Un paradosso? No, una provocazione. Avete in mente “Il Sabato del Villaggio?”, la “sera del dì di festa”, la differenza tra il giorno prima e il giorno dopo, l’ebbrezza del quando inizia e del quando finirà? Ecco, quello.

Intendo dire che una delle grandi forme di felicità è costituita dall’ebbrezza della “liberazione”, cioè del momento in cui, il venerdì sera, presto o tardi, ci si ritrova finalmente liberi, e per ben due giorni! Un’ebbrezza vera, un momento di endorfine, esaltazione, quasi stordimento. Il cuore si alleggerisce, la vita sembra spiccare il volo. C’è qualcosa meglio di questo? In poche ore quell’esaltazione interiore e fisica perfino lascerà il posto alla delusione di non riuscire a fare (spesso) quel che si vorrebbe, quel che si sperava. Poi verrà lo scorrere tragico e indifferibile del tempo, il momento in cui ci si accorge che ben presto sarà finita. Oddio, è già domenica! E domani…

Ma il momento d’ebbrezza lo avremo comunque vissuto, e anzi, si ripeterà, immutabile, puntuale, a distanza di appena cinque giorni dalla ripresa. Ebbene, quel momento non lo vivremo più una volta cambiata vita.

Naturalmente non sarà una perdita senza rimborso, anzi. Io non baratterei certo la mia nuova libertà per recuperare quella perdita. Però attenzione, non stiamo parlando di una cosa da poco.

Per diventare felici, occorre meritarselo, sudare. La mancanza di quei momenti (il venerdì sera, il sabato, ma anche i giorni che precedono le vacanze, i primi giorni finalmente in ferie, i giorni che precedono e iniziano le vacanze natalizie, etc) è una perdita secca, una cosa che perdiamo e basta, che non torna. Per chi è sempre libero, come per chi ha sempre cibo, c’è da iniziare un nuovo percorso: trovare ebbrezza senza privazione, trovare gioia profonda senza l’oscillazione tra cattività e liberazione.

In sostanza: la libertà è una nuova condizione, un nuovo percorso, bisogna imboccarla sapendo che c’è da lavorare, che bisogna impararne la nuova sintassi, le nuove regole, e senza quel copione tragico ma di garanzia al quale siamo abituati. La libertà è come l’aria per il pesce, un momento di iperventilazione, si può anche rimanerci secchi. Se invece da nuotatore impariamo a fare l’anfibio, allora le possibilità si moltiplicano. Ma non è detto che lo si sappia fare. Se ci si aspettano solo soddisfazioni, anche il downshifting sembrerà deludente. Se invece si diventa liberi sapendo che occorrerà studiare, ancora combattere, essere pronti a delusioni e fatiche, privazioni e lotte con se stessi, allora la via sarà più agevole.

E’ opinione diffusa che smettere di lavorare, svincolarsi dalle maggiori responsabilità, cambiare vita, coincida con la gioia e la serenità. Ebbene, l’esempio che vi ho appena fatto è la dimostrazione che non è vero. Non esistono regali, bacchette magiche, formule miracolose. La libertà non è cosa di chi nasce, ma di chi diventa. E divenire, rompere catene per alzare le braccia senza vincoli o pesi, non è mai uno sforzo semplice. La difficoltà della libertà non è (solo) acquisirla (che già basterebbe a dissuadere i più teneri di spirito) ma gestirla, viverla, come un elettrodomestico che sappia fare molte cose, ma di cui ignoriamo le funzioni per goderne appieno. Ecco, quelle situazioni noi nella libertà non le abbiamo, anzi, dobbiamo scriverle senza saperle. E non è semplice, occorre tenere duro, non perdersi, non sentirsi delusi.

Non vi dico, per pietà verso di voi, cosa vuol dire imparare a vivere in un eterno venerdì sera. Non sarà facile, ma quando ci si riesce… E’ indicibile. Buona vita!

Simone Perotti (autore del libro Adesso Basta)

www.simoneperotti.comPEROTTI downshifter