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Partorire all’estero (e come sopravvivere senza la mamma al seguito): la storia di Michela

Partorire all’estero (e come sopravvivere senza la mamma al seguito): la storia di Michela

Partorire all’estero

Di Cristina Pellicciotti

Tra le tante cose che vi potrebbero capitare vivendo da expat c’è quella di partorire all’estero. Niente paura. Quella che vi vogliamo raccontare oggi è la storia di una giovane donna che dal 2012 vive all’estero, prima in Svizzera e poi in Germania, e che lì ha partorito i suoi due figli senza l’appoggio pratico, logistico e morale della sua famiglia di origine.

Ci è venuta voglia di dedicarle questo articolo perchè molte italiane che scelgono di lasciare il nostro Paese alla ricerca di una nuova e più gratificante vita, al momento della gravidanza incominciano a sentire nuove paure e problemi di vario tipo: incomprensioni linguistiche con i dottori, controlli e monitoraggi diversi da quelli italiani ed una nostalgia incredibile di casa e dei più intimi affetti. La storia di Michela vuole essere perciò di incoraggiamento per tutte quelle donne all’estero in procinto di partorire senza la famiglia al seguito.

Michela ha 35 anni, è originaria di Bologna ed in Italia ha lavorato come insegnante di scuola materna presso varie cooperative. Sposata con Andrea dal 2002, dopo neanche un mese dalle nozze, i due decidono di trasferirisi: lui infatti è ricercatore di biologia molecolare ed in Italia non riesce a trovare buone opportunità nel suo settore che invece gli vengono offerte proprio a Losanna. Dopo poco dall’arrivo in Svizzera Michela scopre di essere incinta.

“Io a quell’epoca non conoscevo ancora il francese”, ci racconta. “Grazie all’assicurazione del mio compagno sono stata seguita da un bravo ginecologo che però sapevo già dall’inizio non mi avrebbe potuto accompagnare durante il parto perchè non lavorava nel settore pubblico. La gravidanza è proceduta comunque senza grandi intoppi. Arrivato il fatidico momento però, il feto ha incominciato a soffrire per mancanza di liquido amniotico ed il parto si è complicato anche perchè, a causa dell’epidurale, non riuscivo a sentire le spinte: quando finalmente Diego è nato, a causa del suo stato cianotico, è stato posto in incubatrice per quattro ore. Da qual momento in poi tutto è proceduto per il meglio e mio figlio fortunatamente si è ripreso senza subire nessuna conseguenza negativa. Il mio ricordo di quel momento, a parte il grande spavento, è quello di qualche problema di comunicazione con i medici ed il personale sanitario ma null’altro”.

Le chiediamo allora che ci racconti della sua esperienza con Pietro, il secondo figlio. “In quel momento ci trovavamo invece già ad Heidelberg, in Germania: altro Paese, altro iter medico, altra lingua che non conoscevo molto. In questo caso abbiamo preferito essere seguiti dalla sanità privata dove le visite mediche erano mensili piuttosto che presso le strutture pubbliche che ci garantivano solo dei minimi controlli. L’ostetrica che abbiamo scelto mi ha seguito durante tutta la gravidanza escluso il parto in clinica dove ho trovato comunque degli altri bravissimi professionisti. Diciamo che in questo parto tedesco mi sono trovata in un ambiente più organizzato, con una sala apposita fornita di palla e materassino, ed io ho vissuto il tutto in maniera più rilassata, per cui davvero non ho nulla di cui lamentarmi. La nascita del secondo bimbo poi non ha avuto nessuna complicazione ed una volta tornata a casa sono stata seguita dalla mia ostetrica che ha controllato l’evoluzione sia mia che di Pietro facendo i tipici controlli di peso, cordone ombelicale e stato di punti. Per dieci giorni è venuta puntualmente a casa e questo mi ha confortato molto”.

Molte italiane all’estero raccontano che hanno timore di partorire senza l’appoggio dei parenti più stretti. Le commentiamo: quale è stata la tua esperienza? “Per quanto mi riguarda” risponde Michela, “per la nascita del primo figlio le nostre famiglie sono venute a trovarci solo per qualche giorno, giusto perchè la nascita coincideva con il ponte del 25 aprile, mentre per il bimbo piccolo è venuta mia madre per cinque giorni, più che altro per stare con il maggiore nel caso le doglie iniziassero di notte. Con mio marito ci siamo organizzati in maniera tale che lui non prendesse subito il permesso di paternità, diciamo che lo abbiamo rimandato pensando che ne avremmo avuto bisogno più avanti”.

Nulla di drammatico ci sembra: perchè allora molte di noi si lamentano per questa situazione?, chiediamo a Michela. “Credo che se hai fatto la scelta di vivere lontano dall’Italia ti devi adeguare alla situazione in tutto e per tutto, gravidanza e parto compresi. A volte penso che non tutti siano pronti per questo gran salto che è personale e culturale allo stesso tempo: sono gli stessi che cercano disperatamente un pediatra che parli loro in italiano o che poi si lagnano del fatto di non trovare prosciutto e parmigiano dove vivono, giusto per fare degli esempi… Credo siano persone che fanno fatica a tagliare il cordone ombelicale con la loro famiglia e cultura di origine. Prima di tutto imparare la lingua del posto è una forma di rispetto verso il Paese che ci accoglie. Qui, in zona Mannheim ad esempio, c’è una comunità italiana presente sin dagli anni ’70 che si rifiuta ancora di parlare in tedesco. Purtroppo in Germania noi italiani siamo ancora mal visti, certo che sei un manager e lavori in una grande azienda magari pensano male di te ma non te lo fanno notare”.

Vantaggi di essere una famiglia italiana all’estero senza troppi legami familiari? “La coerenza educativa senza dubbio”, ci risponde Michela. “Senza ingerenze esterne, è solamente la coppia a decidere la linea in cui educherai i tuoi figli. E poi se sbagli nessuno ti critica, anche perchè in questioni legate ai bambini tutti sono sempre pronti a dare consigli e giudizi anche quando non vengono richiesti”.

Infine chiediamo a Michela quali siano i loro progetti futuri. “A mio marito piace molto la Germania ed al momento abbiamo la possibilità di restare per almeno altri otto anni. Per quanto mi riguarda appena i bimbi saranno un po’ più grandi vorrei tornare a lavorare come maestra nella scuola materna. Sono consapevole che ho bisogno di un alto livello di tedesco e che poi sarei anche obbligata a fare un tirocinio, però qui in Germania avrei sicuramente grandi possibilità di lavoro: tutti gli asili fino a sei anni sono privati, con costi dai 250 ai 500 euro al mese, e ci sono sempre lunghissime file di attesa per entrarci. Per ora Diego ha 3 anni e mezzo, mentre Pietro solo 3 mesi, per cui per il momento mi dedicherò a fare la mamma ancora per un po’”.

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