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Kekova (Turchia): oltre la frontiera estrema della Grecia

KEKOVA

Oltre la frontiera estrema della Grecia, rappresentata da quell’isolatissimo avamposto che risponde al nome di Kastellorizo (o Megisti, o Castelrosso che dir si voglia, comunque là dove Gabriele Salvatores ambientò il suo «Mediterraneo» per vincere un Oscar insperato quanto strepitoso), si apre incontrastata la costa mediterranea turca, che fino a quel momento aveva dovuto fare gimkana con decine di isole politicamente occidentali anche se naturalmente orientali.

In quanto ad isole in verità la Turchia se la passa maluccio, ma nei pressi di Kaş può prendersi la rivincita sull’ingombrante vicino greco e vantarsi della presenza di un microarcipelago al largo del borgo marinaro di Üçağiz. Ad ettari poca roba, molta invece se si pensa alla straordinaria ricchezza storica di quelli che potrebbero essere derubricati a grandi scogli o poco più. Sui fondali dell’isoletta di Kekova c’è un’incredibile città sommersa, fondamenta e rovine bizantine in gran parte coperte dall’acqua ma ben visibili se si dispone di una barca o un kayak.

In alcuni punti si intravvedono persino vasi e suppellettili, mantenuti a loro posto anche grazie alla durezza e alla certezza delle pene previste dalla legislazione turca per i ladri di reperti archeologici. Pagaiare o remare lungo quel brullo litorale è un’avventura culturale più che un esercizio fisico e l’ambientazione circostante non fa che rendere quei momenti davvero irripetibili. A Üçağiz, la Teimiussa licia, non mancano peraltro motivi di attrazione, al di là del porto turistico da cui prendono il largo tutte le imbarcazioni che portano i visitatori ad ammirare le vestigia di Kekova.

Qua e là tra le case del villaggio, rimasto ancora parzialmente allo stato originale, spuntano le rovine di antiche tombe licie con alcuni sarcofagi che emergono addirittura dal pelo dell’acqua. Decisamente più ricche le scenografie che si aprono nel vicino villaggio di Kaleköy, raggiungibile in una decina di minuti in barca o in un’oretta a piedi. Si trovano là le rovine dell’antica Simena, che insieme a Teimiussa e Tersane costituiva un baluardo inespugnabile per i nemici grazie anche alla conformazione della sua costa. Le casupole del villaggio, che piano piano si stanno trasformando in alberghi e bed & breakfast, sono dominate dai resti della fortezza bizantina medievale che si trova appollaiata sul colle soprastante, dentro la quale era stato scavato nella roccia anche un piccolo teatro. Tutt’intorno sarcofagi e tombe licie in quantità, in mezzo a ciò che rimane di antichi edifici religiosi e di quelle che gli archeologi hanno stabilito fossero terme pubbliche, il tutto ben custodito dalle vestigia delle antiche mura che si arrampicano per le pendici della collina fino al mare sottostante.

Certo, se si vuole fare una scorpacciata di civiltà licia, molto meglio dirigersi una trentina di chilometri più in là, a Demre, dove al tempo dei Romani sorgeva la città di Myra. Le sue rovine sono altrettanto affascinanti, anche perché le tombe sono scolpite nella roccia e sono state realizzate secondo i dettami architettonici delle abitazioni, con tanto di travi lignee inserite a sostegno: salendo i gradoni del teatro romano, ancora in ottime condizioni, è possibile avvicinarsi ad alcune di esse al punto da riuscire ad osservare i rilievi fin nei minimi particolari. La storia di questa splendida terra è d’altronde stata fittissima di eventi fin dalla notte dei tempi, visto che in alcuni siti archeologici dell’area sono state rinvenute iscrizioni egizie. Ittiti e Persiani anticiparono la lunga colonizzazione greca, durante la quale la Licia visse il suo momento migliore: Macedoni prima e Romani poi riportarono gli abitanti dell’area sotto il dominio di forze più potenti.

Ma tutto ciò ha lasciato segni importanti, che uniti alla potente bellezza dell’ambiente circostante fanno di un viaggio da quelle parti un’esperienza davvero speciale.

Gianluca Ricci

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