Il “miracolo” dell’ Isla del Rey a Minorca

Come il lavoro entusiasta di un gruppo di volontari ha collocato quest’isola nello scenario mondiale dell’arte e cultura

Sulla piccola Isla del Rey in questi giorni i lavori sono in pieno svolgimento.

L’inaugurazione dei nuovi spazi dedicati all’arte e alla cultura e alla storia del porto di Mahón è vicina. Un evento che attirerà persone da tutto il mondo.

Quando arriverà il grande giorno, i visitatori sbarcheranno sull’isola e vedranno, davanti a loro, un edificio in pietra di grandi proporzioni: l‘ex ospedale navale britannico costruito nel 1711, ora adibito a museo.

Di fronte, il nuovissimo centro e galleria d’arte Hauser&Wirth. E in mezzo, i giardini disegnati dall’influente architetto paesaggista olandese Piet Ouldof.

Dirigendovi verso l’est dell’isola, scoprirete anche i resti archeologici di una basilica paleocristiana del VI secolo. Il vostro spirito curioso vi condurrà al vecchio ospedale con le sue tre sezioni, le arcate e i corridoi.

Isla del Rey a Minorca

E quando vi affaccerete alle sale di chirurgia, radiografia e autopsia, il dormitorio con i suoi vecchi materassi, il laboratorio e la farmacia con la sua vasta collezione di piante medicinali e pozioni, la vecchia cappella cattolica e l’oratorio anglicano, alla biblioteca e alla tipografia ultracentenaria ancora funzionante… alla storia, insomma, del magnifico porto di Mahon… troverete tutto in perfetto stato come un paio di secoli fa, con le attrezzature e gli strumenti medici dell’epoca accuratamente catalogati.

Ma per quanto sia importante quello che si vede, e lo è, la cosa più preziosa dell’Isla del Rey è la parte che non si vede e che probabilmente sfugge al nuovo arrivato: e cioè che qui, un giorno, qualcuno ha operato un miracolo. Perché niente di tutto questo esisterebbe, niente, senza l’azione prodigiosa di un manipolo di volontari.

Qualche anno fa, l’Isla del Rey stava morendo senza acqua ed elettricità, e quanto erano malmessi allora l’isola e il suo ospedale, e quanto si dispiacevano alcune persone nel vedere tanta negligenza e abbandono!

Gli alberi crescevano e si diffondevano all’interno degli edifici, abbattendo muri centenari, contrafforti e tetti; i rampicanti e le piante rampicanti abbracciavano colonne e muri fino a soffocarli e farli crollare; l’umidità, la muffa, gli escrementi di gabbiani e roditori seminavano ovunque corrosione, marciume e sporcizia.

Tutto ciò che era utilizzabile nel vecchio ospedale militare – mobili, bagni, travi e ringhiere, porte e finestre, tubi e cavi di rame...tutto era scomparso, vittima del saccheggio.

Come era possibile che nessuno fosse venuto in soccorso di un’isola e di un ospedale che aveva accolto e curato tanti marinai fin dall’occupazione britannica di Minorca nel XVIII secolo?

Inglesi della marina britannica, francesi o spagnoli arrivavano qui, morenti o gravemente feriti, vittime delle battaglie navali che si combattevano nel Mediterraneo mentre Minorca passava successivamente nelle mani dell’una o dell’altra potenza militare.

Nel 1830 l’ospedale, ormai divenuto nuovamente spagnolo, accolse i soldati francesi feriti durante la presa di Algeri; i suoi medici, infermieri e le Suore della Carità assistettero centinaia di naufraghi italiani della corazzata Roma, bombardata alla fine della seconda guerra mondiale dall’aviazione tedesca come punizione per l’armistizio firmato dall’Italia fascista, già sconfitta, con gli Alleati.

Dopo due secoli e mezzo di servizio, l’ospedale dell’Isla del Rey chiuse le sue porte nel 1964 e l’isola fu tristemente abbandonata.

E quando sembrava che sia l’ospedale che l’isola fossero irrimediabilmente condannati all’oblio, qualcuno ha deciso di prendere in mano la situazione: “Sta cadendo a pezzi. Se nessuno fa niente, lo faremo noi”.

Decisi a non dipendere da quelli di fuori, “Madrid…, Palma…, i catalani…, gli inglesi…” e spinti da un sano senso di vergogna, il 10 settembre 2004 il nostro gruppo di volontari, sotto il comando (e mai detto meglio) del generale di riserva Luis Alejandre Sintes, cominciò a sgomberare il terreno senza nemmeno sospettare dove li avrebbe portati la loro avventura.

Eravamo un gruppo di pazzi”, dice Toni Barber Seguí, uno dei pionieri.

