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Luciana Carminati: una vita da stilista

abiti da sposa

Lucia Carminati e i suoi abiti da sposa

Nel suo laboratorio al piano terra, attiguo al suo appartamento di Verona, sembra che il tempo si sia fermato agli anni Cinquanta. L’aria è rarefatta, da sogno. In sottofondo si alternano le musiche di Brahms, Puccini, Mahler, Mendelssohn, e Chopin. Quando vuole rilassarsi. E qualche volta è accesa anche la radio. Sulla scrivania ritagli di pizzi, merletti e tulle si incrociano con la Storia. Quella del periodo felice per l’Italia. Immagini ingiallite di Rita Hayworth l’aiutano a creare. A disegnare e tagliare modelli per l’azienda di abiti da sposa e cerimonia Cailand, il marchio torinese sorto nel 1984, richiesto dalle donne che apprezzano sete fruscianti, mikado, georgette e pizzi. Ma anche linee trasgressive.

E così, Luciana Carminati, 71 anni di Bardolino, a pochi chilometri dalla città di Giulietta e Romeo, cuce ricordi e li vende alle signore che il giorno del sì vogliono sentirsi come la “rossa” in abito bianco del film Sangue e Arena. Per loro disegna abiti che ricordano la biancheria intima indossata dalle dame degli inizi del novecento la prima notte di nozze.

Ha cominciato all’età di otto anni. Andava alle scuole elementari e il pomeriggio si divertiva ad osservare sua madre che cuciva. Tentava di imitarla. “Un giorno- racconta- disegnai una donna sul cartone. Poi cominciai a schizzare un guardaroba intero. C’erano abiti diversi, per il tempo libero e le serate importanti. Come per magia, la mia signora di carta poteva sfoggiare gli abiti più belli, i più invidiati. Ed erano i miei, quelli che avevo sempre sognato per me. Degni di una gran donna”.

Dopo sette anni, fu una ragazza di 20 anni a chiederle di disegnare il suo abito da sposa. “Che emozione– confessa- creare per il giorno più importante della sua vita. E fu un successo. Il mio nome cominciò a circolare tra le signore di Bardolino”.

Così Luciana decise di specializzarsi e seguire corsi di figurino e modellista. Si trasferì a Milano. Erano gli anni Sessanta. “Fu allora- dice- che bussò alla mia porta la Fortuna. Lavoravo anche per la Scala.”

Ma Luciana è modesta e nasconde che fu lei con le sue mani e senza il suo nome a risollevare le sorti di una sartoria milanese in grandi difficoltà economiche. La titolare le chiese il piacere di schizzare modelli, ma nell’ombra. E lei accettò. “Non importava che agissi senza la mia firma- aggiunge- Avevo bisogno di lavorare e fare esperienza”.

Ma l’umiltà l’ha premiata! “Ah, guardi– racconta- sono sempre stata timida e, soprattutto, volevo sempre sfidare me stessa. Non ero mai contenta del mio lavoro. Pensi che quando lavoravo a Bologna più volte ho rassegnato le mie dimissioni, che puntualmente venivano respinte. Non mi ritenevo all’altezza dei miei compiti. Ma questo forse mi ha aiutato ad andare avanti e a crescere”.

Oggi i suoi abiti vengono indossati da personalità famose. E, dopo un migliaio di abiti disegnati e cinquanta anni di esperienza, si sente di dare qualche piccolo consiglio a chi voglia seguire la sua strada. “E’ importante- chiarisce- saper anche cucire, oltreché disegnare per fare la stilista. Mai essere supponenti, ma sempre disposti ad apprendere. E poi ci vuole tanta pazienza. Soprattutto dopo aver preparato una collezione, che potrebbe anche essere snobbata dal mercato. E allora? Mai abbattersi. Usare il fiuto e cercare di anticipare la moda. Avere sempre nella testa tante persone. Non una. Gli abiti devono essere venduti. Quindi vestiti che valorizzino il corpo femminile. Sì, alle scollature”.

L’abito da sposa del futuro sarà eco-chic? “Ma no- replica- meglio corto, bianco e in bisso, quel cotone molto trasparente, svizzero e morbido, che si usava per i corredini dei bimbi. Oggi scomparso”.

A cura di Cinzia Ficco

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