Trentaquattro, Palmisano

Alla Redazione di Voglio Vivere Così, che gli ha chiesto cosa pensasse di una lettera pubblicata dal Corsera di qualche tempo fa e inviata da una mamma disperata per il futuro di sua figlia, trentenne e disoccupata, lo scrittore ha replicato: “I giovani oggi sognano materialmente di attestarsi a pieno titolo in una società che veicola immagini, non modelli concreti, che li definisce a due dimensioni, privi della terza dimensione della riflessione”.

C’è preoccupazione da parte sua? La lettera del Corriera della Sera non alimenta tante speranze. Il futuro per i giovani non è per niente roseo. Ma a chi dare la colpa?

Io temo che ai giovani, e soprattutto ai giovanissimi, sia negata la possibilità  di riflettere. La scuola conta meno della Tv e di Internet. La famiglia è  lontana dall’indirizzarli verso la conoscenza della realtà, perché impegnata  nella ricerca di una tutela sempre più stretta, ferrea, quasi securitaria.

In sintesi, cosa manca davvero ai ragazzi?

Questi giovani vivono nel privilegio della libertà di comunicare in una società  che li priva della libertà di conoscere,  studiare, apprendere il mondo globalizzato. Il lavoro conta, certo, ma non è centrale. Manca un ethos, che  tenga dentro l’idea della morte e della gioia.

Cosa vuole dire?

La morte è vista in Tv,  veicolata come dramma pubblico, ma non elaborata come parte della vita. Questo non consente di diffondere una educazione sentimentale, che tenga dentro  tutta la società.

Perché dice questo?

La gioia sorge dalla possibilità di rialzarsi dopo un dramma,  anche affettivo. E’ mai possibile che si debba assistere a drammoni televisivi, dove il corteggiamento sessuale è al centro delle attività dei giovani? Si confondono le cose. Un conto è l’amore, un altro il sesso. La confusione  produce un irrimediabile senso di impotenza quando le cose vanno male, quando finisce un amore, come quando finisce una vita. Ci si sente annichiliti.

E allora?

Se a  questo aggiungiamo l’obiettiva assenza di garanzie (il lavoro, l’accesso al  credito, la casa troppo cara, ecc.), abbiamo un dipinto oscuro della  gioventù italiana. Altro che generazione X! Questa è la generazione dei rassegnati.

Com’è è cambiato nel tempo il rapporto che i ragazzi hanno con i loro genitori?

Il rapporto con i genitori è determinato ormai dal mercato. Il consumo dà il diritto pieno di cittadinanza. Se non sei consumatore, non sei. Questo paradigma dell’homo consumens è l’esatto contrario dell’homo civicus. Siamo di fronte a un attacco feroce nei confronti del senso di appartenenza.

Ci spieghi!

Se un giovane non può  permettersi una serata in discoteca, un abito di un certo tipo, un’auto di un certo modello, eccetera, scatta l’autoesclusione, l’autoemarginazione.  Per non parlare dei consumi sessuali, della droga, che necessitano di cifre esorbitanti dalla sfera del quotidiano e del sano e giusto. Così si spiega il ricorso al debito, perfino al prestito a usura, diffuso tra lavoratori semplici  e disoccupati.

Ma che ruolo oggi potrebbe avere la famiglia?

I genitori dovrebbero limitare al minimo l’educazione al  consumo, preferendo il ricorso a beni durevoli, non effimeri.

Facile a dirsi, più complessa la realtà, soprattutto quando la maggior parte delle persone si muove in senso inverso.

L’assenza di speranza è vissuta senza cognizione di causa. E’ drammatico ammetterlo, ma è così. I bambini hanno una speranza quasi naturale, perché crescere significa appigliarsi alla vita e costruirsi un cammino dentro di  essa. Tuttavia, non pochi sono i bambini aggressivi, oltremodo violenti, per via di una frenesia eteroindotta, che li allontana dalla serenità del cammino

nella vita. I genitori hanno forti responsabilità.

Oggi quindi i genitori sono più incompetenti? E quale l’errore più comune che commettono?

La proiezione delle ansie sui bambini è dannosa, distrugge una generazione sul nascere. Allora basta con  il paternalismo, piuttosto i genitori la smettano di inseguire il modello del ceto superiore, di riempire le giornate dei figli con attività  inutili e dispendiose, e chiedano alle istituzioni più servizi per l’infanzia, servizi per gruppi di bambini e adolescenti. Questo serve!

Qualche tempo fa l’Economist ha pubblicato un articolo, secondo il quale la felicità si raggiungerebbe dopo i 46 anni. E’ allora che si ritrova la speranza di andare avanti?

Credo che l’Economist abbia tracciato un profilo statico del Paese. Arrivare a 46 anni all’età adulta, come in parte io sostengo nel mio romanzo Trentaquattro, è certamente drammatico, ma è una condizione precisa del momento. Non è detto che il futuro ci riservi costantemente la dilazione nel tempo dell’ingresso nella vita adulta. Inoltre, la mia generazione, i trentenni- quarantenni, è quella   preparata meglio ad affrontare il mercato del lavoro e le incertezze della globalizzazione.

Lo afferma con tanta sicurezza!

Sì, perché abbiamo studiato, perché abbiamo idee. Eppure, siamo governati da dirigenti pubblici e privati, i quarantenni- cinquantenni- che  non vogliono ammettere la propria ignoranza di fronte ai nuovi processi produttivi. Io so per certo che prima o poi la mia generazione arriverà a confliggere con la generazione precedente, e questo produrrà un’ inevitabile esplosione di rabbia. La cosa  succederà, se non si darà a tutti la possibilità di  esprimersi in modo  meritocratico nel lavoro, nella politica, nel sindacato, nella libera professione. L’Italia è il Paese dei mercati bloccati, della mobilità ascensionale per privilegio e non per merito, ecco il punto.

Allora?

Va da sé che di fronte a questo ostruzionismo, diventa indispensabile un rivolgimento. I conflitti covano, riemergono.

Serve una rivoluzione?

Le battaglia dei precari, come quelle degli studenti e dei ricercatori, sono la punta di un iceberg. Tra breve rischiamo di avere i giovani avvocati e commercialisti in piazza, i medici, i veterinari, gli ingegneri. Tutti colti, formati, bravi, ma sottopagati, vessati, mobbizzati, soprattutto se donne. Così, il sistema si inceppa, e l’odio prevale sulla ragione, e la società si frammenta. Prevale il legittimo sentimento dell’invidia.

Che fare subito?

Cominciamo a introdurre veri meccanismi di selezione meritocratica sul lavoro, sin dall’ingresso, e mandiamo a casa i veri bamboccioni del Paese: quelli attaccati alle poltrone senza avere i meriti per conservarle!

C’è un libro che consiglierebbe ai giovani che non vogliono smettere di sognare, nonostante tutto?

Il libro che io consiglierei a tutti è il Giovane Holden di Salinger. E’ la parabola della libertà giovanile, nel bene e nel male.

Intanto di Leonardo Palmisano è uscito di recente  un saggio-inchiesta, dal titolo “La Città del Sesso” CaratteriMobili edizioni.

Leonardo Palmisano

Leonardo Palmisano

Intevista a cura di Cinzia Ficco