Quindici o venti amici che andavano sull’isola la domenica nel tempo libero. Ogni settimana andavamo centimetro per centimetro nel sottobosco armati di un machete, un potatore da giardino, una pala…Non si vedeva più di tre metri e ogni volta eravamo sorpresi da una nuova scoperta: “Ecco un pozzo, ho trovato una cisterna! Non mancavano gli scettici e i pessimisti pronti a dire: “Si stancheranno dopo due mesi”, “Vediamo quanto durano…”

E sono durati, si che sono durati! E non solo: poco a poco sempre più volontari si sono uniti a loro. Da venti a cento, contando i vacanzieri. Minorchini e stranieri, inglesi e italiani, cattolici e protestanti, gente di tutti i ceti sociali, e…miracolo!, vedere per credere: gente di sinistra e di destra. Tutti insieme e uniti motivati da un entusiasmante progetto comune.

Un progetto che li ha portati per più di quindici anni, ad alzarsi presto ogni domenica per sbarcare sulla loro isola alle 8.30 del mattino e mettersi al lavoro. D’inverno e d’estate, con il caldo o il freddo, con la pioggia o col vento. “In tutti questi anni, credo che abbiamo saltato solo tre o quattro domeniche“, dice Toni Barber con orgoglio.

E conclude: “Non ricordo che ci sia mai stato una discussione seria con qualcuno. Semmai, qualche litigio durante una partita Barça-Madrid“.

E cosa hanno fatto nel frattempo le istituzioni, le varie amministrazioni con poteri sull’isola?

Beh, all’inizio non hanno interferito e hanno chiuso un occhio sull’occupazione abusiva dell’isola. Laissez faire et laissez passer, i volontari si arrangiano da soli”, devono aver pensato.

Perché non c’è dubbio: per quanto illustri e rispettabili fossero i nostri coraggiosi volontari, erano comunque solo degli abusivi su suolo pubblico. A poco a poco, le autorità locali, indipendentemente dal loro colore politico, si convinsero della bontà e della serietà dell’avventura e cominciarono a dare una mano.

Dopo quindici anni di lavoro e già costituiti come una fondazione a tutti gli effetti, i volontari ammettono di aver provato una vera e propria “astinenza” durante i mesi del confinamento. Sentivano la mancanza della loro sessione di ‘islaterapia’, quello spazio-tempo dove, usando le parole del generale Luis Alejandre, “si sviluppano le virtù che teniamo nascoste in qualche angolo della nostra anima”.

Abbiamo assistito a questo fenomeno, l‘islaterapia, e ci mancava poco che qualcuno prendesse un pennello per imbiancare un muro. Venite alla Isla del Rey la domenica mattina.

Troverete un ex-trasportatore, un’infermiera di sala operatoria, un colonnello inglese in pensione, un impiegato di banca, un farmacista… impegnati nei compiti più prosaici e vari: qui dipingo una trave, là pulisco un vetro, quelle erbacce, il modello della corazzata Roma è finito, che meravigliosa donazione abbiamo ricevuto ieri per il reparto di oftalmologia…

E quando sono le 11 ed è ora di ritirarsi, i volontari si riuniscono per la colazione e per fare il punto. Irradiano vitalità ed energia, anche se la maggior parte di loro sono in età pensionabile e sentono la mancanza dei loro colleghi che sono morti o sono così vecchi o disabili che sono dovuti rimanere a casa.

Se il visitatore è fortunato e il Covid non lo impedisce, si può anche condividere con loro qualcosa di tangibile come una tapa di sobrasada e come mancia si ottiene un pezzo di islaterapia immateriale e indelebile.

La giornata volge al termine. Si torna alla barca e tutti vanno a casa. O alla messa delle dodici, dice il generale sornione. Alcuni finiscono per essere esausti da tanto tagliare e scavare e per altri la sessione è stata troppo poco.

Anche se, forse, in questa giusta e misurata dose sta anche il successo della Fondazione Ospedale Isla del Rey: un progetto comune appassionante, con una leadership che nessuno mette in discussione anche se non si è sempre è d’accordo, dove tutti sanno che nessuno è niente senza l’altro e in cui ognuno sviluppa il proprio ruolo nell’ambito delle proprie competenze, rispettando il lavoro degli altri.

Oserei persino suggerire un’altra ragione di questo grande successo: l’età dei volontari, una generazione abituata ad alzarsi presto e a lavorare sodo, che si è lasciata alle spalle ego e vanità molto tempo fa.

Andate a vederla l’Isla del Rey. I miracoli scarseggiano di questi tempi.

Web:

www.islahospitalmenorca.org

https://isladelrey.es/

Fonte: Menorca al Dia