, un po’ alla volta e una volta pagato il viaggio avrei potuto mandare soldi a casa.

Come é arrivata qui? In quante eravate?

Mi hanno fatto viaggiare in aereo, sono arrivata a Londra, senza problemi doganali, insieme ad altre cinque. Era il 2000.

Poi cosa è successo?

All’inizio sembrava tutto bello, ma a Londra ci fecero stare settimane chiuse in casa, uscendo solo ogni tanto, di notte. Ascoltavamo le telefonate dei nostri sponsor. E’arrivata la merce…se non hai i soldi la vendiamo ad altri”. Telefonate che arrivavano da Parigi, Amsterdam, Torino. Abbiamo capito che la merce eravamo noi e non avevamo più nemmeno il coraggio di guardarci negli occhi. Poi mi hanno detto che a Londra non c’era lavoro e che dovevo andare a Torino.

Poi?

Lì è iniziato il mio calvario. Quando ho capito che cosa intendevano per lavoro mi sono ribellata, ho detto cento no. Poi la mia compagna di stanza che diceva anche lei no è stata uccisa e io ho capito che dovevo trovare una via di uscita, se volevo uscirne viva.

Chi l’ha liberata?

Mi sono liberata da me. Ho chiesto aiuto alle associazioni che lavorano contro la tratta, ma volevano che io presentassi una denuncia dei trafficanti e io non avevo capito chi fossero. Quando parlai con mio padre e gli chiesi aiuto, lui scoprì che l’agenzia di viaggi alla quale mi ero rivolta non esisteva più e attraverso le sue conoscenze in Tribunale capì che mi ero messa davvero nei guai: i capi di quel traffico erano persone potenti. Che potevo fare, potevo forse denunciare dei personaggi del governo, la mia parola sarebbe bastata, mi chiedevo.

E allora?

Così nessuno mi dette aiuto, mi respinsero e quando dissi basta fui quasi uccisa. Oggi ancora mi minacciano, ma non possono più farmi paura. Vorrei essere più forte per stroncare il traffico, almeno ci provo.Pensa di avere avuto più coraggio delle altre?

Non ho avuto coraggio, tutte le ragazze hanno coraggio. Pensi a quelle che non vengono in aereo, ma devono attraversare il deserto, in parte anche a piedi. Molte muoiono durante il viaggio. Loro hanno il coraggio delle disperazione. Il mio coraggio è stata la mia determinazione: appena ho capito che si trattava di  una trappola ho iniziato a cercare una via di uscita e ad un certo punto ho detto basta e basta è stato.

E’ impegnata in qualche progetto per salvare altre ragazze sfortunate?

Il mio Progetto ho dovuto costruirmelo. Ho messo la mia libertà al servizio di quelle che non trovano una via di uscita: ci sono tante associazioni, che riescono ad aiutarne solo una su dieci, troppo poco. Le avvicino, le ascolto, le accompagno a curarsi, le sostengono nelle relazioni affettive, nel parto, nelle paure, negli arresti, le accolgo a casa mia, la casa di Isoke. Lavoro così da dieci anni, senza uno stipendio e senza un finanziamento, perché queste cose si fanno in quanto è necessario e giusto farle, non per altro.

Sente addosso l’etichetta di ragazza di strada?

Non lo sono mai stata, neanche quando ero costretta a prostituirmi, quindi mi batto con orgoglio, affinché le ragazze siano riconosciute come vittime della tratta e non come prostitute. Le prostitute hanno certo diritti, ma la loro è una questione diversa e se si fa confusione, non si risolve nulla.

Pensa ci siano tanti ipocriti?

Si dice che in Italia ci siano nove milioni di clienti. Loro sono un problema, anche se pure questo argomento è da approfondire. Ma i veri ipocriti sono quelli che fingono di affrontare il problema con leggi e soldi europei, dello Stato, dei Comuni, delle Regioni, ecc. e fanno tutto senza ascoltare noi, vittime ed ex vittime.

