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Paola: stanca dei ritmi frenetici e di lavori sottopagati ho aperto un Lodge familiare a Zanzibar

Polly Lodge Bungalow Zanzibar Kiwengwa

Paola: ho aperto un Lodge familiare a Zanzibar

A cura di Nicole Cascione

“Ciao, sono Paola, per molti Polly. Stanca dei ritmi frenetici del mio Paese, di lavori sottopagati, di continue “arrabbiature”, ho deciso di mollare tutto per trasferirmi a Zanzibar, dove ho aperto un lodge familiare.

Come è cambiata la mia vita? Sono molto più tranquilla e ho dimenticato l’orologio. Non faccio progetti e sorrido di più.” Paola Corti e la sua nuova vita a Zanzibar.

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Paola, quando hai cominciato ad essere attratta dall’Africa?

Sono cresciuta con i miei nonni fino all’età di 6 anni e il regalo più bello che ricordo con molto affetto è stata una piccola giraffa a tre anni. Mio nonno era un gran fan di Casadei e insieme cantavamo “I watussi”, e la mia curiosità cresceva. Non capivo chi fossero. Col tempo poi ho scoperto che quegli uomini alti 3 metri alle falde del Kilimangiaro erano i masai. Il mio più grande sogno era quello di venire in Kenya, nell’Africa nera. Ho sempre viaggiato, ma l’attrazione per l’Africa è sempre stata forte. Mi ero promessa che ci sarei andata e così è stato.

Così sei cresciuta e ad un certo punto hai deciso che era arrivato il momento di trasferirti nel continente nero. Non ti spaventava l’idea di avere a che fare con una cultura molto diversa dalla nostra?

Non ho mai avuto paura, perché se ti senti a casa non hai paura. Ho sempre trovato persone gentili e disponibili. Inizialmente ho cominciato a fare il pendolare con valigie stracariche di vestiti per villaggi interni, ho dormito ovunque, in capanne di fango con tetti in lamiera, fatto pipì con le iene dietro. Sono esplosiva, incosciente forse sì, ma amo la vita con la gente comune, non da turista.

Di cosa ti occupi?

Da dicembre insieme al mio compagno abbiamo aperto un piccolo lodge a Kiwengwa, molto familiare e con materiali di riciclo. Sono in un villaggio di pescatori dove ogni giorno sento i bambini andare a scuola, le mamme al pozzo che portano i secchi dell’acqua. Vivo con loro e ognuno ha rispetto dell’altro. Faccio giocare i bambini e loro mi strappano un sorriso.

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Quali sono state le tue emozioni all’arrivo?

Sicuramente ero molto carica e la prima cosa che ho fatto è vedere il lodge finito. Non è stato facile dall’Italia gestire tutto. E ti dirò… ancora adesso non mi rendo conto che la mia vita è qui. Mancano tante cose: la lavatrice, l’aspirapolvere, ma sono felice così.

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Quali caratteristiche sono necessarie per affrontare al meglio un cambiamento di vita così radicale?

Non c’è una regola, in Africa devi vivere giorno per giorno. Certo non è sempre facile con una mentalità italiana, ma ti adegui. A Zanzibar come donna devi avere polso, perché qui sono musulmani, ma so tirar fuori gli artigli all’occorrenza.

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Qual è il miglior pregio e il peggior difetto della vita a Zanzibar?

Il pregio è che nessuno ti giudica. Il difetto è che sono cocciuti e ti capita molto spesso di aspettare qualcuno per un giorno intero e non si presenta. Ti dicono kesho (domani), ma non sai mai a che ora.

In un trasferimento come il tuo, quanto è importante la determinazione e quanto il desiderio di andare via?

Io sono sempre stata determinata nelle mie scelte e chi mi conosce da tanto tempo sapeva che un giorno o l’altro sarei arrivata in Africa. Ho passato dei momenti molto bui e la decisione non è stata per niente facile, soprattutto per gli affetti, ma hanno capito il mio punto di vista. Ho sempre pensato che non c’è tempo per aspettare, se hai un sogno devi realizzarlo. Se aspetti sempre, quel sogno sarà destinato a rimanere in un cassetto. Non voglio trovarmi anziana e dire: la mia vita è stata monotona. La vita è una e bisogna viverla!

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Come sei stata accolta dalla popolazione locale?

All’inizio i bambini più piccoli erano un po’ sorpresi, mentre i più grandi arrivavano subito a chiederti caramelle o regali. I bambini sono molto furbi perché sanno che l’uomo bianco porta sempre qualcosa. Ogni giorno mi cercano per giocare, ma capiscono che da me non hanno regali. Ogni tanto arriva qualche bambino che si taglia e viene con la mamma a chiedere qualche cerotto. Conosco tutti, nonne, mamme e papà, ma evito di fotografare il villaggio perché voglio rispettare il loro ambiente. Ogni tanto mi capita di portare loro della legna e la mamma mi presenta la famiglia. E’ molto difficile vedere un italiano lavorare, loro rimangono sbalorditi perché noi siamo quelli sempre puliti, mentre io sono sempre piena di terra.

Quali sono le cose da evitare assolutamente?

Le cose da evitare sono tante. Innanzitutto nel villaggio non si cammina in bikini, ma coperti. E questo anche a Stone Town con pantaloni lunghi e maglietta. Inoltre è bene evitare di andare in città o in luoghi affollati (Nungwi, Stone Town) di sera. Poi è preferibile chiudere gli occhi per quanto riguarda i cani, la mentalità musulmana non li accetta e per loro è un malocchio. Si lavano se vengono toccati anche solo con il muso e li cacciano via con sassi o legni.

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Qual è l’aspetto che più ti ha colpito del popolo africano?

Mi ha colpito molto il senso di famiglia e di aiuto reciproco, ognuno ha sempre qualcosa per qualcuno. Sin da piccole le bambine si prendono cura dei fratellini e aiutano le mamme. E poi mi ha colpito molto il loro modo di affrontare la vita: oggi è andata così. Domani andrà meglio.

Come e in cosa è cambiata la tua vita da quando vivi a Zanzibar?

Sono molto più tranquilla e ho dimenticato l’orologio. Non faccio progetti e sorrido di più.

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