Ma, in primo luogo, perché partire? Perché abbandonare l’Italia? Perché andare all’estero?
Nella prima pagine di “Espatriati” si tenta una risposta che è valsa soprattutto per me ma che sembra sia condivisa da diversi colleghi: l’idea di una rinascita, la proiezione di inconsci desideri rigenerativi su paesi lontani, paesi che, per la loro distanza geografica, per la loro “semplicità e genuinità” – che s’impone nell’immaginario collettivo di un Occidente ormai cinico, esausto e iper-razionale – svolgevano, e svolgono tuttora, una notevole forza di attrazione.
Ovviamente, poi, non è così, o, almeno, non è solo così.
In primo luogo perché la presunta semplicità e genuinità di vita di quei paesi è, in realtà, espressione della loro cultura specifica ma, ovviamente, non di quella di un occidentale, il quale, una volta sul posto, incontra sovente difficoltà a capire, a comprendere, a comportarsi, a muoversi e ciò che apparentemente è semplice e genuino diventa spesso complicato e fonte di stress. Uno degli aspetti più difficili con cui un espatriato, specialmente se cooperante, deve confrontarsi é la relazione, sempre oscillante tra netto rifiuto e totale acquiescenza, tra diffidenza e vischiosità, tra disistima e sovrastima, in sostanza tra odio e amore.
Questo perché, dietro l’incontro tra un occidentale ed un “locale non occidentale” incombe, come foriera di pioggia, la cultura di due diversi popoli, di due diversi paesi e, nel caso, di continenti, nonché di intrecci storici che li hanno interessati e che ancora li segnano. Per fare un esempio, i rapporti tra me e coloro che incontrai in Eritrea dipesero anche da come le storie di questi due popoli – italiano ed eritreo – si intrecciarono nel secolo scorso, prima durante le campagne coloniali e dopo con la liberazione e l’indipendenza. Così come in Sierra Leone la figura dell’uomo bianco può essere da una parte percepita come salvifica e dall’altra violentemente rifiutata, a causa della recente guerra per i diamanti, la cui regia ha visto coinvolti gli occidentali.
In fondo basta poco: è sufficiente spostarsi da una grande città, magari la capitale, ad un piccolo villaggio o uscire dall’area a maggioranza cristiana per addentrarsi in aree dominate da altri confessioni religiose. Oppure può dipendere dall’età dell’interlocutore: sempre in Eritrea, un conto è relazionarsi con un anziano, generalmente caloroso e ben disposto nei confronti degli italiani, un altro è aver a che fare con un giovane, spesso più freddo, distaccato se non ostile.
Ovviamente non tutti i paesi presentano caratteri di “problematicità”.
Se è vero che alcuni paesi in via di sviluppo, caratterizzati da recenti conflitti e da estrema povertà, sono piuttosto “difficili”, altri sono decisamente meno complessi. Tuttavia, anche in essi l’espatriato può vivere esperienze inaspettate e spiazzanti che possono generare confusione, dubbi, interrogativi, risposte reattive. Infatti, alcune dinamiche psichiche sono sempre al lavoro in noi, indipendentemente dal luogo in cui ci troviamo. Mi riferisco, ad esempio, alla stereotipizzazione dell’altro, alle proiezioni, alla tendenza a giocare un ruolo di salvatore o di vittima. In “Espatriati” sono affrontati alcuni di questi meccanismi che, se non compresi, possono rendere difficile l’adattamento e compromettere la qualità della vita.
E’ chiaro che il lavoro è parziale e non esaustivo, e, trattandosi di dinamiche umane, non potrebbe essere altrimenti; però vuole essere un piccolo contributo per arricchire quel bagaglio di conoscenze che è necessario accrescere sempre più per comprendere meglio la complessità di questo mondo ormai globalizzato. In tal senso, è giunto validissimo il contributo del mio amico e collega Marco Castella il quale, forte delle sue competenze formative in campo multiculturale, ha concepito il manuale anche come strumento per comprendere lo straniero in Italia e non solo l’italiano in terra straniera.
Temi trattati: la scelta di lavorare all’estero, modelli culturali, adattamento all’ambiente, Io, identità e ruolo sociale, il pensiero ed il ragionamento, tempi e ritmi, gli stereotipi, le relazioni con i locali, i bisogni, la povertà, le comunicazioni.
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