L’episodio peggiore che le sia capitato quando era schiava dei trafficanti?

So che hanno ucciso la mia compagna di stanza per spaventare me e le altre. E non ho potuto fare nulla, ma non ho dimenticato. So che hanno sfruttato bambine e hanno usato bambini, prendendo loro gli organi. Non c’è un episodio, ma una intera galleria degli orrori, che mi fa dire alle donne italiane: dateci una mano, perché vedete bene che la prostituzione è l’ultimo dei nostri problemi…

Cosa dovrebbe fare l’Italia per fermare con altri Paesi queste tratte?

Intanto basterebbe accogliere davvero le vittime della tratta, liberarle e trasformarle in agenti che in Nigeria o nei Paesi di provenienza, tornano a raccontare la verità e a guardare in faccia i complici grandi e piccoli.  Basterebbe utilizzare ex schiave per sostenere le vittime che non hanno coraggio. Ci vorrebbe una legge che dia subito documenti e dignità alle vittime e poi le sostenga. Sul piano internazionale le cose sono complicate. Il problema è che ai diritti umani non pensa nessuno. Di fronte ai commerci le persone non contano nulla. E allora invece di pensare a cose impossibili, pretendo si facciano qui le cose che sarebbe possibile fare e che non costerebbero quasi nulla.

Riesce a perdonare chi le ha fatto tanto male?

Mi è stato difficile perdonare me stessa per esser stata tanto sciocca da cadere nella trappola. Ho ritrovato l’amore per me quando ho trovato la forza per combattere e non restare sottomessa. Purtroppo, non tutte trovano questa forza. Cerco di averla anche per loro.

Li ha rivisti in qualche modo?

Non ho mai più visto quelli dell’agenzia, anche perché da anni non torno in Nigeria dove, tra l’altro, mi si consiglia di tornare con delle precauzioni, perché la mia battaglia contro i trafficanti è ben nota.

Quali sono i tuoi sogni?

Quelli di ogni donna: una famiglia, un futuro, ma non posso avere queste cose senza avere anche giustizia per le mie sorelle, liberarmi e fregarmene delle altre non mi sarebbe possibile, per cui sono pronta a tanti sacrifici. Li faccio da dieci anni.

Tornerà per sempre in Nigeria?

Certo, tornerò per fare il matrimonio tradizionale e avviare lì una missione di informazione delle ragazze.

In chi crede?

Credo nelle tante persone che mi vogliono bene e in mezzo alle quali voglio vivere e cercare di essere felice. Credo nel mio compagno, credo nella possibilità che si faccia giustizia, finalmente, credo in Dio.

Quanto aiuto le hanno danno le donne italiane?

Ci sono gruppi di donne, soprattutto in Umbria, in Toscane,  in Puglia che mi sostengono con tenacia. Mi vogliono bene e io voglio bene a loro. Laura Maragnani mi ha aiutata a scrivere il libro, Lorenza Maluccelli mi sostiene per gestire le attività con le ragazze, Elvira Dones mi ha aiutata ad avere una immagine più forte. Serve. Ho fondato un’ associazione di vittime ed ex vittime e questa associazione è parte del movimento delle donne, di tutte le donne, italiane e straniere.

Come vede la condizione della donna italiana?

Dovrei dire che la donna italiana vive in una condizione privilegiata, ma lo dico solo paragonando la situazione italiana all’Africa. La donna è ancora oggetto di troppe violenze, la donna in genere, e in Africa, è anche peggio. Mi interrogo, allora sulla condizione dell’uomo che è responsabile certo della condizione di inferiorità e sfruttamento delle donne. Ma qualcosa sta cambiando: il mio compagno con il nostro Progetto la ragazza di Benin City parla agli uomini che cercano prostitute e trovano schiave. Questo lavoro è indispensabile non solo verso i clienti, ma verso tutti i maschi.  Maschile e Plurale é una rete di autocoscienza maschile, presente in tutta Italia e sempre più forte. Le cose cambiano, se vogliamo.

Intervista a cura di Cinzia Ficco