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Uno, due, tre …la via lattea a passo di donna

Via Lattea libro

Il Cammino di Santiago nel libro di Paola Orciani

Camminare, scrivere, avvertire che dentro qualcosa cambia. Sembra esserci un legame profondo tra queste tre azioni, se così vogliamo chiamarle: pur sapendo che il termine “azioni” non esaurisce la portata di questi tre verbi, che si vestono di sfumature molto più ricche. Ma è innegabile che, talvolta, anche in ordine diverso rispetto a quello con cui le abbiamo citate, camminare, scrivere e cambiare siano in qualche modo abbracciati l’un l’altro per sostenersi, cercarsi e analizzarsi. Questa è la prima e più forte impressione che si ha leggendo “Uno, due, tre… la via lattea a passo di donna” di Carola Orciani per la Fenoglio Editore. Il libro ha la struttura del resoconto del Cammino di Santiago che l’autrice, ad un certo punto, si sente spinta ad intraprendere. Parliamo di struttura non a caso perché in realtà è come se il Cammino fosse un bellissimo edificio dentro cui però troviamo altri elementi, altri respiri e altri piani di lettura. E, al centro, una donna, particolare non semplicemente anagrafico ma che assume una valenza non secondaria: moglie e madre che mai si è allontanata da casa decide di fare un viaggio da sola per dare un altro ritmo ai pensieri, per trovarsi sola con sé stessa, per provare il brivido della solitudine.

Leggendo le pagine in cui l’autrice racconta dei giorni che hanno preceduto il viaggio non si può fare a meno di ricordare Lacan quando diceva che il senso di colpa è l’altra faccia del godimento: come deve essersi sentita Carola di fronte alla stridente implorazione della figlia che la prega di non partire? Quanto sappiamo essere inclini all’egoismo noi figli.

Ma il Cammino di Santiago è solo il modo esteriore con cui una voce si fa strada nell’animo dell’autrice e che la spinge a camminare, a ritagliarsi qualcosa che sia solo suo e, nello stesso tempo, mai così condiviso. Credo che ognuno possa leggerci un testo diverso e non univocamente vedere nella spinta verso questo Cammino come qualcosa di religioso: a meno che nel termine “religioso” non si voglia rintracciare qualcosa che ha a che fare con il “tenere insieme” così frequente in una donna che di cose da tenere insieme ne ha tantissime.

Carola ci racconta di come, quando si prende una decisione che si discosta dall’immagine che gli altri hanno di noi, si debba mettere in conto il silenzio ostile e l’allontanamento di alcuni: ma questo è il prezzo da pagare quando si decide di mettere, per una volta, i bisogno del proprio cuore davanti a quelli altrui. Anzi, forse non è neanche questione di mettere prima o dopo bisogni e desideri ma semplicemente di vivere e cambiare. Anche perché, come Almodovar faceva dire alla protagonista di un suo film seppure in un contesto diverso: “Una donna è tanto più autentica quanto più assomiglia all’immagine di sé che essa stessa ha.” Che si tratti di un rifacimento fisico o di un’anima che necessita di nuove carezze, poco cambia.

E poi le pagine dedicate alla fatica fisica, che deve essere stata tanta, quasi contrappasso muscolare di una fatica di altro tipo, perché comunque per Carola decide di fare da sola il Cammino di Santiago non deve essere stato facile; come non è mai facile fare qualcosa che, si avverte, ci renderà comunque diversi. E infatti Carola avvertirà, al ritorno, una nostalgia fortissima: forse non tanto per persone e luoghi ma per quella Carola nuova che il camminare le avrà fatto incontrare. E nella Carola nuova c’è posto anche per una notevole onestà intellettuale che fa ammettere all’autrice di avere desiderato, più volte di rimanere in “quelle terre di Spagna” come lei stessa le chiama.

Un libro di incontri, come è inevitabile che sia, di pensieri e di cambiamenti: quante facce ha il cambiamento infatti? Cosa significa cambiare vita? Anche fare il Cammino di Santiago e poi tornare. Ma si torna poi davvero?

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